Cagliari grida: giù le armi, su i salari!
Almeno millecinquecento persone hanno partecipato a Cagliari alla manifestazione
promossa dall’Unione Sindacale di Base, in concomitanza con lo sciopero generale
ed alla vigilia del corteo di Roma del 29 novembre. “Contro la manovra di guerra
e l’economia del genocidio, per salari, pensioni e diritti sociali”, i
manifestanti hanno sfilato per le vie del centro storico per buona parte della
mattinata.
Assieme all’USB c’erano i COBAS, le associazioni e i comitati che si battono per
liberare la Sardegna dalle basi militari, dalla fabbrica di bombe RWM,
dall’assalto della speculazione energetica. Erano presenti i palestinesi che da
tempo vivono sull’isola, i gruppi di sostegno alla causa palestinese, i
pensionati, i lavoratori, gli studenti. Il corteo, variopinto e coeso, si è
snodato fino alla meta: il palazzo del Consiglio regionale, in via Roma.
Qui ci sono stati gli interventi delle varie realtà che si sono unite in questa
giornata di sciopero che, se non ha bloccato tutto, come accaduto nell’ormai
“storica” giornata del 22 settembre, ha potuto dimostrare una continuità di
percorso e di obiettivi condivisi.
Il problema non sono i palestinesi, che cercano di vivere sulla loro terra e
sono costretti a farlo sotto occupazione, in condizioni disumane; il problema è
Israele e soprattutto il sionismo e il suo disegno che vuole eliminare il popolo
palestinese e che influenza la politica dei paesi europei, che ne diventano
complici. Questo ha detto in sintesi, con intensità e calma, Fawzi Ismail,
presidente dell’Associazione di Amicizia Sardegna Palestina.
Enrico Rubiu, portavoce dell’USB del sud-Sardegna, ha posto l’accento su una
manovra finanziaria contro i lavoratori, che non concede nulla ai diritti e non
investe sulla vera sicurezza, quella sul posto di lavoro. “Il lavoratore deve
uscire di casa sereno, senza pensare di poter tornare a casa sotto forma di
bara, come troppo spesso succede”, ha urlato per chi possa sentire.
Nei vari interventi che si sono succeduti è stato dato rilievo al problema della
repressione nei confronti dei movimenti antimilitaristi, con ben trentasei
indagati nella così detta “operazione Maistrali”, con anche accuse perfino di
terrorismo. Si scopre però poi che, nello specifico e al di fuori dei titoloni
sui giornali, si tratterebbe semplicemente di scritte sui muri, affissione di
manifesti e al massimo, se fosse confermato, preparazione di petardi.
Quest’altra operazione ha la chiara apparenza di un tentativo di criminalizzare
il dissenso, sia per porlo su una cattiva luce mediatica, che per mettere in
difficoltà ed intimidire le singole persone attiviste.
Sono stati poi evocati i problemi cronici della Sardegna, dall’installazione di
fabbriche inquinanti alla presenza da oltre sessant’anni di basi e poligoni
militari, che hanno attivato per decenni esercitazioni a fuoco, con proiettili
anche altamente inquinanti, come i missili “Milan”, che rilasciano torio
radioattivo e hanno reso l’istmo di capo Teulada simile ad una Chernobyl
mediterranea. Fino alle speculazioni capitaliste, dal vago odore mafioso, sulla
corsa speculativa alle installazioni di pale eoliche e pannelli fotovoltaici su
larga scala.
Senza dimenticare quella che oggi sembra la questione più attuale: la risposta
della Regione sarda alla richiesta di sanatoria da parte della RWM, attesa nel
prossimo mese. C’è in ballo una scelta politica cruciale: saprà il governo
regionale dare ragione alle più che legittime recriminazioni della società
civile, basate su istanze ambientali e idrogeologiche specifiche, anche a costo
di opporsi in modo netto alle politiche del governo di Roma? Ci saranno presto
nuove iniziative su questo tema.
Ce ne andiamo con una bella sensazione: gli esseri umani sono ancora vivi e
pensanti e vogliono ancora esprimersi liberamente, rivendicare i propri bisogni,
proporre una società alternativa a quella dell’aggressione, della devastazione,
del genocidio, per il massimo profitto. La società sarda è pronta a resistere.
Carlo Bellisai