Le azioni di Israele possono essere interpretate solo come l’attuazione
dell’intenzione dichiarata di rendere la Striscia di Gaza inabitabile per la
popolazione palestinese. Credo che l’obiettivo fosse – ed è ancora – costringere
la popolazione ad abbandonare completamente la Striscia o, considerando che non
ha un posto dove andare, di debilitare l’enclave attraverso bombardamenti e
gravi privazioni di viveri, acqua potabile, servizi igienici e assistenza
medica, in modo da rendere impossibile ai palestinesi di Gaza mantenere o
ricostituire la loro esistenza come gruppo.
Omer Bartov, The New York Times, Stati Uniti 25.7.2025
La mia conclusione inevitabile è che Israele sta commettendo un genocidio contro
il popolo palestinese. Sono cresciuto in una famiglia sionista, ho vissuto la
prima metà della mia vita in Israele, ho prestato servizio nell’esercito
israeliano come soldato e ufficiale e ho trascorso gran parte della mia carriera
studiando e scrivendo sui crimini di guerra e sull’Olocausto, quindi è stata per
me una conclusione dolorosa da raggiungere, a cui ho resistito il più a lungo
possibile. Ma ho tenuto corsi sul genocidio per un quarto di secolo. So
riconoscere un genocidio quando lo vedo.
Questa non è solo la mia conclusione. Un numero crescente di esperti in studi
sul genocidio e diritto internazionale ritiene che le azioni di Israele a Gaza
si possano definire solo come genocidio. Lo sostengono Francesca Albanese,
relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Cisgiordania e Gaza, e Amnesty
international. Il Sudafrica ha presentato una denuncia per genocidio contro
Israele alla Corte internazionale di giustizia.
Il continuo rifiuto di questa definizione da parte di stati, organizzazioni
internazionali, giuristi e accademici causerà un danno incalcolabile non solo
alla popolazione di Gaza e di Israele, ma anche al sistema di diritto
internazionale costruito sulla scia degli orrori dell’Olocausto, concepito per
impedire che queste atrocità si ripetano. È una minaccia alle fondamenta stesse
dell’ordine morale su cui tutti facciamo affidamento.
Il crimine di genocidio è stato definito nel 1948 dalle Nazioni Unite come
“l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico,
razziale o religioso, come tale”. Nel determinare cosa costituisce un genocidio,
quindi, dobbiamo sia individuare l’intenzione sia mostrare che viene messa in
atto. Nel caso di Israele, questa intenzione è stata espressa pubblicamente da
numerosi leader e funzionari pubblici. Ma l’intenzione può anche essere dedotta
dal metodo delle operazioni sul campo, e questo metodo è diventato chiaro nel
maggio 2024 – e poi sempre dei più – con la distruzione sistematica della
Striscia di Gaza per mano delle forze armate israeliane.
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Tag - Corte Internazionale di Giustizia
Genocidio dei palestinesi: intervengono gli stati schierati con il Gruppo dell’Aja
LE DELEGAZIONI MINISTERIALI DI UNA 30INA DI NAZIONI RADUNATE A BOGOTÀ NELLE
GIORNATE DEL 15 E DEL 16 LUGLIO PIANIFICANO LE AZIONI CON CUI ESIGERE IL
RISPETTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE.
All’iniziativa, promossa dal Gruppo dell’Aja che aggrega Bolivia, Colombia,
Cuba, Honduras, Malesya, Namibia, Senegal e Sud Africa, hanno aderito una 30ina
di stati: Algeria, Botswana, Brasile, Cile, Iraq, Irlanda, Libano, Norvegia,
Oman, Portogallo, Slovenia, Spagna,… tra cui il Qatar, che con l’Egitto è
impegnato anche come mediatore delle trattative per la tregua a Gaza.
Nella convocazione è precisato che la riunione è stata indetta “in risposta alle
continue e crescenti violazioni del diritto internazionale da parte di Israele
nei territori palestinesi occupati, tra cui il crimine di genocidio”, che la
discussione focalizzerà sugli
> obblighi giuridici degli Stati, come definiti dal parere consultivo della
> Corte internazionale di giustizia (CIG) del luglio 2024, di impedire tutte le
> azioni “che contribuiscono al mantenimento della situazione illegale creata da
> Israele nei Territori palestinesi occupati” e di sostenere la piena
> realizzazione del diritto inalienabile del popolo palestinese
> all’autodeterminazione
e che verranno deliberate “misure concrete per far rispettare il diritto
internazionale” e una serie di azioni con la cui realizzazione ogni stato
contribuirà, singolarmente e coalizzato con gli altri, a “porre fine al
genocidio e garantire giustizia e responsabilità”.
Al meeting partecipano
* il Commissario generale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency
for Palestine Refugees in the Near East – Agenzia delle Nazioni Unite per il
soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi), Philippe Lazzarini, che
l’11 luglio ha denunciato “800 persone affamate uccise, colpite da colpi
d’arma da fuoco mentre cercavano di procurarsi il poco cibo a Gaza” e che “Le
accuse secondo cui gli aiuti sarebbero stati dirottati verso Hamas non sono
mai state sollevate durante gli incontri ufficiali, non sono mai state
provate né comprovate. Un sistema funzionante [per portare soccorsi ai
palestinesi assediati monitorato e realizzato dall’ONU – NdR] è stato
sostituito da una truffa mortale per costringere le persone a sfollare e
aggravare la punizione collettiva dei palestinesi di Gaza”;
* la Relatrice Speciale dell’ONU sulla situazione dei diritti umani nei
territori palestinesi occupati dal 1967, Francesca Albanese, che il 3 luglio
scorso all’incontro sulla “Situazione dei diritti umani in Palestina e negli
altri territori arabi occupati” svolto nel programma della 59ª Sessione del
Consiglio per i Diritti Umani ha presentato il rapporto “Dall’economia
dell’occupazione all’economia del genocidio”.
UNA COALIZIONE DI NAZIONI SCHIERATE CONTRO LE INGIUSTIZIE
Il Gruppo dell’Aja è un blocco globale di stati impegnati in “misure legali e
diplomatiche coordinate” per sostenere il diritto internazionale e la
solidarietà con il popolo palestinese – https://thehaguegroup.org/home/
Lo schieramento aggrega le nazioni che il 31 gennaio 2025 nella città in cui
hanno sede la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale
si sono aggregate per, ciascuna singolarmente e insieme congiuntamente,
1. Rispettare la risoluzione A/RES/Es-10/24 delle Nazioni Unite e, nel caso
degli Stati Parte, sostenere le richieste della Corte penale internazionale
e ottemperare ai nostri obblighi ai sensi dello Statuto di Roma, compresi i
mandati emessi il 21 novembre 2024; e attuare le misure provvisorie della
Corte internazionale di giustizia, emesse il 26 gennaio, il 28 marzo e il 24
maggio 2024.
2. Impedire la fornitura o il trasferimento di armi, munizioni e materiale
correlato a Israele, in tutti i casi in cui vi sia un chiaro rischio che
tali armi e articoli correlati possano essere utilizzati per commettere o
facilitare violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei
diritti umani e del divieto di genocidio, in conformità con i nostri
obblighi internazionali e con il parere consultivo della Corte
internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 e con la risoluzione
A/RES/Es-10/24 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
3. In ogni porto sotto la nostra giurisdizione territoriale impedire l’attracco
di imbarcazioni quando sia accertato e in tutti i casi in cui vi sia un
chiaro rischio che siano utilizzate per trasportare in Israele carburante e
armi militari che potrebbero essere utilizzate per commettere o facilitare
violazioni del diritto umanitario, del diritto internazionale dei diritti
umani e delle sanzioni contro il genocidio in Palestina, in conformità con
l’obbligo giuridico inderogabile degli Stati di cooperare per prevenire il
genocidio e altre violazioni di norme imperative con tutti i mezzi legali a
loro disposizione.
Inizialmente vi faceva parte anche il Belize, un paese dell’America
centro-settentrionale indipendente dal 1981, una ex colonia dell’impero
britannico e ora uno dei quindici reami del Commonwealth di cui è sovrano il re
del Regno Unito. Per compiacere gli USA, il Belize si è distaccato dalla
coalizione schierata in difesa del popolo palestinese e del diritto
internazionale. Lo riferisce la redazione dell’emittente radiofonica francese
RFI annotando che tra gli 8 stati attualmente membri del Gruppo dell’Aja
spiccano alcuni che hanno già intrapreso azioni per contrastare le atrocità
commesse da Israele a Gaza dall’ottobre 2023 in poi:
> il Sudafrica ha deferito la questione alla Corte Internazionale di Giustizia
> per presunta violazione della Convenzione sul Genocidio del 1948, a cui si
> sono uniti altri Stati; navi cariche di armi dirette verso lo Stato ebraico
> sono state bloccate da Namibia e Malesia.
>
> Nel maggio 2024, la Colombia ha interrotto le relazioni diplomatiche con Tel
> Aviv. Una decisione presa “a causa del governo, del presidente genocida”,
> dichiarò il presidente Gustavo Petro, che ha proclamato: «Non possiamo
> accettare il ritorno di epoche di genocidio, dello sterminio di un intero
> popolo sotto i nostri occhi, sotto la nostra passività. Se la Palestina muore,
> muore l’umanità. Non lasceremo morire la Palestina, così come non lasceremo
> morire l’umanità». «L’alternativa con cui ci dobbiamo confrontare è netta e
> implacabile – ha affermato il presidente colombiano in un’intervista a The
> Guardian – O difendiamo con fermezza i principi giuridici che mirano a
> prevenire guerre e conflitti, o assistiamo impotenti al crollo del sistema
> internazionale sotto il peso di una politica di potere incontrollata»
> [Striscia di Gaza: oltre trenta Paesi riuniti a Bogotà per misure concrete
> contro Israele / RFI – 13/07/2025].
Al Gruppo dell’Aja inoltre fanno parte Bolivia, Cuba, Honduras e Senegal e il
Brasile, nel 2025 il ‘capo-fila’ dei paesi uniti nel BRICS che il 7 luglio
scorso a Rio del Janeiro hanno condannato l’uso della fame come arma di guerra e
la militarizzazione dell’assistenza umanitaria.
INTANTO, IN EUROPA E NEL MONDO…
Contemporaneamente all’incontro svolto a Bogotà, a Bruxelles il Consiglio dei
ministri degli esteri dell’Unione Europea riunito il 15 luglio discuteva “degli
ultimi sviluppi in Medio Oriente, concentrandosi su Gaza, Israele e Iran”. Tra
gli argomenti all’ordine del giorno c’era anche il “sostegno finanziario
umanitario totale fornito come Team Europa al territorio palestinese occupato”,
un contributo che nel periodo 2023-2024 è ammontato a oltre 1,56 miliardi di
euro, di cui più di 1,35 miliardi dal 7 ottobre 2023. Forse i ministri europei
hanno affrontato anche la questione dell’accordo di associazione con Israele e
dei trasferimenti d’armi tra gli stati dell’unione e la nazione che all’interno
dei propri confini assedia la popolazione di Gaza dall’ottobre 2023 e infierisce
sui palestinesi in Cisgiordania e altri territori e, oltre che l’Iran nel giugno
scorso, in questi giorni ha bersagliato anche il Libano e la Siria [Attacchi con
droni e operazioni di terra, Libano senza pace / IL MANIFESTO – 10/7/2025 e
Netanyahu, ordinato a Idf raid in Siria a difesa dei drusi / ANSA – 15/7/2025].
Successivamente, il 28 e 29 luglio prossimi, alla sede delle Nazioni Unite nel
Palazzo di Vetro di New York si svolgerà la conferenza internazionale speciale
indetta dall’ONU che, come spiega il presidente dell’Assemblea Generale,
Philémon Yang, nel maggio scorso è stata indetta d’urgenza per deliberare in
merito all’applicazione della soluzione detta ‘dei 2 stati’. Procrastinata a
causa della guerra di Israele e USA contro l’Iran, questa conferenza affronterà
la questione del conflitto arabo-palestinese riconoscendo il diritto del popolo
palestinese alla propria indipendenza e potrebbe concludersi imponendo allo
stato israeliano di ritirarsi dalla Striscia di Gaza e dai territori che i
coloni israeliani hanno sottratto ai residenti palestinesi.
Maddalena Brunasti
Palestina, Hamas: “Dopo il rapporto Haaretz, subito inchiesta ONU sull’uccisione dei civili gazawi affamati”. Emergono complicità della Gaza Humanitarian Foundation
Il Movimento di Resistenza Islamica Hamas ha chiesto alle Nazioni Unite di
formare una commissione internazionale per indagare sul crimine dell’attacco
contro i civili palestinesi in attesa di aiuti nella Striscia di Gaza, in cui
sono stati uccisi 570 gazawi, dopo che un rapporto del quotidiano israeliano
Haaretz ha rivelato prove del fatto che sono stati deliberatamente presi di mira
dalle forze di occupazione.
Per quasi tre mesi, da marzo a giugno 2025, Israele ha bloccato completamente
l’ingresso di aiuti e beni a Gaza, aggravando la già drammatica crisi alimentare
che colpisce i due milioni di abitanti della Striscia. A fine maggio è iniziata
la distribuzione limitata di pacchi alimentari -in quattro luoghi selezionati –
dalla controversa Gaza Humanitarian Fund (GHF), un’organizzazione sostenuta da
Israele e dagli Stati Uniti. Un’apertura non derivante da preoccupazioni
riguardo alla situazione umanitaria, ma da ragionamenti di tipo strategico e
reputazionale.
Come ha esplicitamente sostenuto Benjamin Netanyahu: “Per completare la
vittoria, non dobbiamo arrivare a una situazione di carestia, né dal punto di
vista pratico, né da quello diplomatico. Nessuno ci sosterrebbe”.
Prima dell’ultima interruzione degli aiuti, arrivata giovedì 26 giugno, i centri
restavano aperti solo un’ora al giorno, secondo quanto riferito da Haaretz.
Nonostante ciò, ogni giorno i militari israeliani hanno sparato sulla folla.
Secondo i dati riportati, sono stati uccisi almeno 550 palestinesi in attesa di
ricevere aiuti. I feriti sarebbero più di 4 mila. Esperti delle Nazioni Unite
hanno più volte accusato l’esercito israeliano di usare la fame come arma di
guerra. L’Unicef ha segnalato un incremento allarmante dei casi di malnutrizione
infantile: solo nel mese di maggio, 5.119 bambini tra i sei mesi e i cinque anni
sono stati ricoverati per malnutrizione acuta.
Hamas ha affermato – in un comunicato diffuso venerdì 27 giugno – che il
rapporto del quotidiano Haaretz, che include “testimonianze di ufficiali e
soldati dell’esercito criminale sionista riguardo al ricevimento di ordini
diretti dai vertici per aprire il fuoco sui palestinesi vicino ai centri di
distribuzione degli aiuti a Gaza, rappresenta una nuova conferma del vero ruolo
di questo meccanismo criminale come strumento di sterminio e uccisione di civili
disarmati dopo averli affamati e torturati”.
Il movimento ha sottolineato che “ciò che sta accadendo – l’uccisione
sistematica di civili affamati nella Striscia di Gaza – è un crimine evidente e
una nuova prova della brutalità dell’occupazione e dei suoi leader fascisti,
guidati dal criminale di guerra Benjamin Netanyahu, ricercato dalla Corte penale
internazionale”.
Hamas ha chiesto alle Nazioni Unite di istituire una commissione internazionale
per indagare su questo crimine “al fine di portare i responsabili davanti alla
giustizia internazionale, poiché questo meccanismo ha portato all’uccisione di
circa 570 martiri e a quasi 4.000 feriti, con il pretesto della distribuzione
degli aiuti”.
Il movimento ha inoltre invitato a riprendere la distribuzione degli aiuti
tramite l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei
rifugiati palestinesi (UNRWA) e tutte le organizzazioni umanitarie
internazionali specializzate, “per porre fine all’oppressione e all’ingiustizia
subiti dal nostro popolo palestinese nella Striscia di Gaza a causa
dell’occupazione e della politica della fame perseguita”.
Stando a quanto sostenuto dal rapporto quotidiano Haaretz – venerdì 27 giugno –
ufficiali e soldati israeliani hanno confermato di aver ricevuto ordini, diretti
da comandanti dell’esercito israeliano, di sparare sui palestinesi vicino ai
centri di distribuzione degli aiuti per allontanare i palestinesi stessi da
questi centri, nonostante non fossero armati né rappresentassero alcuna
minaccia.
Uno dei soldati ha dichiarato che l’esercito non utilizza metodi convenzionali
per disperdere coloro che attendono gli aiuti a Gaza, ma impiega ogni tipo di
arma pesante. Un altro ha descritto l’attacco ai civili vicino ai centri di
distribuzione come “l’ideologia dei comandanti sul campo”.
La Rete delle ONG palestinesi aveva messo in guardia, giovedì 26 giugno, dal
fatto che Israele cerca di consolidare il caos e la violenza nella Striscia,
attraverso il controllo sulla distribuzione di aiuti scarsi, nel contesto di un
genocidio in corso.
La Gaza Humanitarian Foundation è un progetto israelo-americano condannato dalle
Nazioni Unite e da numerose organizzazioni internazionali per essere uno
strumento di militarizzazione degli aiuti, sfollamento della popolazione e
umiliazione dei civili.
Ad oggi, 15 organizzazioni per i diritti umani e legali hanno scritto una
lettera in cui si accusa la Gaza Humanitarian Foundation di potenziale
complicità in gravi violazioni del diritto internazionale. La distribuzione
privatizzata e militarizzata, si legge, è “disumanizzante, frequentemente letale
e contribuisce allo sfollamento forzato delle stesse persone che dovrebbe
aiutare”. La fame come strumento di guerra e la deumanizzazione costituiscono
due dei principali elementi che hanno spinto la Corte Internazionale di
Giustizia a chiedere già a gennaio del 2024 che Israele adottasse misure
immediate per prevenire il genocidio dei palestinesi di Gaza. I “campi di morte”
della Ghf sono una sintesi perfetta di queste due atrocità: civili affamati e
attirati vicino ai centri per poi essere uccisi come topi in trappola.
Ulteriori informazioni:
https://lespresso.it/c/mondo/2025/5/14/carestia-gaza-bambini-fame-oms/54290
https://lespresso.it/c/mondo/2025/6/27/esercito-israeliano-ammissione-sparare-uccidere-palestinesi-attesa-aiuti/55237
https://lespresso.it/c/mondo/2025/6/25/israele-stop-aiuti-gaza-netanyahu-corruzione-difesa-trump/55199
https://www.ilpost.it/2025/06/27/inchiesta-haaretz-stragi-ghf/
https://www.ilfattoquotidiano.it/2025/06/27/soldati-israeliani-sparare-palestinesi-cibo-gaza-notizie/8041775/
https://contropiano.org/news/internazionale-news/2025/06/30/lordine-e-di-sparare-sugli-affamati-il-genocidio-confermato-dai-militari-israeliani-0184599
https://www.rsi.ch/info/mondo/Gaza-spari-ai-siti-degli-aiuti-aperta-un%E2%80%99indagine-per-sospetti-crimini-di-guerra–2936808.html
https://trt.global/italiano/article/90a7c1670be0
> Haaretz: militari IDF hanno sparato deliberatamente su civili palestinesi che
> si radunavano presso i centri di distribuzione alimentare a Gaza (Jalel
> Lahbib)
Lorenzo Poli
Rapporto 2024-2025 di Amnesty International: crisi globale dei diritti umani, “effetto Trump” accelera tendenze distruttive
Il Rapporto 2024-2025 (pubblicato in Italia da Infinito Edizioni) descrive la
situazione dei diritti umani in 150 Stati e sottolinea l’insinuarsi di pratiche
autoritarie e le feroci repressioni contro il dissenso.
I primi 100 giorni del presidente Trump hanno intensificato la regressione
globale e tendenze profondamente radicate nel tempo.
Il mancato contrasto globale alle ineguaglianze, al collasso climatico e alla
trasformazione tecnologica mette in pericolo le future generazioni.
L’ascesa delle pratiche autoritarie e l’annichilimento del diritto
internazionale non sono inevitabili: le persone resistono e resisteranno agli
attacchi ai diritti umani. I governi possono favorire la giustizia
internazionale e devono continuare a farlo.
“Effetto Trump”
La campagna contro i diritti umani dell’amministrazione Trump sta
sovraccaricando tendenze dannose già esistenti, svuotando completamente le
protezioni internazionali sui diritti umani e mettendo in pericolo miliardi di
persone in tutto il pianeta.
L’“effetto Trump” ha accresciuto i danni fatti da altri leader durante il 2024,
erodendo decenni di duro lavoro svolto per costruire e far progredire i diritti
umani universali per tutte e tutti e accelerando la discesa dell’umanità in una
nuova era caratterizzata da una miscela di pratiche autoritarie e avidità delle
imprese economiche.
“Di anno in anno, avevamo dato l’allarme sul pericolo di un arretramento dei
diritti umani. Ma quanto accaduto negli ultimi 12 mesi – segnatamente il
genocidio israeliano della popolazione palestinese della Striscia di Gaza,
avvenuto in diretta e tuttavia trascurato – ha messo a nudo quanto il mondo
possa risultare infernale per moltissime persone quando gli Stati più potenti
scaricano in mare il diritto internazionale e mostrano disprezzo per le
istituzioni multilaterali. In questa congiuntura storica, mentre le leggi e le
pratiche autoritarie si stanno moltiplicando a vantaggio di assai poche persone,
i governi e la società civile devono agire con urgenza per riportare l’umanità
su un terreno più sicuro”, ha dichiarato Agnès Callamard, segretaria generale di
Amnesty International.
Il Rapporto 2024-2025 di Amnesty International documenta violente e diffuse
repressioni del dissenso, catastrofiche escalation dei conflitti armati, azioni
inadeguate per fronteggiare il collasso climatico e passi indietro globali nella
difesa delle persone migranti e rifugiate, delle donne e delle ragazze e delle
persone lgbtqia+. Se non ci sarà un’inversione di rotta globale, in questo
turbolento 2025 si verificherà un ulteriore deterioramento.
“Cento giorni dopo l’inizio del suo secondo mandato, il presidente Trump ha
mostrato solo profondo disprezzo per i diritti umani universali. Il suo governo
ha frettolosamente e deliberatamente preso di mira istituzioni statali e
internazionali fondamentali e iniziative sorte per rendere il mondo più sicuro e
più equo. Il suo assalto a tutto campo all’essenza stessa dei concetti di
multilateralismo, asilo, giustizia razziale e di genere, salute globale e azioni
sul clima per salvare vite umane sta aggravando i danni già arrecati a quei
principi e a quelle istituzioni e sta ulteriormente incoraggiando leader e
movimenti contrari ai diritti umani a unirsi a quell’assalto”, ha aggiunto
Callamard.
Ma dobbiamo essere chiari: questo malessere è molto più profondo delle azioni di
Trump. Assistiamo da anni a una strisciante diffusione di pratiche autoritarie,
alimentate da leader candidatisi o eletti con l’intenzione di essere agenti di
distruzione. Ci hanno trascinato in una nuova era di agitazioni e crudeltà, ma
tutte le persone che credono nella libertà e nell’uguaglianza devono coalizzarsi
per contrastare gli attacchi sempre più estremi al diritto internazionale e ai
diritti umani universali”, ha proseguito Callamard.
La proliferazione di leggi, politiche e pratiche autoritarie contro la libertà
d’espressione, di associazione e di riunione pacifica documentata da Amnesty
International nel 2024 è stata un elemento centrale nell’assalto globale ai
diritti umani. I governi hanno cercato di evitare i controlli, rafforzato i loro
poteri e istillato paura mettendo al bando organi d’informazione, smantellando o
sospendendo Ong e partiti politici, imprigionando con accuse infondate di
“terrorismo” o “estremismo” persone che li hanno criticati e criminalizzando chi
ha difeso i diritti umani, chi si è attivato per la giustizia climatica, chi ha
manifestato in solidarietà con la popolazione della Striscia di Gaza e chi ha
espresso in altro modo il proprio dissenso.
In numerosi Stati le forze di sicurezza hanno fatto ricorso ad arresti
arbitrari, sparizioni forzate e forza eccessiva, in alcuni casi letale, per
sopprimere la disubbidienza civile. Le autorità del Bangladesh hanno ordinato di
sparare a vista contro le proteste studentesche, causando quasi 1.000 morti,
mentre in Mozambico le forze di sicurezza hanno dato luogo alla peggiore
repressione delle proteste da anni a questa parte dopo un contestato risultato
elettorale, uccidendo almeno 227 persone.
In Turchia sono stati imposti divieti generali di protesta e si è continuato a
usare forza illegale e indiscriminata contro le proteste pacifiche. In Corea del
Sud, invece, ha vinto il potere delle persone quando il presidente Yoon Suk Yeol
ha sospeso alcuni diritti umani e dichiarato la legge marziale, per poi essere
rimosso dall’incarico e veder annullati i suoi provvedimenti dopo proteste di
massa.
I conflitti armati evidenziano il ripetersi dei fallimenti
Nel moltiplicarsi e intensificarsi dei conflitti, forze statali e gruppi armati
hanno agito in modo sfrontato, commettendo crimini di guerra e altre gravi
violazioni del diritto internazionale umanitario che hanno devastato la vita di
milioni di persone.
Amnesty International ha documentato il genocidio di Israele contro la
popolazione palestinese della Striscia di Gaza e il sistema di apartheid e
l’occupazione illegale in Cisgiordania si sono fatti più violenti. La Russia ha
ucciso più civili ucraini nel 2024 che nell’anno precedente, continuando a
colpire infrastrutture civili e sottoponendo le persone detenute a torture e
sparizioni forzate.
In Sudan, dove due anni di guerra civile hanno causato 11 milioni di sfollati
interni – il più alto numero al mondo – le Forze di supporto rapido hanno
commesso violenze sessuali ai danni di donne e bambine, che costituiscono
crimini di guerra e possibili crimini contro l’umanità. Ciò nonostante, questo
conflitto è andato avanti nella quasi totale indifferenza mondiale, per non
parlare di chi ha cinicamente sfruttato l’occasione per violare l’embargo sulle
armi dirette verso il Darfur.
In Myanmar i rohingya hanno continuato a subire attacchi razzisti e molti di
loro hanno dovuto lasciare le loro abitazioni nello stato di Rakhine. Il
massiccio taglio degli aiuti internazionali deciso dall’amministrazione Trump ha
aggravato la situazione, causando la chiusura di ospedali nei campi per persone
rifugiate nella vicina Thailandia, facendo rischiare il rimpatrio a chi difende
i diritti umani e mettendo in pericolo programmi che aiutavano le persone a
sopravvivere al conflitto.
L’iniziale sospensione degli aiuti statunitensi all’estero ha avuto conseguenze
anche sui servizi sanitari e di sostegno in favore delle bambine e dei bambini
separati dalle loro famiglie nei centri di detenzione in Siria. Quei tagli
brutali hanno costretto alla chiusura programmi salva-vita nello Yemen, come
quelli per combattere la malnutrizione infantile e delle donne in gravidanza e
in fase di allattamento o per gestire i centri rifugio per le sopravvissute alla
violenza di genere e per fornire cure mediche alle bambine e ai bambini colpiti
dal colera o da altre malattie.
“Amnesty International da tempo metteva in guardia sulla minaccia dei doppi
standard nei confronti di un ordine basato sulle regole. L’impatto di questo
arretramento è stato più acuto nel 2024, dalla Striscia di Gaza alla Repubblica
democratica del Congo. Dopo aver aperto la strada verso il disordine, venendo
meno al rispetto universale delle regole, la comunità internazionale ora deve
assumersene la responsabilità”, ha commentato Callamard.
“Il costo di questi fallimenti è gigantesco: la perdita di protezioni vitali
sorte per salvaguardare l’umanità dopo gli orrori dell’Olocausto e della Seconda
Guerra Mondiale. Nonostante le molte imperfezioni del multilateralismo, la sua
fine non rappresenta alcuna risposta. Al contrario, dovrebbe essere rafforzato e
reimmaginato. Ma, dopo aver subito già danni nel 2024, oggi l’amministrazione
Trump pare intenzionata a usare la motosega contro ciò che resta della
cooperazione multilaterale, per rimodellare il nostro mondo attraverso una
dottrina commerciale basata sull’avidità, sull’insensibile egoismo e sul dominio
di poche persone”, ha sottolineato Callamard.
I governi stanno abbandonando le future generazioni
Il Rapporto 2024-2025 di Amnesty International contiene evidenti prove che il
mondo sta condannando le future generazioni a un futuro ancora più duro a causa
dei fallimenti collettivi nel contrastare la crisi climatica, nell’invertire le
sempre più profonde ineguaglianze e nel porre un freno al potere delle imprese.
La Cop 29 è stata una catastrofe, con un numero record di lobbisti del fossile a
impedire il progresso verso una transizione equa: gli Stati più ricchi hanno
fatto i bulli nei confronti di quelli a basso reddito, costringendo questi
ultimi ad accettare negoziati che hanno suonato come prese in giro. La
sconsiderata decisione del presidente Trump di abbandonare l’Accordo di Parigi e
il suo ripetere “Avanti con la trivella!” non ha fatto altro che rafforzare tali
fallimenti e potrebbe incoraggiare altri a fare lo stesso.
“Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato e il primo ad andare sopra un
grado e mezzo rispetto ai livelli preindustriali. Le inondazioni che hanno
devastato l’Asia meridionale e l’Europa, le siccità che hanno devastato l’Africa
meridionale, gli incendi che hanno ridotto in cenere parti della foresta
dell’Amazzonia e gli uragani che hanno fatto disastri negli Usa sono esempi
dell’immenso costo umano del riscaldamento globale, persino ai suoi attuali
livelli. Col prospettato aumento di tre gradi in questo secolo, gli Stati più
ricchi sanno che non saranno immuni da disastri innaturali sempre più estremi,
come i recenti incendi in California. Ma faranno qualcosa?”, si è chiesta
Callamard.
Nel 2024 povertà e ineguaglianze estreme, all’interno degli Stati e fra gli
Stati, hanno proseguito a peggiorare a causa della massiccia inflazione, della
scarsa regolamentazione delle imprese, di provvedimenti fiscali arbitrari e
della crescita del debito nazionale. Eppure, molti governi e movimenti politici
hanno fatto ricorso a una retorica razzista e xenofoba per addossare alle
persone migranti e rifugiate la colpa della criminalità e della stagnazione
economica. Nel frattempo, il numero e il benessere delle persone miliardarie
sono cresciuti. Persino la Banca mondiale ha parlato di un “decennio perso”
nella riduzione globale della povertà.
Il futuro appare ancora più nero per molte donne, ragazze e persone lgbtqia+ a
causa dell’aumento degli attacchi all’uguaglianza e all’identità di genere. In
Afghanistan i talebani hanno introdotto limitazioni ancora più draconiane contro
l’esistenza pubblica delle donne e in Iran le autorità hanno intensificato la
loro brutale repressione contro le donne e le ragazze che sfidano l’obbligo
d’indossare il velo. In Messico e in Colombia i collettivi di donne in cerca
delle persone care scomparse hanno subito minacce e aggressioni.
Malawi, Mali e Uganda hanno introdotto norme per criminalizzare o rafforzare
divieti sulle relazioni omosessuali tra persone adulte e consenzienti. Georgia e
Bulgaria hanno seguito la Russia nella repressione della cosiddetta “propaganda
lgbtqia+”. L’amministrazione Trump sta contribuendo all’attacco globale alla
giustizia di genere smantellando le iniziative per contrastare la
discriminazione, attaccando senza sosta i diritti delle persone trans e
interrompendo i finanziamenti ai programmi sanitari, educativi e di altro tipo a
sostegno delle donne e delle ragazze di ogni parte del mondo.
I governi stanno ulteriormente danneggiando la generazione attuale e quella
futura non regolamentando adeguatamente le nuove tecnologie, usando in modo
illegale gli strumenti di sorveglianza e rafforzando la discriminazione e le
ineguaglianze mediante il crescente uso dell’intelligenza artificiale.
Le imprese tecnologiche da tempo facilitano pratiche discriminatorie e
autoritarie, ma il presidente Trump ha esacerbato questa tendenza incoraggiando
le aziende proprietarie delle piattaforme social a limitare le protezioni –
come, per esempio, l’addio di Meta ai programmi di fact-checking indipendente –
e a rafforzare modelli di business che favoriscono la diffusione dell’odio e di
contenuti violenti. L’allineamento tra l’amministrazione Trump e i miliardari
della tecnologia rischia anche di aprire le porte a un’era di corruzione,
disinformazione, impunità e conquista dei poteri dello Stato da parte delle
imprese.
“Dall’avere miliardari seduti in prima fila alla sua inaugurazione fino a
garantire all’uomo più ricco del mondo un accesso senza precedenti all’interno
dell’apparato di governo, il presidente Trump pare intenzionato a consentire a
imprenditori egoisti suoi alleati di agire privi di controlli e senza il minimo
rispetto per i diritti umani né per le regole”, ha sottolineato Callamard.
Uno sforzo vitale per rafforzare la giustizia internazionale
Nonostante la crescente opposizione da parte di Stati potenti, cui quest’anno si
sono aggiunte le vergognose sanzioni dell’amministrazione Trump contro il
procuratore della Corte Penale Internazionale, la giustizia internazionale e gli
organi multilaterali hanno continuato a chiamare a rispondere i più alti livelli
del potere e i governi del sud del mondo hanno assunto diverse, importanti
iniziative.
La Corte Penale Internazionale ha emesso mandati d’arresto contro alti
funzionari di stato e leader di gruppi armati di Israele, della Striscia di
Gaza, di Myanmar e della Russia. Le Nazioni Unite hanno avviato i negoziati per
un trattato quanto mai necessario sui crimini contro l’umanità. Un mese fa le
Filippine hanno arrestato l’ex presidente Rodrigo Duterte, ricercato dalla Corte
Penale Internazionale per il crimine contro l’umanità di uccisioni.
La Corte internazionale di giustizia ha ordinato tre serie di misure cautelari
nel caso Sudafrica contro Israele per violazione della Convenzione sul genocidio
e ha emesso un parere in cui ha dichiarato che l’occupazione israeliana del
Territorio palestinese, compresa Gerusalemme Est, è illegale. L’Assemblea
generale ha approvato una risoluzione che chiede a Israele di porre fine
all’occupazione e, nel gennaio di quest’anno, otto Stati del sud del mondo hanno
costituito il “Gruppo degli otto dell’Aia” per impedire i trasferimenti di armi
a Israele e chiamare a rispondere questo stato di violazioni del diritto
internazionale.
“Plaudiamo agli sforzi di Stati come il Sudafrica e degli organi della giustizia
internazionale nel respingere la determinazione con cui gli Stati potenti stanno
indebolendo il diritto internazionale. Contrastando in tal modo l’impunità,
quegli Stati e quegli organi mostrano al mondo l’esempio da seguire. Il
crescente attacco cui stiamo assistendo, negli ultimi mesi, alla Corte Penale
Internazionale pare essere diventato uno dei grandi campi di battaglia del 2025.
Tutti i governi devono fare quanto è in loro potere per sostenere la giustizia
internazionale, chiamare gli autori di crimini di diritto internazionale a
risponderne e proteggere la Corte Penale Internazionale e il suo personale dalle
sanzioni”, ha commentato Callamard.
“Nonostante possano essere demoralizzanti, queste sfide non rendono inevitabile
la distruzione dei diritti umani. La storia abbonda di esempi di persone
coraggiose che hanno vinto contro le pratiche autoritarie. Nel 2024 elettori ed
elettrici di numerosi Stati hanno rifiutato col voto leader contrari ai diritti
umani e milioni di persone nel mondo hanno alzato le loro voci contro
l’ingiustizia. Dunque, è chiaro: non importa chi ci si metta contro, dobbiamo
continuare e continueremo a resistere a questi avventati sistemi di potere e di
profitto che cercano di privare le persone dei loro diritti umani. Il nostro
vasto e incrollabile movimento resterà unito per sempre nella comune visione
della dignità e dei diritti di ogni persona su questo pianeta”, ha concluso
Callamard.
Amnesty International