Sto dalla parte della famiglia nel bosco, di Carlo Cuppini
Pubblichiamo di seguito la riflessione che lo scrittore e poeta Carlo Cuppini ha
scritto, in un suo post Facebook, sulla vicenda della famiglia anglo-australiana
che vive nel bosco in Abruzzo. Un riflessione critica di una lucidità inaudita e
che merita di essere divulgata anche solo per il suo messaggio umanistico.
Sto dalla parte della famiglia nel bosco. Non perché personalmente condivida la
loro scelta. La rispetto, e in qualche modo ne sono anche affascinato: ma io
sono sempre per la scuola pubblica, e per vivere in mezzo alle cose, dentro la
società, con tutti gli inevitabili conflitti che ne derivano. Ma qui non conta
come la penso io; conta che lo Stato NON PUO’ separare i bambini dai loro
genitori, allontanarli dalla loro casa, SE NON dopo un lungo e delicato percorso
di conoscenza e di dialogo con la famiglia, al temine del quale risulti in modo
incontrovertibile che i bambini ricevono danni concreti da determinate azioni o
privazioni. Qui, a quanto pare, non c’è niente di tutto questo.
Niente elettricità (ma la madre non tiene corsi on-line?), niente bagni in casa,
nessuna iscrizione a società sportive (e allora?!), poche occasioni di socialità
(ma non stanno a dieci minuti dal paese?), i genitori non hanno entrate stabili
(quanti italiani ne hanno?). Questi gli elementi che hanno portato alla
decisione del giudice, a quanto si capisce dai media.
Viene da chiedersi che cosa troverebbero questi assistenti sociali e questi
giudici se entrassero in tutte le case italiane.
A gennaio scorso sono stati pubblicati i risultati della ricerca del CNR sui
mutamenti sociali. Rai News riportava:
“In Italia è boom di adolescenti ‘lupi solitari’, coloro cioè che stanno
iniziando a perdere la socialità al di fuori della scuola. I ragazzi con
esperienze sociali in rapida riduzione sono triplicati in tre anni, passando dal
15 al 39,4%, in pratica due giovani su 5, tra i 14 e i 19 anni. Dati ancora più
allarmanti per quanto riguarda i cosiddetti ‘ritirati sociali’, ovvero coloro
che hanno scelto il completo isolamento da qualsiasi contesto sociale e si sono
autoreclusi in casa. I cosiddetti Hikikomori, sono quasi raddoppiati in Italia
DOPO LA PANDEMIA, passando dal 5,6% del 2019 al 9,7% del 2022, ovvero uno su 10
in questa fascia d’età.”
Il maiuscolo è mio.
Dove erano questi assistenti sociali, questi giudici, e tutti i sostenitori di
questa decisione, quando il governo Conte II chiudeva in casa i bambini e i
ragazzi e “buttava la chiave”? Quel governo non è stato capace di pronunciare la
parola “bambini” per settimane, dopo la chiusura dei cittadini tra le loro
quattro mura di casa. Che in moltissimi casi erano mura molto vicine, a
perimetrare pochi metri quadrati. Nonostante gli allarmi di psicologi,
educatori, pedagogici, non è stato concesso niente ai bambini; non è stato
riconosciuto che i bambini e gli adolescenti hanno uno statuto speciale, hanno
bisogni speciali, hanno fragilità speciali. Niente. Ovunque, all’estero, i
bisogni dei bambini e dei ragazzi sono stati considerati, prevedendo casi di
specie ed eccezione. Né in Svizzera, né in Francia, né in Germania, né in
Spagna, né in UK – per non parlare dei paesi nordici – ai bambini e ai ragazzi è
stato impedito di uscire di casa per mesi.
Quando tra maggio e giugno 2020 si è riaperto tutto (e migliaia di persone si
“assembravano” per assistere all’autocelebrazione dello Stato – le Frecce
Tricolore – e si riaprivano le frontiere, e gli anziani riprendevano a sfogliare
la stessa copia sporca di marmellata dei quotidiani nei bar) dei bambini non si
è ricordato nessuno: la scuola è stato l’unico contesto sociale a non riaprire,
neanche per un simbolico (quanto sarebbe stato importante!) saluto finale; chi
ha finito un ciclo (quinta elementare, terza media, quinta superiore) non ha mai
più rivisto compagni e insegnanti. La richiesta avanzata da alcune parti per
riprendere la scuola a luglio e dare un senso – anche sociale – all’anno
scolastico, non è stata neanche presa in considerazione.
A metà giugno – mentre tutti ovunque facevano vita normale – c’erano ancora le
transenne intorno alle aree gioco nei parchi pubblici.
A luglio si mettevano nelle prime pagine dei quotidiani locali, invocando la
caccia alle streghe, i casi in cui in una festa di compleanno veniva fuori
qualche contagio; come se quegli episodi (e non la ripresa di TUTTE le attività
sociali del Paese) dovessero vanificare la (folle, insensata, oserei direi
criminale) strategia del Ministero della Salute “zero covid / rischio zero”.
A settembre i bambini tornavano a scuola e all’asilo con norme che non possono
essere definite se non come disumane. Norme che si è pure permesso di
interpretare in modo estensivo a singoli dirigenti e a singoli insegnanti:
impossibile dimenticare “le bolle” in cui i bambini di due, tre, quattro, cinque
anni erano costretti a stare, in alcuni asili e scuole infanzia, senza potere
entrare in contatto con una serie di compagni.
Dopo poche settimane, l’obbligo di mascherina al banco – un caso quasi unico nel
mondo occidentale, contro cui con tanti genitori ed educatori ci siamo battuti a
colpi di petizioni, lettere, mobilitazioni. La decisione del governo è stata
bocciata da una serie di pronunciamenti dei TAR e del Consiglio di Stato…
senonché ogni volta che una sentenza bocciava un DPCM, quello era già scaduto, e
sostituito da un altro uguale, con il risultato che i pronunciamenti dei
magistrati erano destinati a non avere effetto.
A fine 2021 si è permesso a Repubblica di ingannare bambini e ragazzi con il
video “La favola del cavaliere anti-covid”, che nel finale affermava: “[con il
vaccino] diventerete cavaliere anti-coronavirus, sconfiggerete il drago e NON
CONTAGERETE genitori e nonni.”
A inizio 2022 magistrati, assistenti sociali, garante nazionale infanzia (in
contrasto con molti garanti regionali, ben più lucidi e coraggiosi), non hanno
battuto ciglio quando si è deciso che adolescenti sani, capaci anche di provare
il proprio stato di salute con un tampone negativo, non potessero salire sui
mezzi pubblici, andare al bar o al ristorante, al cinema, a teatro e nei musei,
non potessero fare sport; in altre parole, come è stato detto da vari esponenti
politici (e anche medici e scienziati), sono stati ESCLUSI DALLA VITA SOCIALE,
per mesi, al pari di tutti i non vaccinati (che, stando alla famosa risoluzione
del Consiglio d’Europa di gennaio 2021 non avrebbero mai dovuto subire nessun
genere di discriminazione).
In quel caso diverse società sportive si sono mobilitate contro questa
abominevole infamia di Stato, denunciando i rischi derivanti dall’interruzione
di percorsi sportivi, a volte agonistici, a migliaia di adolescenti che avevano
fatto sacrifici per anni.
NON GLIENE E’ FREGATO NIENTE A NESSUNO: politici, scienziati, garante,
magistrali, Corte Costituzionale, Unicef, società civile…
Non proprio a nessuno: ci sono stati appelli di professori universitari, un
documento di Amnesty, voci di garanti regionali e di psicologi e pedagogisti; e
manifestazioni, e i portuali di Trieste, e Barbero, Agamben, Cacciari e Mattei,
e scioperi e digiuni: gocce nell’oceano del conformismo terrificante che – in
barba a qualunque principio di razionalità – ha saldato l’intero corpo sociale,
dall’uomo della strada al Presidente della Repubblica.
Non gliene è fregato niente a nessuno, e adesso, che mese dopo mese raccogliamo
tra i giovanissimi la devastazione che la classe dirigente pandemica ha
seminato, questi indifferenti vanno a misurare – chissà con quali sofisticate
strumentazioni – il livello di socialità dei bambini nel bosco.
E ancora: cosa hanno da dire i promotori e i sostenitori della separazione di
questi bambini dai loro genitori su un sistema economico che strutturalmente
esclude alcuni milioni di famiglie – quindi milioni di bambini e ragazzi – dalla
possibilità di accedere a condizioni di vita minimamente dignitose e salubri? E
cosa hanno da dire su un sistema politico che – tradendo il dettato
costituzionale – non è in grado di ridistribuire la ricchezza per garantire a
questi bambini e ragazzi opportunità pari a quelle di tutti i loro coetanei?
CARLO CUPPINI
Carlo Cuppini è nato a Urbino nel 1980 e da quindici anni vive a Firenze, dove
lavora come libraio, redattore editoriale e organizzatore culturale. Romanziere,
saggista e poeta, dopo aver dedicato il suo primo romanzo a Giordano Bruno, si è
totalmente immerso, per qualche anno, nella magia del teatro. Durante la
Covid-19 è stato tra gli intellettuali che ha criticato la gestione riduzionista
e securitaria della crisi sanitaria, ponendo l’accento sull’assurdità delle
politiche pandemiche, del Green Pass e criticando le strategie vaccinali. Sul
tema, nel 2021, è tra gli autori del capitolo “L’estate delle non persone” nel
libro “Noi siamo l’opposizione che non si sente”, a cura di Giulio Milani,
Transeuropa edizioni. Nel 2023 scrive la prefazione “Un’altra storia” al libro
“Lezioni dal virus. Diario pandemico di un insegnante incredulo” di Nino
Finauri. Ha pubblicato un libro di racconti onirici e fantascientifici, “Il
mondo senza gli atomi”, e due libri di poesie, “Militanza del fiore” e “Quando
le volpi puniscono gli uomini”; ha collaborato come poeta e drammaturgo con
gruppi di ricerca teatrale ,coreografica e musicale. Conduce attività creative
con i bambini. “Il mistero delle meraviglie scomparse” è il suo primo libro per
bambini.
Redazione Italia