Miniere, schiavi e rame nel Congo in guerra e senza più strade
Guerra delle milizie armate nell’Est e assoluta fragilità delle infrastrutture
al Sud; insicurezza, schiavitù e morte in miniera, con il crollo frequente e
tragico dei giacimenti di oro e rame nell’ex Katanga e nell’Est.
La Repubblica Democratica del Congo appare un colabrodo, ricchissima di tutto e
in estrema sofferenza.
Sabato scorso è collassata la miniera di rame di Kalando, nella provincia
sud-occidentale di Lualaba: un cedimento strutturale provocato dal crollo del
ponte attraversato dai minatori illegali, che erano stati presi di mira dai
fucili dei militari.
Un insieme di concause fatali che hanno portato alla morte di 32 persone.
Naturalmente questo non è il solo incidente ma quasi la norma.
«Alla radice di tutti i mali in Repubblica Democratica del Congo c’è la
corruzione ad ogni livello, che chiamerei cleptocrazia», ci spiega don Davide
Marcheselli da Kitutu, nel Sud Kivu.
«Le guerre sono funzionali alla predazione del territorio».
Il ricco sottosuolo a sua volta è alla mercè di chiunque abbia una licenza per
scavare. Ma anche di chi non ce l’ha.
I minatori lavorano nei siti per pochi dollari al giorno e gli “illegali”
scavano per cercare oro o rame che rivendono poi ai contrabbandieri fuori dal
paese. «Così si alimentano le condizioni affinché le ruberie vadano avanti
all’infinito», dice.
E la responsabilità non è solo di Paesi terzi ma dei governanti stessi. Le città
dell’Ovest, Lubumbashi e Kolwezi in particolare, nell’ex Katanga, proprio dove è
implosa la miniera di rame (e dove vivono gli schiavi del cobalto), sono
diventate la “cassaforte” della famiglia presidenziale.
L’ex Zaire, antica colonia belga, cassaforte di re Leopoldo del Belgio, era suo
possedimento personale. E gli attuali re si rifanno a questo modello coloniale.
Alcune recenti inchieste giornalistiche, come quella di Africa Intelligence,
parlano di corruzione e sottrazione di denaro pubblico per sfruttamento
minerario tramite il gruppo kazako Eurasian Resources Group. Kolwezi è sede di
un quarto di tutte le riserve mondiali di cobalto ed è la più sfruttata:
un’intera popolazione di poveri è “impiegata” nei siti minerari.
Nel frattempo il Paese non si regge in piedi: strade e infrastrutture mal
costruite e prive di manutenzione crollano, anche sotto il peso dei trasporti
fuori controllo delle compagnie minerarie. «E nessuno le ricostruisce», dice il
missionario.
Come accade per un’arteria stradale importantissima nel Sud Kivu, completamente
fuori gioco da due anni: la Route Nationale numero 2 che collega Bukavu ad una
serie di centri abitati del Sud Kivu. «Si stanziano soldi per ricostruire o
aggiustare ma questi finiscono nelle mani di capi locali – denuncia Marcheselli
– e le strade non ci sono più».
Il territorio di Mwenga, dove passa la strada nazionale interrotta, è uno «dei
più ricchi della regione ma è anche uno dei più sfruttati illegalmente», si
legge in un documento che la società civile Force Vive ha consegnato al capo di
Stato e che don Marcheselli condivide con noi.
«Le società minerarie, per lo più a capitale cinese, operano senza alcun
rispetto della legge, senza reali vantaggi per la popolazione, e distruggono la
RN2 (la route nationale numero 2)».
Sono oltre 30 le società minerarie che dilapidano le ricchezze di Mwenga.
L’arteria stradale sarebbe fondamentale per il trasporto dei camion che fanno
arrivare nei villaggi beni di prima necessità, ma i tempi si allungano in modo
esasperante. «Per arrivare da Kitutu a Bukavu impiegavo due ore prima, adesso ci
vogliono due giorni – spiega il missionario – va da sé che anche i prezzi dei
beni aumentano».
Un litro di carburante è passato da 5000 franchi belga a 10mila, ossia da un
euro e 80 a quasi 4 euro. E un chilo di farina arriva a costare quasi un euro:
una cifra enorme per chi ne guadagna a malapena 50 al mese.
Il caos del Congo è dunque anche il frutto del malgoverno, di una gestione
autoritaria e orientata al profitto, che contribuisce ad impoverire comunità
sempre più desolate.
Redazione Italia