Dal basso verso l’alto. Come un montante
Il pugilato come riscatto. Come rivincita. Forse la favola più bella che il ring
possa raccontare. Ma anche la più semplice da “vendere”, ottima per il grande
schermo, per una certa retorica sempreverde in un paese profondamente cattolico
come il nostro, bramoso di lieto fine e avaro di indulgenze e autoassoluzioni.
Perfetta per ripulire la coscienza.
Nel weekend scorso invece al PalaDozza a Bologna due meravigliose storie di
pugilato, autentiche, vere, che sanno di riscatto ma non sono però per le anime
belle. Storie di resistenza. Di fatica. Di sudore. Di sacrifici e di
difficoltà.
Due capolavori sportivi ma soprattutto umani: Pamela Malvina Noutcho Sawa
campione mondiale International Boxing Organization (IBO) dei leggeri e Ghaith
Weslati campione italiano dei piuma.
Perché in tanti oggi si profondono in applausi, parlando il linguaggio educato
dell’integrazione, del volemose bene, celebrando queste due vittorie come
esempio virtuoso dei cosiddetti “nuovi italiani”, ma si dimenticano il
trattamento e le ingiustizie che questi due atleti hanno subito.