Il carcere “Beccaria” di Milano apre le porte agli eredi della X^ MAS
Come mai un minore detenuto al carcere “Beccaria” di Milano, uno dei circa 600
detenuti nei vari IPM, Istituti Penali Minorili, si presenta in un’aula, per
un’attività formativa con un braccio fasciato fino alla spalla?
«Abbiamo fatto – risponde con sincerità il ragazzo – un’esercitazione pratica
con dei tipi della Marina Militare». In realtà, non sono dei militari
“qualunque” quelli entrati al “Beccaria” nel quadro del progetto “Palla al
centro” organizzato da un colosso delle attività di assistenza soprattutto
rivolte ai giovani in tutto il mondo, in particolare in centro America: la
Fondazione Francesca Rava vanta, infatti, oltre 28 milioni di euro nell’ultimo
stato patrimoniale pubblicato in rete.
Siccome poi c’è fondazione e fondazione, cioè c’è chi lavora bene di pubbliche
relazioni e chi invece lavora dietro i riflettori, ma portando lo stesso un
proprio contributo altrettanto incisivo, nel 2023 la Fondazione Rava ha firmato
una convenzione anche con la Marina Militare, per collaborare sul versante
umanitario (vedi “war-washing”) in occasione di uno dei più grossi progetti
propagandistici della Marina Militare come il giro del mondo o tante altre
missioni pubblicitarie portate a zonzo dall’Amerigo Vespucci.
I marinai in questione entrati nel carcere “Beccaria” fanno parte del corpo di
élite COMSUBIN, quello che immancabilmente viene presentato, con uno
stand/gazebo a lui dedicato, nelle varie kermesse militaresche, proprio per
l’indubbio fascino avventuroso che può suscitare nei giovani.
In quei giorni, inoltre, erano presenti con tutto il loro adrenalinico apparato
d’assalto, il Gruppo Operativo Subacquei (GOS) e il Gruppo Operativo Incursori
(GOI), tanto che le foto li ritraggono, ora in fondo alla piscina del Beccaria
ora nel cortile interno dove appunto si svolse un’esercitazione a corpo libero,
durante la quale, in una simulazione forse un po’ troppo muscolare, il giovane
si è infortunato.
«Sono stati tre giorni intensi, ricchi di momenti di condivisione e attività con
lo scopo di favorire uno scambio di valori centrato sul rispetto e sullo spirito
di squadra – si legge sul sito della Fondazione che poi, rincarando la dose in
pieno stile Istituto Luce anni ’30, descrivendo come – nella piscina dell’IPM,
guidati dagli istruttori Palombari, i detenuti (N.B. non “i ragazzi”, n.d.r.)
hanno indossato mute, maschere e bombole d’aria per svolgere attività in
immersione. In palestra e all’aperto hanno affrontato insieme agli istruttori
Incursori esercizi ginnici e a corpo libero e in aula hanno avuto modo di
conoscere il mondo e i valori della Marina Militare, in particolare il lavoro
delle Forze Speciali».
La retorica raggiunge poi l’apoteosi nei saluti/ringraziamenti finali:
«Ringraziamo il Contrammiraglio Stefano Frumento e tutta la squadra di Comsubin
che è stata al nostro fianco, per noi è sempre meraviglioso vedere i ragazzi
dell’IPM (N.B. non “i detenuti”, perché nei saluti finali si diventa più umani!
n.d.r.) pronti ad accettare tutte le sfide, anche le più difficili, proposte
dagli istruttori del Comsubin».
A quali sfide ci si riferisce? E quali sarebbero, tra queste, le “più
difficili”? Siamo sicuri che la Marina Militare e, in particolare i propri
incursori, quelli che nelle parate del 2 giugno urlano a squarciagola e con
orgoglio la loro origine “X^ MAS!” col braccio destro teso che ogni volta viene
confuso col saluto fascista ma in realtà non lo sarebbe, sia in grado di
svolgere un ruolo di inclusione sociale? Dopo le “carriere in divisa” o “gli
studenti con le stellette”, per citare solo alcuni degli slogan pubblicitari di
alcune agenzie di orientamento alla guerra, ora abbiamo anche “gli ex-galeotti
in divisa”? Forse vogliamo fargli pagare col sangue o sacrificare la loro stessa
vita per risarcire la società di qualche malefatta o per essere entrati
“clandestinamente” sul suolo patrio?
A questo punto ci chiediamo e chiediamo al Ministro Nordio e al direttore del
DAP, ma anche al direttore di un carcere, un tempo fiore all’occhiello ed
esempio per tutta Italia, ma che negli ultimi due anni ha visto crescere del 50%
quella ristretta minoranza (poco più del 3% sul totale inseriti nel circuito
penale) di giovani e giovani adulti ristretti: qual era e qual è precisamente la
finalità educativa di un’attività che è propedeutica alla guerra? Perché si è
scelto proprio un corpo di élite con quel tipo di retroterra storico? Dal
momento che il numero di giovani dell’area non-Schengen è aumentata
esponenzialmente, per caso si pensa anche alle Forze Armate come modalità di
inclusione sociale con acquisizione contestuale della cittadinanza italiana? Una
cittadinanza…con le stellette?
Stefano Bertoldi, Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle
università