Tag - People’s Peace Summit di Gerusalemme

Milano Civil Week: l’Europa siamo anche noi!
Nelle giornate tra l’8 e l’11 maggio si è tenuta a Milano presso il palazzo Giureconsulti di Piazza Mercanti l’Edizione 2025 della Civil Week, con la partecipazione di personalità come Mario Monti, Raffaele Fitto, il Sindaco Sala, Pina Picerno, Enrico Letta, Liliana Segre, Roberta Metsola e tanti altri personaggi. Il tema di fondo era “L’Europa siamo noi”, associato alla settimana del volontariato milanese del terzo settore. C’eravamo anche noi, del CLN Resistenza di Milano, “personaggi” che non sono passati inosservati, presenti dall’inizio alla fine, per tre lunghi giorni consecutivi, con volantini e cartelloni. Come guardiani della soglia, ai lati della porta d’ingresso, abbiamo distribuito a ogni partecipante, invitato e relatore, organizzatori e collaboratori, oltre che ai tanti passanti, il nostro “lasciapassare” costituito da ben due volantini. In un volantino era espressa una prospettiva divergente rispetto al tema proposto dagli organizzatori: “Questa Europa non siamo noi” come già avevamo argomentato su questa testata qualche giorno fa. Nell’altro la buona notizia, che neppure l’organizzazione di questa manifestazione (fra cui il Corriere della Sera, che pure avrebbe un inserto settimanale e relativa redazione in tema di “Buone Notizie”) ha dato e cioè quella del People’s Peace Summit che si è svolto in contemporanea alla Civil Week, nel cuore di Gerusalemme (innumerevoli articoli su Pressenza, di cui l’ultimo della serie qui). In totale sono stati distribuiti 2.000 volantini, l’ultimo dei quali con grande soddisfazione alle 19,50 di sabato 10 maggio. Soddisfazione per la riuscita di questa piccola iniziativa nata in continuità con l’attenzione portata dal gruppo da circa due anni al tema della censura, della propaganda e della manipolazione delle informazioni del mainstream. La manifestazione, per come è stata proposta, ci è apparsa subito un’ulteriore operazione di propaganda che dai mezzi di informazione, che ogni giorno di più stanno perdendo lettori e spettatori oltre che credibilità, si è trasferita direttamente e fisicamente a contatto con i cittadini. Il volantino ricorda infatti anche le varie e precedenti manifestazioni e mostre diffuse sul suolo cittadino che, attraverso accattivanti temi e altisonanti collaborazioni, luoghi suggestivi, contesti normalmente non accessibili al pubblico, personaggi famosi del mondo della cultura, dello spettacolo e della società civile (il tutto naturalmente in modo assolutamente gratuito), hanno cercato di far passare messaggi e costruire un pensiero che rischia di diventare acritico, basato sulla fiducia. Ma fiducia in chi e cosa? Fiducia nelle fonti di sapere istituzionale; fiducia nell’operato di chi ci governa anche quando non possiamo essere d’accordo; fiducia nei valori e obbiettivi dell’Unione Europea. Ciò che accade è sotto gli occhi di tutti: una realtà distorta e distopica, risultato dell’ottundimento delle coscienze generato da una grande manipolazione che a livelli diversi di consapevolezza e per differenti ragioni opera ormai ovunque. E come risultato guerre, povertà, inquinamento, genocidio, censura…ma noi dovremmo avere fiducia. Inutile dire che la nostra presenza ha enormemente disturbato gli organizzatori, che ci hanno dapprima sopportato non potendo fare altro e poi incalzato dicendo che non avevamo capito nulla di ciò che si stava svolgendo all’interno e che stavamo rovinando tutto con la nostra presenza. Punti di vista diversi e legittimi che abbiamo discusso con le molte persone con cui siamo entrati in contatto: insegnanti, giovani, stranieri incuriositi, invitati sorpresi, organizzatori disgustati, passanti casuali. Fra i tanti incontri una passante si è dichiarata “Rappresentante in Italia della Commissione Europea” e ha “minacciato” di segnalare i nostri volantini agli uffici di Bruxelles per una possibile azione nei nostri confronti. Vedremo cosa succederà. Il contatto con le persone è fondamentale e questo è stato ben compreso, dovrà esserlo sempre più anche per le voci dissenzienti. Noi siamo fiduciosi che le tante piccole fiammelle che già ci sono e operano diventeranno presto una grande luce diffusa che illuminerà la realtà. Che potrà non essere piacevole, ma almeno sapremo con chi abbiamo a che fare e finalmente ci organizzeremo. Intanto anche dei semplici volantini e qualche manifesto possono fare molto!     Loretta Cremasco
In tantissimi, Israeliani e palestinesi insieme, per dire “La pace ora”
People’s Peace Summit di Gerusalemme, 8 – 9 maggio Migliaia di persone hanno riempito ieri ogni possibile spazio dell’International Convention Center di Gerusalemme per il People Peace Summit che nell’arco di questo mese abbiamo provato a raccontare intervistando alcuni dei principali promotori. Ed è stato un successo, platea piena, ripetuti applausi per tutti gli interventi, una chiarissima dichiarazione di “basta con questa guerra devastante per tutti” e una corale manifestazione di unità, nella sollecitazione di una soluzione politica al conflitto. Organizzato dalla It’s Time Coalition, alleanza di oltre 60 organizzazioni per la pace, la riconciliazione e la convivenza, è stata la più grande mobilitazione contro la guerra dal 7 ottobre: una due-giorni che si è inaugurata nel pomeriggio di giovedì 8 maggio, con  un fitto programma di appuntamenti culturali in tutta la città: proiezioni di film, concerti, mostre d’arte di artisti ebrei e arabi, e naturalmente dibattiti e incontri (elenco delle iniziative qui: https://www.timeisnow.co.il/thursday-english).  Ma il piatto ‘forte’ era appunto ieri, venerdì, al Jerusalem International Convention Center, con la plenaria nella Main Hall la mattina e a seguire 12 sessioni simultanee. Oltre 5000 (secondo gli organizzatori) i partecipanti, tra cui parecchi militari israeliani contrari alla guerra in corso, molti familiari degli ostaggi, sopravvissuti agli attacchi terroristici, parenti in lutto per le vittime della guerra, residenti della regione di confine di Gaza, esperti legali, artisti, diplomatici, opinion leaders, sia ebrei che arabi: un bel campionario di società civile per niente rassegnata, anzi in movimento, unita dal forte e corale appello: “It’s now! È ora di porre fine alla guerra“. “Siamo qui per ricostruire un forte campo di pace” ha esordito l’attore e conduttore israeliano Yossi Marshek inaugurando la sessione mattutina. È seguita la testimonianza del pilota che qualche settimane fa aveva promosso una lettera molto discussa (molto ripresa dalla stampa internazionale), firmata da centinaia di militari israeliani attualmente (e anche non più) in servizio, in cui denunciava l’inaccettabilità delle operazioni di guerra verso obiettivi per lo più civili, e sollecitava l’immediato cessate il fuoco. Tantissimi gli spunti emersi nella sessione di apertura dal titolo “Ci sono partner e c’è una via”: troppi per essere riassunti in un unico articolo, ci sarà tempo in seguito, anche per un bilancio. Ma indubbiamente il focus tematico principale della mattinata è stato il dibattito circa le varie soluzioni sul tappeto, in vista di una soluzione politica al conflitto. E su questo punto si sono espressi l’ex primo ministro israeliano Ehud Olmert, insieme all’ex ministro degli esteri palestinese Nasser al-Qidwa, che hanno presentato il ‘piano di pace’ che da tempo stanno promuovendo.  “La pace è essenziale ma dobbiamo offrire alla comunità internazionale e ai nostri due popoli un piano che possa dirsi fattibile e l’unico piano è la soluzione a due Stati” ha detto Olmert. “Ci sarebbero altre idee, come la soluzione ‘unico stato’ che non ci trova d’accordo, che riteniamo la miglior ricetta per l’infinito scontro fra i due popoli. Siamo per una soluzione che possa offrire un reale cambiamento nelle relazioni fra i due popoli, a cominciare dal diritto all’autodeterminazione, alla libertà di movimento e di voto a parità di condizioni, in condizioni di completa eguaglianza per tutti i cittadini di ciascun stato. E dunque il nostro piano prevede una soluzione a due Stati basata sui confini pre-1967 di Israele: quando il partito Likud entrò per la prima volta al governo, nessuno credeva che Menachem Begin avrebbe fatto pace con l’Egitto e che Israele si sarebbe ritirato dal Sinai, e invece è successo!” “Questa conferenza è indubbiamente importante” ha aggiunto Nasser al-Qidwa intervenendo in videomessaggio. “Ma poiché l’establishment israeliano farà di tutto per boicottare questa soluzione, dipende da noi credere nella coesistenza, nella redistribuzione dei territori come unica garanzia di futuro comune. Ma senz’altro occorre mettere fine al colonialismo d’insediamento. Occorre fare una scelta: o si pensa che la terra appartiene già tutta a Israele, che quindi ha diritto di colonizzarla ed espellere la gente che ci vive dalla Cisgiordania come da Gaza; oppure bisogna creare le condizioni di coesistenza per i due popoli, occorre credere nella divisione dei territori, senza escludere forme di cooperazione. (…) La prima cosa da risolvere però è Gaza, è urgente arrivare ad un accordo: per il rilascio degli ostaggi parallelamente al  rilascio dei prigionieri palestinesi. E chiaramente la struttura governativa dovrà essere legata all’Autorità Nazionale Palestinese, cui delegare la responsabile per la ricostruzione di Gaza. (…) Naturalmente sarà necessario negoziare tante cose: insediamenti, rifugiati, misure di sicurezza su entrambi i fronti ecc. Ma niente sarà possibile, se non creeremo una nuova cultura, tra israeliani e palestinesi. Oggi siamo qui per dire che insieme dobbiamo andare avanti e costruire un futuro. Solo così potremo contare.” Solo pochi minuti prima il giornalista palestinese Mohammed Daraghmeh, presente di persona grazie ad un permesso ‘concesso’ proprio all’ultimo momento, aveva descritto una situazione in Cisgiordania già molto ‘israelizzata’:  “Andando da Ramallah a Nablus per esempio c’è tutta una geografia e una quantità di infrastrutture – ponti, strade, segnaletica, aziende agricole, impianti per la produzione di energia solare – che sembra di essere in Israele. Israele ha usato la guerra a Gaza come copertura per annettere anche la Cisgiordania, che per il 60% è ormai soggetto a progetti d’insediamento secondo il ben noto piano di Bezalel (Ministro della Difesa Israeliano), che ha creato un dipartimento apposta per agevolare l’espansione dei coloni, rendendo le comunità palestinesi dei cantoni. (…) Ma se Israele e Palestina vengono lasciati a loro stessi, non c’è speranza, è da 30 anni che negoziano senza successo, con Israele che ha continuato a mangiare la torta messa sul tavolo negoziale. Senza una forte pressione da fuori per fermare gli insediamenti dei coloni, non c’è futuro per lo Stato Palestinese. Agli israeliani vorrei dire però che l’espansione degli insediamenti sarebbe controproducente anche per loro, perché alla fine si ritroveranno con uno Stato unico, con i problemi che possiamo prevedere. (…) E dunque è importante che su questo problema intervenga anche la comunità internazionale, con sanzioni che scoraggino gli insediamenti, in modo da frenare questa espansione che rende sempre più difficile la soluzione a due stati.”  Sulla questione è intervenuta anche Rula Hardal alla co-direzione (insieme all’israeliana May Pundak) dell’organizzazione A Land for All: “Si parla di due Stati ma la realtà sviluppatasi sul terreno ormai da decenni non è quella della separazione. Siamo interconnessi e dobbiamo capire che occorre un altro piano per rispondere a questa situazione d’interdipendenza. Per questo proponiamo una soluzione confederativa, con istituzioni e soluzioni condivise, per esempio sul piano della salute, dell’ambiente, dell’educazione, cioè … della convivenza. Ci sono poi tematiche difficili che le due parti non hanno mai davvero affrontato, come il diritto al ritorno. Il 7 ottobre e la guerra genocida che ne è seguita sono stati momenti di non ritorno, sia per i palestinesi che per gli israeliani…” Le ha fatto eco May Pundak: “Pensiamo anche alla crisi climatica, ai corsi d’acqua… dobbiamo capire che la segregazione non assicura a nessuna delle due parti un futuro di sicurezza. L’interdipendenza israelo-palestinese è il punto di partenza.” In un videomessaggio da Ramallah, il presidente palestinese Mahmoud Abbas si è limitato a una dichiarazione di circostanza: “Attraverso la giustizia, possiamo garantire la sicurezza e un futuro a tutti i popoli della regione: la pace è possibile e dipenderà da tutti noi renderla possibile.” E in rappresentanza della tanto evocata ‘comunità internazionale’ è intervenuto in video messaggio per ben 5 minuti il primo ministro francese Emmanuel Macron: “I nostri cuori sono sia con le famiglie Israeliane che con quelle Palestinesi. Sosteniamo con la più grande convinzione questo processo di pace che ha reso possibile queste due giornate a Gerusalemme, in coincidenza con le celebrazioni della fine della guerra 80 anni fa in Europa, e intendiamo essere al vostro fianco per qualsiasi futura iniziativa” e in particolare ha accennato a un molto prossimo tavolo negoziale, che dovrebbe avvenire in Arabia Saudita nel mese di giugno (YouTube qui (150) Macron – It’s time: my message to the People’s Peace Summit in Jerusalem. (09.05.25) – YouTube). Tra i tanti interventi non potevano mancare quelli di coloro che la guerra ha colpito negli affetti: Maoz Inon (tra i principali organizzatori di questo evento) che ha perso entrambi i genitori amatissimi il 7 ottobre; Liat Atzili, il cui marito è stato ucciso nello stesso giorno; Sigalit Hilel, madre di Ori, ucisso al Nova Music Festival; Elana Kamin-Kaminka, madre di Yannai, ucciso anche lui il 7 ottobre. “E’ da oltre un secolo che siamo vittime di questo ciclo di violenza” ha detto Elana. “E’ ora di utilizzare tutte le nostre risorse di umanità e creatività per la soluzione di questo conflitto, lo dobbiamo ai nostri figli.”  Parole non diverse da quelle della palestinese Soumaya Bashir, dell’organizzazione Women Wage Peace: “Come donne, affermiamo la vita contro chi vuole solo morte e davastazione. Guai rifugiarsi nel silenzio e nel dolore, il momento di unirsi tutte e tutti nell’azione è adesso!” E da Makbula Nassar, giornalista e attivista, l’appello: “Ascoltiamo le grida dei bambini affamati di Gaza. Mettiamo fine alla crudeltà e ai crimini cui da troppo tempo assistiamo, perché non ci sarà ‘un giorno dopo’ per le nostre coscienze e tutti noi meritiamo di essere liberati da questa infinita oppressione. E solo con la pace, potremo esserlo.” Entrambe le giornate sono state trasmesse in diretta streaming a decine di raduni di solidarietà in più di 20 città in tutto il mondo, tra cui Londra, Berlino, Sydney, New York e Boston. Per l’Italia ci sono state proiezioni collettive a Firenze, a cura della sezione fiorentina di “Sinistra per Israele” e presso l’Università di Udine.  Link ai precedenti articoli su Pressenza: Intervista agli organizzatori Maoz Inon e Aziz Abu Sarah https://www.pressenza.com/it/2025/05/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-9-maggio-le-parole-di-yair-asulin/ https://www.pressenza.com/it/2025/04/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-e-9-maggio-intervista-ad-aziz-abu-sarah/ Intervista a Nivine Sandouka: https://www.pressenza.com/it/2025/04/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-e-9-maggio-intervista-ad-aziz-abu-sarah/ Intervista alle co-produttrici Mika Almog, May Pundak, Maya Savir: https://www.pressenza.com/it/2025/05/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-9-maggio-quando-le-donne-si-muovono/ Presentazione dell’iniziativa: https://www.pressenza.com/it/2025/05/peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-e-9-maggio-ma-di-che-pace-stiamo-parlando/   Daniela Bezzi
People’s Peace Summit di Gerusalemme, 8 e 9 maggio. Ma di che pace stiamo parlando?
Ma di che pace stiamo parlando? Domanda che sorge spontanea in queste ore in cui ci prepariamo ad assistere con il fiato sospeso alla scomparsa della Palestina, alla definitiva resa dei conti su ogni possibile fronte, con l’annunciata (già da giorni in effetti) offensiva di terra nella Striscia di Gaza, la popolazione palestinese già stremata dal blocco degli aiuti e dalla fame dopo 18 mesi di guerra, che dovrebbe secondo i piani ammassarsi nell’ennesimo campo profughi a sud della striscia, alla mercé degli aiuti elargiti dall’IDF, per poi lasciarsi deportare chissà dove e da chi. E dunque: siamo alla pulizia etnica non più solo denunciata dalle varie corti internazionali, ma chiaramente strombazzata a reti unificate e pazienza se ciò significherà il sacrificio degli ostaggi, questo è il prezzo che Netanyahu sta infliggendo alla società israeliana per la propria sopravvivenza politica. Riservisti richiamati a migliaia per lo scontro finale, negoziati interrotti perché non c’è più niente da negoziare, cieli dichiarati no-fly zone… E tutti noi che possiamo solo restare a guardare, i nostri governi totalmente complici dell’apocalisse in diretta, con gli appelli, le iniziative di solidarietà, le luci che si spengono, le raccolte firme, i post che ci scambiamo per placare l’angoscia, dare fiato all’indignazione, esprimere vicinanza a Gaza… ben sapendo che non servirà a nulla, che i giochi sono fatti, nulla potrà scongiurare la mattanza, il progetto della Grande Israele si sta compiendo, con il sostegno più che mai “interessato” di Donald Trump. Sullo sfondo di tutto questo ecco che oggi si inaugura questo People’s Peace Summit di Gerusalemme che, progettato mesi fa, ha un che di surreale. Pace: parola ormai così svuotata di senso, così facilmente ridicolizzata (come hanno sottolineato le tre co-organizzatrici Mika Almog, May Pundak e Maya Savir nella recente intervista che potete rileggere qui). E sarà pur vero che la proposta di cessate il fuoco sta guadagnando favore finalmente all’interno della società israeliana (o così dicono i sondaggi, per esempio questo diffuso da aChord Institute). Ma quanto alla riconciliazione? Chissà per quanto tempo la sola idea resterà indigeribile per quell’”altra parte” che ci piacerebbe immaginare coinvolta nella progettazione del giorno “che verrà dopo la fine della guerra” – quei sette milioni di palestinesi che semplicemente dovrebbero sparire. Cosa potrà mai significare per loro questo People’s Peace Summit rutilante di eventi, proposte, ottime intenzioni, che si inaugura oggi a Gerusalemme… Me lo chiedo mentre sul cellulare mi arriva un ultimo post di Maoz Inon, tra i più convinti promotori dell’iniziativa, che così recita: “…mentre la guerra infuria con sempre maggiore violenza su Gaza, già da tempo priva di aiuti umanitari e persino di cibo, il movimento israelo-palestinese rifiuta di restare in silenzio (…) Di fronte a questo orrore migliaia di israeliani e palestinesi  stanno per raggiungere Gerusalemme, per dire (in grassetto nel testo):  E’ ora! E’ ora di fermare il massacro. E’ ora di finirla con l’assedio. E’ ora di scegliere la giustizia, l’uguaglianza, e la pace – per tutti. (…) Oggi e domani, Gerusalemme sarà teatro  del più grande evento contro la guerra e per la pace mai organizzato in Medio Oriente. (…) Esci dal silenzio,  unisciti al nostro programma d’azione, partecipa oppure sintonizzati … ” E quindi vietato scoraggiarsi, senz’altro proseguiamo nel nostro intento di avvicinamento, esplorazione, ascolto, rispetto a questo mirabile “campo di pace” che è andato crescendo con grande coesione interna e maturità nei mesi scorsi, e che si ripresenta oggi come da programma, e anzi ha già avuto alcune belle anticipazione in varie città del mondo, come potete vedere nello slide show qui sotto.   San Francisco, Los Angeles, Londra, Sidney, Seattle, Boston, Baltimora: grazie al formidabile networking messo in moto dal movimento israelo-palestinese Standing Together (tra i più attivi della coalizione di 60 organizzazioni promotrici) ecco una bella carrellata di foto delle iniziative che già da domenica scorsa, 4 maggio, si sono mobilitate in sostegno di questo Peace Summit, ahimè così ignorato dal mainstream, e invece più che mai importante e necessario adesso. E passiamo quindi al programma, davvero ricchissimo, dei dibattiti, seminari, incontri, momenti anche ricreativi, che riempiranno questa due-giorni di Gerusalemme: elenco troppo lungo per essere riportato integralmente, per cui limitiamoci a segnalare i focus tematici più significativi. Per quanto riguarda la giornata di oggi, succede tutto nel pomeriggio e il palinsesto è articolato tra diverse sedi ospitanti sparse in tutta la città (elenco dettagliato degli appuntamenti a questo link:  https://www.timeisnow.co.il/thursday-english Cinematheque Sam Spiegel, Willy Brandt Center, Smadar Project, FeelBeit, Muslala, Hamiffal, Mizkaka, YMCA, una quantità di locations che ben rappresentano una Gerusalemme in movimento e disposta non solo a ospitare, ma a mettersi in gioco – e ad accettarne i rischi, se pensiamo alle sempre più frequenti aggressioni nei confronti del fronte pacifista da parte delle squadracce di fondamentalisti, con il beneplacito delle FFOO, come dimostrano queste allucinanti riprese, diffuse ieri da Assopace Palestina Tra i vari appuntamenti, quello forse più importante sarà alle 18 al Cinemateque per la proiezione del film “Wave Goodbye to Dinosaurs” di Eimhear O’Neill, che racconta il processo di pace nell’Irlanda del Nord avvenuto soprattutto grazie a quella bellissima Coalizione di Donne dell’Irlanda del nord, dal fronte sia cattolico che protestante. E subito dopo il film è previsto infatti un confronto con due delle protagoniste, Monica McWilliams e Avila Kilmurray in dialogo con Yael Brouda-Bahat, fondatrice (insieme alla compianta Vivien Silver, vittima dei miliziani il 7 ottobre) e co-direttrice del movimento Women Wage Peace, che conta la bellezza di oltre 50 mila associate in Israele, in partnership con le palestinesi Women of the Sun. Ma già da prima, h 16 allo spazio Mizkaka, ci saranno Maoz Inon e Aziz Abu Sarah che abbiamo intervistato per Pressenza qui e qui, che oltre a rievocare la storia della loro fraterna amicizia sul fronte della pace, offriranno alcune semplici ‘ricette’ perché la speranza possa diventare azione, che è poi lo slogan dell’intero progetto: hope is a verb… la speranza è una cosa che si fa. Tralasciamo di descrivere nei dettagli le altre proiezioni (di corto e lungometraggi), i laboratori creativi (molti per bambini), le performances (per esempio quella dell’artista Idith Kishinovsky, specializzata in “tecniche affettive e da clown” per volgere in cambiamento le situazioni di conflitto), i momenti di preghiera (per esempio con l’Ensemble Eretz, che vedrà in scena artisti israeliani e palestinesi diretti da Yonatan Konda), il Peace and Ecology Festival dalle 14 in poi al Muslala’s Terrace, la mostra in tema di “Arte Politica” al Museum on the Seam e del previsto incontro con il curatore/artista/attivista Chen Shapira che avverrà sul tetto del Museo medesimo (tutti i dettagli al link di cui sopra…) E senz’altro segnaliamo l’importante mostra all’YMCA dal titolo “Foundations” che attraverso i lavori di Anisa Askar e Daphna Tal esplora gli elementi fondamentali dell’islamismo. E infine verso le 8 di sera ci sarà l’evento “Seekers of Peace” presso l’Hadar Institute, che proverà a “immaginare un futuro migliore per tutti gli abitanti di questa terra, nonostante la dolorosa realtà in cui ci troviamo”. Tra gli organizzatori/speakers riconosciamo il nome di May Pundak, fondatrice e co-direttrice di A Land for All (che abbiamo intervistato qui), e di vari attivisti del movimento Rabbini per i diritti umani. Bellissime le proposte-tour: dalle 9 del mattino fino al tramonto vari percorsi “tematici” per le strade di Gerusalemme, guidati dalle varie organizzazioni coinvolte nel progetto, fra cui Ir Amim,  Zochrot, Peace Now, la stessa Mejdi Tours fondata da Aziz Abu Sarah, con la doppia narrazione di due diverse voci-guida, israeliana e palestinese, “per andare alla scoperta non solo dei trascorsi problematici di questa città, ma anche delle successive opportunità di intersezione e dialogo, tappa per tappa”. La giornata si concluderà con una Silent Peace Walk: momento meditativo “ispirato dagli insegnamenti del Mahatma Gandhi, di Martin Luther King, del Rabbino Abraham Joshua Heschel e molti altri. E veniamo alla giornata principale, ossia il 9 maggio da mattina a sera presso il Jerusalem International Convention Center, lo stesso che un annetto e mezzo fa ospitò quella mega e molto minacciosa assemblea di coloni e rappresentanti del peggior fondamentalismo sionista, che in qualche modo ispirò l’urgenza di questa iniziativa, all’insegna proprio del Diamoci Una Mossa… è ora! Dopo l’evento di apertura (dalle ore 9 in Italia, fruibile in streaming sui canali Facebook e You Tube di It’s Time: https://www.youtube.com/live/DIs8F5iwN5w) che avrà la funzione di passare in rassegna le principali organizzazioni coinvolte e riassumere un po’ tutti gli eventi e filoni tematici della due-giorni, la giornata proseguirà con vari programmi distribuiti in 14 sale, con dibattiti, una fiera informativa, spettacoli musicali, programmi per bambini, installazioni artistiche: “L’idea è creare qualcosa che parli alla testa, al cuore e anche alla pancia” ha spiegato Mika Almog alla testata Haaretz. L’elenco sarebbe troppo lungo da riprodurre e quindi anche per la giornata del 9 maggio vi rimandiamo al link https://www.timeisnow.co.il/friday-english Intanto godiamoci la carrellata degli eventi già successi o che stanno per succedere in giro per il mondo, in sostegno a questo bellissimo, compatto, determinato ‘campo di pace’ israelo-palestinese che si metterà in scena tra oggi e domani a Gerusalemme. Maggiori informazioni circa il People’s Peace Summit all’indirizzo www.timeisnow.co.il Link ai precedenti articoli su Pressenza: Intervista agli organizzatori Maoz Inon e Aziz Abu Sarah https://www.pressenza.com/it/2025/05/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-9-maggio-le-parole-di-yair-asulin/ https://www.pressenza.com/it/2025/04/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-e-9-maggio-intervista-ad-aziz-abu-sarah/ Intervista a Nivine Sandouka: https://www.pressenza.com/it/2025/04/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-e-9-maggio-intervista-ad-aziz-abu-sarah/ Intervista alle co-produttrici Mika Almog, May Pundak, Maya Savir: https://www.pressenza.com/it/2025/05/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-9-maggio-quando-le-donne-si-muovono/ Daniela Bezzi
Verso il People’s Peace Summit di Gerusalemme, 8-9 maggio. Quando le donne si muovono…
Mancano ormai pochissimi giorni al Peace Summit di Gerusalemme ed eccomi a parlare su zoom con queste tre donne formidabili, che già sono state tra le principali organizzatrici di quella prima convention che il 1° luglio scorso ha riempito il Menorah Stadium di Tel Aviv (ne abbiamo parlato qui), con il sostegno di cinquanta organizzazioni pacifiste arabo-israeliane. Ed eccole di nuovo nello stesso ruolo di “art directors” per questo prossimo evento di Gerusalemme che vede coinvolta un’alleanza ancora più ampia. Si chiamano Mika Almog, May Pundak e Maya Savir, e tutte e tre potrebbero essere descritte come “figlie d’arte” nell’arte, o meglio, infinita ricerca della “pace”. La prima che vedete nella foto, Mika, è infatti la nipote di Shimon Peres, Premio Nobel nel 1994 insieme a Yitzhak Rabin ed Arafat per gli Accordi di Oslo, ed è ben nota in Israele come attrice, sceneggiatrice e giornalista (molto polemista); la seconda, May, è un avvocato, alla guida (insieme alla palestinese Rule Hardal) dell’organizzazione A Land for All, ed è figlia del pacifista Ron Pundak, scomparso nel 2014 e considerato tra i principali ‘architetti’ dei suddetti accordi; la terza, Maya Savir, è nel direttivo dell’organizzazione Search for Common’s Ground e ha lavorato in vari progetti di sviluppo in Sudafrica che l’hanno portata a scrivere un libro intitolato On Reconciliation, sul processo di riconciliazione in Sudafrica e Ruanda, oltre a essere figlia del pacifista e scrittore Uri Savir, che addirittura guidò i negoziati che portarono agli accordi di Oslo. Tre donne che con la pace (o meglio: con la difficoltà di arrivarci) sono proprio cresciute. Ed eccole a condividere di nuovo la sicura riuscita di questa due giorni che si terrà a Gerusalemme l’8 e il 9 maggio per ribadire la richiesta di un accordo che consenta a entrambi i popoli di immaginare “il giorno dopo la fine del conflitto”, un compito davvero enorme… Qual è stato per voi l’inizio di questo impegnativo percorso? Maya Savir – A pochi mesi dall’inizio della guerra era tutto così terribile, come ricorderete, e a un certo punto un piccolo gruppo di donne, credo non più di dieci, si è riunito per ragionare sul che fare: era inverno, era buio, faceva freddo, ma sentivamo il bisogno di agire. Si sono tenute varie riunioni a Tel Aviv e abbiamo capito che per superare lo scoraggiamento, era necessario mettersi al lavoro per creare questo “campo di pace”, per donne e uomini, se non altro per contarsi e magari scoprire che non siamo pochi, ma anzi più di quanto pensiamo. La gravità della situazione dopo il 7 ottobre era tale che abbiamo chiamato questo progetto “È ora”, per significare l’urgenza… Abbiamo immediatamente lavorato all’idea di una coalizione che è davvero unica, perché, come puoi immaginare, non è facile mettere d’accordo così tante organizzazioni, ognuna con il proprio background di pensiero critico. Ma la situazione era così grave che siamo riuscite ad andare oltre le differenze e a convergere sui punti fondamentali: immediato cessate il fuoco, fine dell’occupazione, un accordo di pace tra due Stati alla pari, questi erano i punti che ci vedevano tutte d’accordo. May Pundak – L’urgenza della nostra risposta è stata innescata da un’enorme conferenza organizzata dal movimento dei coloni a Gerusalemme poco dopo l’inizio della guerra, con la partecipazione di diversi rappresentanti del governo, tutti di estrema destra. Una parata impressionante, erano in tantissimi… Mika Almog – La nostra insomma è stata una risposta senza precedenti a una situazione senza precedenti, e mi riferisco solo in parte a quanto accaduto il 7 ottobre a Gaza. Tutto ciò che ha portato a quel momento, tutto ciò che è successo in Israele negli ultimi 30 anni, la messa in pericolo della nostra democrazia: non è un caso che non si possa nemmeno più parlare di pace, il concetto stesso è stato ridicolizzato! Il processo di rimozione di ogni tipo di confronto da parte del nostro governo era diventato sempre più estremo e questo ha causato un senso di totale impotenza in chiunque volesse riaccendere il dibattito. Dopo il 7 ottobre si aveva l’impressione che tutto si stesse spostando a destra, anche perché la sinistra aveva così poco da offrire… E riguardo alla conferenza dei coloni citata da May, ricordo il commento di una di noi, Tami Yakira, che lavora per il New Israel Fund: “Noi ci posizioniamo in opposizione a loro, ma la loro forza è come riescono a proiettare la loro visione del futuro” e questo è stato probabilmente il punto di partenza: il desiderio di riaccendere una risposta, e la consapevolezza che doveva essere forte e che per essere forte era necessaria un’organizzazione forte … E come sapete, all’interno dei movimenti possono esserci differenze di ogni tipo, ma la priorità di concordare su qualcosa di così importante ha superato il privilegio di dissentire su questioni secondarie. Queste dieci donne erano là in rappresentanza di alcune particolari organizzazioni? Maya – Solo alcune, è stato davvero un incontro spontaneo e poi ognuna ha convocato altre donne e naturalmente anche uomini, e il lavoro di rete ha fatto sì che in 6 mila abbiamo riempito il Menorah Stadium di Tel Aviv il 1° luglio scorso: eravamo in 50 organizzazioni, e per questi prossimo evento saremo più di 60,  stiamo crescendo! Tutte loro sono rappresentate all’interno del comitato direttivo, organizzate in gruppi di lavoro. E ognuna di loro contribuisce con la propria prospettiva e visione e questo ci rende più forti. May – La difficoltà di elaborare una narrazione coerente è sempre stata un problema per la sinistra in tutto il mondo. Come dicevano Mika e Maya, c’è molto pensiero critico, che a volte genera disunità, e questo non è ciò che vediamo sul fronte opposto al nostro: ciò che vediamo è piuttosto una forte unità, la capacità di mobilitarsi compatti per ciò che considerano il “bene supremo”. Ma mi sembra che molti che in passato sono stati magari poco attivi a livello politico si stanno risvegliando, con l’obiettivo di creare una nuova narrazione. Sono disponibili a contribuire con idee forti, con una nuova visione, con immaginazione politica, per aggregare sempre più soggetti dal basso, per fare massa critica, e con inedita creatività, cultura, competenze: siamo in questo incredibile momento di partecipazione, in cui si riscopre il bisogno di essere uniti, come vediamo da questa gran varietà di eventi, persone, luoghi, settori e credenze diversi, unite dal desiderio di realizzare qualcosa d’importante. E la pace è davvero per tutti, che siate religiosi o laici, più o meno giovani, amanti della musica… la pace è per tutti, questa è la forza di ciò che stiamo facendo. Mika – Una caratteristica molto importante di questa alleanza è che è composta da organizzazioni ebraiche e arabe, sia all’interno di Israele che transfrontaliere: è il caso dell’organizzazione di cui May è co-direttrice che si chiama A land for All, come dell’organizzazione che io stessa dirigo. Nella loro struttura e leadership, hanno tutte una partecipazione sia israeliana che palestinese a tutti i livelli, dall’alto verso il basso. E anche i  dibattiti e gli incontri del Peace Summit sono stati concepiti secondo questo criterio di rappresentanza binazionale. Dal 1° luglio dell’anno scorso ad oggi la situazione è molto cambiata e in peggio; stiamo assistendo in tempo reale a una catastrofe senza precedenti… Eppure state descrivendo un movimento pacifista in crescita, con una partecipazione della società civile inimmaginabile pochi mesi fa. Mika – E’ così. A volte è necessario raggiungere un certo abisso di crisi per cambiare rotta. Imparare dai conflitti risolti in altri luoghi del mondo sarà infatti uno dei temi principali del nostro Peace Summit… Maya – … avremo esperti che parleranno di come è stata raggiunta la pace in Irlanda del Nord e in Bosnia, e ricercatori che hanno studiato e confrontato il “filo conduttore” che caratterizza questi processi e ciò che tutti hanno in comune: quel punto di rottura che porta a rendersi conto che le promesse fatte più e più volte per raggiungere la vittoria sono semplicemente… inattuabili. Anche qui da noi l’accettazione generale della guerra come unica opzione è molto cambiata rispetto a quando abbiamo iniziato a immaginare questi eventi di pace mesi fa: la situazione è diventata così catastrofica, come hai detto, che rende possibile parlare di pace come mai prima. Sempre più persone capiscono che non c’è altra scelta. Solo pochi giorni fa abbiamo assistito a quell’incredibile piazza piena di gente a Tel Aviv, in protesta non solo per gli ostaggi, ma anche per i 18.000 bambini uccisi a Gaza…  Mika – … e poi la Cerimonia Commemorativa Congiunta organizzata dai Combattenti per la Pace insieme al Parents Circle Family Forum, seguita in streaming da migliaia di persone in tutto il mondo. Entrambi gli eventi sono stati organizzati da membri della nostra alleanza, quello di Tel Aviv da un formidabile movimento che si chiama Standing Together, che ha contribuito anche alla Cerimonia Commemorativa. E’ così che “funziona” questa coalizione: come un movimento di movimenti, ed è un grosso risultato. Maya – Tornando alla difficoltà di parlare di pace: prima del 7 ottobre la maggioranza degli ebrei israeliani considerava il conflitto “controllabile” o comunque distante, ma ora le cose sono cambiate. Anche se troppi israeliani continuano a sostenere soluzioni inquietanti e immorali, finalmente c’è un dibattito. C’è una crescente consapevolezza che il 7 ottobre è successo per una serie di ragioni… e che la pace è l’unico modo per impedirne un altro. Questo è ciò di cui abbiamo bisogno: amplificare il dibattito, è il solo modo per contrastare la mentalità della destra. Mika – Una prova che le cose stanno cambiando è la lettera sottoscritta da centinaia di piloti qualche settimana fa: ha dato il via a un dibattito enorme, migliaia di riservisti si sono espressi in solidarietà, con i loro nomi, prendendo posizione. Alcuni di loro saranno al Peace Summit per l’evento di apertura, fantastico! E quindi è vero che da un lato le cose stanno peggiorando, una catastrofe senza precedenti come hai detto; dall’altro però si stanno creando queste piattaforme di aperta opposizione alla guerra, e sembra che l’opinione pubblica sia finalmente disposta ad ascoltare… Maya – Per molto tempo la grande maggioranza degli ebrei israeliani ha scelto di ignorare cosa stava succedendo a Gaza, ma ora è diverso: sempre più atrocità commesse dagli israeliani stanno raggiungendo gli ebrei israeliani e stiamo assistendo a una reazione, forse non abbastanza forte, ma è un inizio. May – Come ha già sottolineato Maya, prima degli eventi del 7 ottobre la sfida più grande era convincere gli israeliani e la comunità internazionale della necessità di porre fine a questa guerra: la sfida era l’accettazione, lo status quo. Ciò che è chiaro ora è che quei tragici eventi hanno creato quella che considero un’opportunità molto importante per far capire a un numero crescente di persone che non si può continuare così: l’urgenza di porre fine a tutto questo non è mai stata così chiara. Il fatto che parecchi israeliani stiano sostenendo le atrocità in corso a Gaza può suggerire che la società israeliana sia irrecuperabilmente malata di razzismo ed estremismo… ma allo stesso tempo assistiamo a un graduale spostamento dell’opinione pubblica, che si rende conto che risolvere il conflitto è l’unica via verso la sicurezza. È quindi vero che la società israeliana sta attraversando il suo momento più buio, ma allo stesso tempo sempre più persone stanno capendo che per porre fine al conflitto è necessario un accordo politico che preveda uno Stato palestinese indipendente e sovrano. È importante considerare entrambe queste tendenze nella loro complessità e il fatto che non si escludono a vicenda, come emerge anche dai sondaggi. Maya – La consapevolezza che non si può sopravvivere affidandosi alla forza militare, come continua a proporre la destra, è un segno di maturità. Quello a cui stiamo assistendo tra tanti ebrei israeliani, in risposta a questa opzione militare esclusiva, è un sentimento di tradimento: gli ostaggi sono stati traditi, i soldati che abbiamo mandato a combattere si sentono traditi per essere stati coinvolti in crimini di guerra, e la gente è stanca di non vedere alcuna ragione in tutto questo, a parte i problemi legali del nostro primo ministro, che è un uomo pericoloso. May – Stiamo affermamdo dei valori: la sicurezza e l’incolumità del nostro popolo, il ritorno degli ostaggi, i bambini di Gaza. In tutti questi casi stiamo scegliendo la vita, stiamo dando priorità al futuro, nella consapevolezza che non saremo mai al sicuro finché gli stessi palestinesi non lo saranno. Questa conclusione è molto chiara all’interno del nostro campo pacifista: il fatto che dobbiamo procedere insieme, israeliani e palestinesi, consapevoli dell’interdipendenza tra i due popoli. Stiamo creando una nuova narrazione… Mika: … e questa è una cosa che dovrebbe essere amplificata il più possibile: abbiamo partner palestinesi in Cisgiordania e anche a Gaza che, nel pieno di questa catastrofe, e sotto la più insopportabile oppressione, stanno scegliendo la pace e sono pronti a far sentire la loro voce. Alcuni di loro saranno presenti al vertice, non di persona ovviamente, ma con videomessaggi… May – … dobbiamo però ricordare che la situazione tra Israele e Palestina è tutt’altro che equa. Maya ed io siamo alla guida di organizzazioni israelo-palestinesi per cui siamo spesso in Palestina; è quindi naturale per noi condividere e discutere queste idee con i nostri compagni palestinesi, ed è incredibile vedere il crescente favore per il nostro movimento anche lì. Ma è anche giusto dire che per i palestinesi parlare di pace è difficile in questo momento. Porre fine al genocidio è la priorità, la loro preoccupazione è la sicurezza, la sicurezza dei loro figli, il cibo in tavola. Ovvio che molti di loro vogliano la pace, ma più importante di ogni altra cosa è fermare il genocidio. E anche se questo Peace Summit è stato concepito come evento congiunto, è giusto considerarlo principalmente un’iniziativa israeliana, in termini di assunzione di responsabilità, un aspetto molto importante. È nostra responsabilità organizzare questo evento adesso: i palestinesi non sono in grado di porre fine a questa guerra, spetta agli israeliani farlo. Maya – (…) Non potete sapere quanto sia difficile essere attivisti per la pace in Israele e Palestina di questi tempi: perciò abbiamo bisogno del vostro sostegno. Abbiamo bisogno che la comunità internazionale sostenga questo campo di pace che sta lentamente guadagnando terreno tra Israele e Palestina. Abbiamo bisogno di sostegno come società civile, stiamo mantenendo vivo questo spazio in circostanze difficili. Nessun altro lo sta facendo. May – E volete sapere qual è il carburante che sta muovendo questo percorso? La leadership femminile… (tutte e tre sorridono) Mika, Maya, Tami, potrei citarne tante altre… è ciò che ha reso possibile arrivare fino a qui… Cosa potete prevedere all’orizzonte di questo summit? Mika – È una bellissima domanda su cui stiamo discutendo e per la quale non abbiamo ancora una risposta, ma certamente tutta questa grande energia che stiamo creando non potrà non avere un qualche risultato a livello politico. Dobbiamo prepararci per le prossime elezioni, non necessariamente creando un nuovo partito, ma senz’altro influenzando: qualcosa del tipo “guardateci, imparate da ciò che stiamo facendo, prestate ascolto a ciò che stiamo dicendo…” Maya – Dobbiamo essere molto leggeri, flessibili, le cose cambiano rapidamente… La priorità immediata è il cessate il fuoco, dovremo dedicare le nostre migliori energie a questo: porre fine alla catastrofe. Poi ci concentreremo sulla fine definitiva del conflitto e siamo molto ambiziosi: vogliamo la pace, niente di meno. Ma dobbiamo considerare anche l’attuale terribile crisi in Israele in tutti i suoi aspetti, compreso il colpo di Stato giudiziario: una situazione che è il risultato dell’occupazione. E se davvero vogliamo ripristinare la nostra democrazia, la democrazia così imperfetta di Israele, dobbiamo sottolineare in tutti i modi possibili e al più ampio pubblico tutti questi aspetti, instancabilmente… May – Sono d’accordo con tutto ciò che ha appena detto Maya e vorrei solo aggiungere una cosa: ogni conflitto alla fine si conclude con ciò che si chiama “accordo di pace”, che non è mai lineare. Le cose cambiano molto rapidamente. Quello che stiamo cercando di fare in questo momento è assumerci le nostre responsabilità, all’interno della società israeliana, al fine di costruire la più grande e forte base di sostegno alla pace, che è l’ovvia via per un futuro migliore ed è qualcosa di elementare per noi, come israeliani che hanno a cuore se stessi e la propria vita, come lo è per i palestinesi che hanno a cuore se stessi e la propria vita. Ma giusto per chiarire: l’evento di Gerusalemme non sarà un Festival Peace & Love, ma un’affermazione collettiva, in termini di scelta per la vita, di scelta di un futuro migliore, e con un approccio molto pragmatico. Questo è in estrema sintesi il nostro progetto: essere sempre di più e tutti insieme gridare a gran voce, con quanti più partners e risorse in campo, che stiamo lavorando per un futuro di pace. Le precedenti uscite su Pressenza sul People’s Peace Summit di Gerusalemme: Intervista a Maoz Inon: https://www.pressenza.com/it/2025/04/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-e-9-maggio-intervista-a-maoz-inon-uno-degli-organizzatori/ Intervista a Aziz Abu Sarah: https://www.pressenza.com/it/2025/04/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-e-9-maggio-intervista-ad-aziz-abu-sarah/ Intervista a Nivine Sandouka: https://www.pressenza.com/it/2025/04/verso-il-peoples-peace-summit-di-gerusalemme-8-9-maggio-bisogna-sostenere-la-societa-civile-dice-la-palestinese-nivine-sandouka/       Daniela Bezzi
Verso il People’s Peace Summit di Gerusalemme, 8-9 maggio. In tantissimi per la ventesima Cerimonia Congiunta dei Combattenti per la Pace
Una bella, condivisa e partecipatissima anticipazione di cosa sarà l’ormai imminente People’s Peace Summit l’abbiamo già avuta ieri sera con la ventesima edizione della Joint Memorial Ceremony israelo-palestinese, come sempre organizzata dai Combattenti per la Pace in collaborazione con il Parents Circle Families Forum: quest’anno l’evento si è tenuto in un teatro di Giaffa, in collegamento streaming con una piazza di Beit Jala e con ben 160 altre postazioni, sparse tra Israele, Cisgiordania, Stati Uniti e varie città in Europa: una risposta senza precedenti. Importante la data, che come per tutte le altre edizioni ha coinciso con il giorno del Yom Hazikarom, in cui Israele ricorda i suoi morti da quando esiste come Stato. Anche quest’anno, quasi in coincidenza con l’inizio della Memorial Ceremony, le sirene hanno risuonato per tutta Israele, l’intera nazione si è fermata e tutti tutti tutti hanno smesso qualsiasi cosa stessero facendo per mettersi fermi immobili sull’attenti per un minuto. Un minuto che ha inaugurato l’inizio della celebrazione più solenne dell’anno, persino più solenne del Giorno della Memoria, la Yom Ha Shoah che si è celebrato pochi giorni fa. In effetti dal 1948 ad oggi di morti e feriti in terra d’Israele se ne contano a decine di migliaia, come qualche giorno fa quantificava con puntigliosa precisione un articolo del Jerusalem Post che potete leggere qui. Una celebrazione che come tutti gli anni è proseguita più solenne che mai anche il giorno dopo, con le processioni ai vari cimiteri militari, le bandierine listate a lutto, le manifestazioni di corale cordoglio. E domani il tutto culminerà con la Festa dell’Indipendenza, momento dell’anno quanto mai carico di valori militari. E dunque immaginiamo cosa possa essere stato per un’organizzazione come i Combattenti per la Pace decidere di inaugurare vent’anni fa il loro progetto di congiunto attivismo di pace tra ex militari israeliani ed ex detenuti/militanti palestinesi, proprio in coincidenza con una simile scadenza: consapevolmente sfidando quella narrazione unilaterale del dolore che era da sempre la cifra del Yom Hazikaron e arrivando addirittura a proporre una solidarietà o come minimo un rispecchiamento nel dolore del fronte nemico, non meno colpito dalla stessa spirale di violenza. La prima edizione li vide infatti in pochi, come uno dei fondatori, Sulaiman Khatib, ama spesso ricordare. Le polemiche e persino i presidi di protesta non sono mai mancati man mano che questa Joint Ceremony guadagnava adesioni, fino a raggiungere le 15 mila presenze in un parco centralissimo di Tel Aviv, nell’edizione precedente al 7 ottobre, disturbatissima dagli oppositori. La situazione di particolare tensione di quest’anno, come già per l’anno scorso, ha di nuovo imposto agli organizzatori la scelta di uno spazio chiuso, in un teatro di Giaffa appunto, e solo per inviti e però fruibile anche in streaming, registrandosi sia individualmente che come “sedi ospitanti”. Ancora non sappiamo quante siano state in tutto le visualizzazione, ma ben 160 sono state appunto le platee oltre a quella di Giaffa: venti postazioni in Israele grazie alla collaborazione dell’organizzazione “sorella” Standing Together, parecchie anche in Cisgiordania, la maggior parte nelle varie cappelle della diaspora ebraico-palestinese sparse in Canada, USA, Europa, con ben nove situazioni in Germania, e poi in Francia, Spagna, Belgio, dove la proiezione è stata organizzata addirittura al Parlamento Europeo! Per l’Italia non possiamo non menzionare il bel collegamento virtuale organizzato da Ilaria Olimpico insieme a Uri Noy Meir per Imaginaction, e la piccola cittadina di Chiavenna in Valtellina, con una forte tradizione di pacifismo. Quest’anno il tema era “Scegliere l’umanità, scegliere la speranza” e sul palco si sono alternate le testimonianze del palestinese Sayel Jabarin, da Beit Jala, seguita da quella del giovane israeliano Liel Fishbein sopravvissuto al massacro nel Kibbutz Be’eri, dove ha perso l’amatissima sorella … e poi quella del palestinese Mousa Hetawi (in video messaggio causa divieto di ingresso in Israele) che nell’ultimo anno di guerra a Gaza ha perso 28 membri della sua famiglia. Di nuovo la straziante storia dell’israeliana Liat Atzili, tra le prime ad essere liberata tra gli ostaggi, solo per scoprire la morte del marito e delle figlie e infine il contributo di un’attivista palestinese che ha preferito l’anonimato, letto dalla compagna Amani Hamdan: impressionante rosario di perdite, dolore, distruzione, macerie, amputazioni, illuminato però dalla “speranza che qualcosa possa sempre rinascere, anche dai detriti …” La conduzione della serata, come sempre in arabo ed ebraico con sottotitoli in entrambe le lingue (oltre che in inglese) è stata condivisa tra Fida Shehadeh e Shira Geffen, entrambe ben note nel mondo dell’attivismo israelo-palestinese: la prima impegnata nel movimento “Hutwa Group” che si oppone all’esproprio e demolizione delle case, sempre più frequenti anche in Israele, la seconda attrice e scrittrice dichiaratamente pacifista. Non sono mancati anche quest’anno i tentativi di boicottaggio, alcuni anche piuttosto violenti. In merito ecco il comunicato diffuso in serata dalla coalizione It’s Time che sta organizzando il People’s Peace Summit dell’8-9 maggio: “Questa sera, varie azioni di disturbo hanno tentato di ostacolare lo svolgimento della Joint Memorial Ceremony organizzata come ogni anno dai Combatants for Peace insieme al Parents Circle Families Forum, entrambe organizzazioni da sempre impegnate per la fine della guerra, il ritorno a casa di tutti gli ostaggi e per una pace duratura su basi di reale giustizia per tutti. Tutti noi che aderiamo a questo ‘campo di pace’ non possiamo più tollerare queste intimidazioni. Invitiamo tutti e tutte a partecipare al più grande evento di pace mai organizzato prima d’ora in Medio Oriente, con il People’s Peace Summit che si svolgerà l’8 e il 9 maggio a Gerusalemme.  Aggiungi alla nostra anche la tua voce, perché il nostro appello di pace possa farsi coro e una volta per tutte impossibile da silenziare.”     Daniela Bezzi