I giudici smontano il decreto sicurezza: la cannabis light torna ai produttori
La messa al bando della cannabis light da parte del decreto sicurezza continua a
fallire nelle aule di tribunale. In seguito all’emanazione del provvedimento, le
forze dell’ordine avevano sequestrato a Sassari e Brindisi centinaia di chili di
infiorescenze e arbusti, tuttavia i tribunali del Riesame hanno ordinato la
riconsegna del materiale sequestrato, giudicando lecito coltivare, detenere e
commercializzare la canapa sativa. Mesi fa, una analoga situazione si era
presentata in Liguria. Le infiorescenze di canapa sono state messe al bando
dall’articolo 18 del Decreto Sicurezza, che vieta la coltivazione della canapa
con basso contenuto di THC. La norma, in vigore dal 12 aprile, mette a rischio
un settore che in Italia conta 3.000 aziende, 30.000 addetti, 500 milioni di
fatturato e un export del 90%.
In Sardegna, il 23 ottobre il Riesame ha restituito all’imprenditore Giuseppe
Pireddu circa 10 chili di infiorescenze e 5053 piante di canapa. All’azienda
florovivaistica di Antonella Vinci, invece, sono tornati indietro 257 chili di
biomassa essiccata e 954 piante. I due erano stati colpiti dallo stesso
provvedimento di sequestro. Gli agenti avevano fermato ad un posto di blocco il
furgone che trasportava la merce dai magazzini dell’azienda agricola al
rivenditore florovivaista. Analoga situazione in Puglia, dove il tribunale del
Riesame di Brindisi ha disposto il dissequestro di oltre 800 piante di canapa
sativa light appartenenti alla società agricola ‘Prk’ di Carovigno, restituendo
anche i macchinari e i materiali di lavorazione che erano stati precedentemente
confiscati agli imprenditori.
A Sassari, i giudici hanno bocciato sequestro e convalida perché, secondo le
ordinanze, manca qualunque indizio sull’illegalità della pianta. Anzi, per le
toghe il sequestro ha colpito «aziende esercenti legittimamente la coltivazione
di canapa», con «plurimi elementi indicativi della coltivazione legale».
Nell’ordinanza si precisa che «la detenzione dei residui vegetali, anche se
contenenti infiorescenze, non è vietata dalla normativa vigente e non
costituisce reato». A Brindisi, le analisi tossicologiche hanno confermato
valori di THC compresi tra 0,08 e 0,33%, livelli incapaci di produrre effetti
psicoattivi. I magistrati hanno scritto che si tratta di valori «dunque non in
grado di incidere in alcun modo sull’assetto neuropsichico di eventuali
utilizzatori».
Il clima di repressione cieca colpisce sempre più spesso agricoltori che
coltivano la canapa legale, con interventi giudiziari che negano le richieste
dell’accusa. Emblematico il caso di un imprenditore della provincia di Belluno,
recentemente arrestato con l’accusa di detenzione finalizzata allo spaccio
nonostante coltivi canapa industriale con THC nei limiti di legge da 8 anni. Gli
agenti non hanno neppure eseguito i campionamenti prima del sequestro, poi
annullato grazie all’intervento del suo legale. Episodi simili si sono
verificati a Palermo e in Puglia, dove i giudici hanno disposto la scarcerazione
immediata di agricoltori accusati ingiustamente di spaccio, ricordando che «non
basta che si tratti di cannabis», ma occorre «valutare l’effettiva capacità
drogante del prodotto» prima di configurare un reato. Nel frattempo, è terminata
con un nulla di fatto la maxi-inchiesta sulla cannabis light iniziata due anni
fa dalla Procura di Torino, che ha interessato 14 persone e diverse aziende, ove
era stato disposto il sequestro di circa 2 tonnellate di infiorescenze, dal
valore complessivo di 18 milioni di euro.
L’esecutivo Meloni ha sin da subito adottato a livello nazionale una linea
proibizionista sulla cannabis light, vietando nel 2023 i prodotti orali a base
di CBD e classificandoli come stupefacenti. Il decreto ha immediatamente portato
a sequestri nei punti vendita. L’associazione Imprenditori Canapa Italia (Ici)
ha contestato il provvedimento, ottenendo in più occasioni dal TAR del Lazio la
sospensione del divieto. A maggio dell’anno scorso, il governo ha rilanciato con
un emendamento al Ddl Sicurezza che vieta la produzione e il commercio della
cannabis light, colpendo un settore da 500 milioni annui e decine di migliaia di
lavoratori. Federcanapa ha subito evidenziando come il divieto si sarebbe
abbattuto sull’«intero comparto agroindustriale della canapa da estrazione, in
particolare della produzione di derivati da CBD o da altri cannabinoidi non
stupefacenti per impieghi in cosmesi, erboristeria o negli integratori
alimentari», ricordando che «tali impieghi sono riconosciuti dalla normativa
europea come impieghi legittimi di canapa industriale».
L'Indipendente