Ci vorrebbe uno Zo
Definire l’agenda politica è un momento importante di ogni campagna. Subire
quella dell’avversario di regola è un disastro. Dirottarla (operare
détournement, defacement) può essere una buona mossa, magari situazionista, se
sei arrivato in ritardo. Tanto più se il governo Meloni, dopo aver fatto un
certo strepito sulla separazione delle carriere dei magistrati (meno sul
sorteggio e l’insidiosa separazione dei Csm e sulla composizione dell’Alta
Corte), ora sta facendo marcia indietro sull’esposizione diretta nella
competizione referendaria, che conviene solo agli eredi berlusconiani di FI,
molto meno ai Fratelli per cui in realtà (lo ha ammesso La Russa) il gioco non
vale la candela.
> In effetti, a questo punto, il referendum non è sui giudici o sulla giustizia,
> ma sul governo Meloni a metà strada fra le regionali e le nuove elezioni
> nazionali.
Allora, allontaniamoci con garbo dalle sacrosante polemiche sull’autoritarismo
di questo governo e sulla pretesa di ridisegnare il rapporto di forza fra potere
giudiziario ed esecutivo per garantire l’impunità del secondo, evitiamo di
constatare per l’ennesima volta le palesi ascendenze neofasciste e cogliamo
l’opportunità offerta dal referendum per costruire un fronte unitario (non un
campo largo soggetto a ogni furberia elettoralistica) contro il governo Meloni,
un sì o un no netti. Già, con chi e su che cosa?
Per entrambi gli aspetti la lezione di Zohran Mamdani è utile. A NYC si è
presentato in alternativa alla sconquassata e silente dirigenza Dem senza
fondare un nuovo partito e neppure una nuova corrente, si è presentato con la
forza del suo programma, non concordato con altri cacicchi del suo partito o
litigiosi gruppi antagonisti in cerca di visibilità. Il suo programma e la
discesa in campo sono stati sufficienti – e naturalmente è stato aiutato
dall’emergenza Trump che ha distrutto le strutture precedenti e delle
particolarità della storia politica americana e delle sue regole elettorali. Ma
nessuno pensa di imitarlo in Italia, se non per l’indipendenza del gesto, per
l’aver messo il programma prima degli accordi di schieramento (che pure ci
saranno stati, secondo i riti locali).
Il programma non era fumoso e astratto, ma in stretta rispondenza con i problemi
materiali della comunità che votava, con la sua constituency. Congelamento
pluriennale degli affitti (freeze the rent), trasporti di superficie gratuiti
(non la Underground), asili nidi gratuiti, tassazione incrementata dei più
ricchi, supermercati comunali per calmierare il costo della vita, apertura ai
migranti, salario minimo a 30 $.
Tutte misure che, con minimi opportuni adattamenti, sarebbero più che
proponibili e popolari in Italia e immediatamente contrastanti con le scelte del
governo Meloni in materia di affitti (lunghi e brevi) e sfratti (dal DL
Sicurezza sugli sgomberi a quello annunciato sugli sfratti brevi e
semplificati), con le politiche scolastiche (il mancato utilizzo del Pnnr per i
nidi), con il sostegno (invero bipartisan) incondizionato alla liberalizzazione
del commercio a favore dei grandi gruppi, con il definanziamento degli enti
locali per il trasporto pubblico.
> Per quanto riguarda Trump e Gaza, c’è poco da strologare: Zo è uno di noi,
> mentre il nostro governo (e anche qualcuno non di governo) è sdraiato su Trump
> e Netanyahu.
In ogni caso, quel che conta è il metodo, non i contenuti specifici – che pure
sono sorprendentemente validi anche per noi, visto che riflettono una comune
condizione dei Paesi industrializzati e urbanizzati.
Il referendum è un’occasione (tecnicamente impropria ma efficace) per presentare
un gruppo di problemi assenti dalla caliginosa elaborazione avviata tra campo
largo e magistrati su temi di complicata comprensione (tipo il pur cruciale
punto della differenza nel sorteggio fra membri giudiziari e laici) e di nessuna
popolarità, dato che la riforma in oggetto non sfiora neppure il funzionamento
ordinario della giustizia. E lo fa in totale autonomia dalle forze politiche e
dai comitati del No – che pure auspichiamo si facciano carico realisticamente
delle ragioni effettuali dello scontro. Questa è la traduzione sul piano interno
e quotidiano dello spirito di scissione che, sul terreno del contrasto al
genocidio, si è manifestato impetuoso nei giorni di settembre e ottobre.
Il Governo è parte in causa diretta (e se l’è cercata) di un confronto che può
avere contraccolpi pesanti sulla futura campagna elettorale e in cui Meloni
rischia di andare a casa e l’Italia rischia il consolidamento di un regime
reazionario.
Meloni, turn the volume up!
La copertina è di Eden, Janine and Jim (Flickr)
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