Modello Mamdani per i socialisti Usa
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La sorprendente vittoria di Zohran Mamdani alle elezioni a sindaco di New York
City elettrizzerà la sinistra a livello nazionale, come è giusto che sia. Ma
cosa significa questa vittoria per i socialisti? C’è sempre la tentazione di
leggere i risultati elettorali in termini ideologici radicali, come indice del
clima nazionale o la rivendicazione di un’ideologia. Ricordiamo tutti meno di un
anno fa, quando la sconfitta di Kamala Harris sembrava dimostrare che una
nazione sempre più anti-immigrazione stava virando verso destra, così come i
lettori più anziani ricorderanno che quattro anni fa il centrismo duro contro la
criminalità del sindaco Eric Adams sembrava il futuro del Partito democratico
(ora si dice la stessa cosa di Zohran).
Ma le elezioni non sono mai referendum ordinati su un’ideologia o un programma.
Sono determinate in larga misura dal talento e dalle debolezze di chi si
candida. Se Mamdani non fosse stato eletto nel parlamento dello Stato di New
York nel 2020, non sarebbe stato in grado di candidarsi e nessun candidato con
lo stesso talento e impegno lo avrebbe sostituito. Se Eric Adams non fosse stato
notoriamente corrotto, avrebbe potuto vincere tranquillamente e non sarebbe
emerso nessun serio candidato in grado di sfidarlo. Non c’era alcuna garanzia
che si sarebbe presentata l’opportunità di candidare un democratico socialista a
sindaco di New York nel 2025, o che, quando si fosse presentata, ci sarebbe
stato un candidato pronto a coglierla.
Proprio a causa di questa contingenza, però, il lavoro che ha messo la sinistra
in condizione di cogliere quest’opportunità è stato cruciale. Una parte
significativa di quel lavoro è stata svolta dai Democratic Socialists of America
di New York City (Nyc-Dsa), che hanno trascorso l’ultimo decennio eleggendo
candidati come Mamdani in consigli comunali e in incarichi legislativi statali.
La sezione e la sezione gemella Mid-Hudson Valley Dsa hanno eletto nove deputati
statali e due consiglieri comunali, tutti impegnati dalla parte di lavoratrici e
lavoratori. L’elezione del sindaco non era prevista otto anni fa, ma se la
nostra sezione non si fosse imposta nel lavoro di trincea delle elezioni per
l’assemblea statale, la capacità organizzativa, i rapporti di coalizione, la
credibilità e, soprattutto, il candidato non sarebbero esistiti per una corsa
come questa.
Questa capacità organizzativa ha anche plasmato il modo in cui è stata gestita
la campagna elettorale. Nyc-Dsa ha sviluppato nel corso degli anni un’etica
unica, incentrata sul «campo», ovvero sul lavoro di migliaia di singoli
volontari. Per Nyc-Dsa, la campagna elettorale non è semplicemente una tattica
per ottenere voti (anche se lo è); è un modo per coinvolgere direttamente la
gente comune in un progetto collettivo, come partecipanti e co-organizzatori
piuttosto che come osservatori e sostenitori. Mamdani è chiaramente consapevole
che la sua operazione di campagna elettorale, composta da 90.000 volontari, è la
chiave del suo successo, e non è un caso che tale operazione sia stata guidata
dal veterano attivista Dsa Tascha Van Auken; la campagna si è basata (e
migliorata) su un’etica organizzativa e su competenze tecniche sviluppate in
anni di campagne vincenti e perdenti dei Dsa.
Quest’etica della partecipazione di massa spiega più di quanto la maggior parte
degli osservatori esterni possa immaginare la potenza della campagna di Mamdani.
Non c’è mai stato un momento nella mia vita in cui il divario tra il desiderio
di politica delle persone (lavorare insieme per cambiare il mondo) e le
opportunità offerte loro sia stato così ampio. In queste circostanze, la
capacità della campagna di Mamdani di offrire alle persone non solo speranza, ma
anche l’opportunità di impegnarsi per il cambiamento e costruire legami con i
vicini è stata rivoluzionaria.
Ciononostante, la campagna avrebbe potuto benissimo naufragare contro avversari
più forti. Ho sentito molte persone in questa tornata dire che Zohran è stato
fortunato con i suoi avversari: fortunato che Adams fosse corrotto e indebitato
con Trump, e fortunato che Andrew Cuomo fosse un ex governatore caduto in
disgrazia, dotato di un anti-carisma scheletrico, finito in rovina per molestie
sessuali e le cui politiche nei suoi anni da governatore sono in gran parte
responsabili di tutto ciò che non va a New York oggi.
Certo, se i miliardari donatori che hanno sostenuto Adams e poi Cuomo avessero
trovato un portavoce migliore, la corsa sarebbe potuta andare diversamente. Ma
vi assicuro che il loro fallimento non è dovuto esattamente, o non
esclusivamente, alla sfortuna. Ci sono ragioni strutturali per cui i candidati
centristi sono così pessimi, ragioni che sono state ampiamente evidenziate anche
nella campagna presidenziale dello scorso anno.
Un Partito democratico sempre più disconnesso da qualsiasi base significativa e
privo di una struttura interna anch’essa significativa finisce per essere
dominato da chiunque sia attualmente al vertice e da chiunque possa raccogliere
più donazioni; non è un caso che queste persone siano candidati pessimi, fuori
dal mondo, inclini agli scandali e corrotti, e non è un caso che anche quando i
donatori centristi si rendono conto che si sta verificando un disastro per loro
(Joe Biden nell’estate del 2024, Cuomo subito dopo le primarie di quest’anno),
non abbiano la capacità collettiva di fermarlo. Questa forma di fallimento è
intrinseca; il sistema è quello che è e promuove sistematicamente al potere
persone come Adams e Cuomo.
Ancora più sorprendente, almeno per me, è stato il successo di Zohran nel
dominare la tendenza progressista alle primarie. Questo è il punto su cui sono
più tentato di alzare le mani e dare la colpa alla contingenza: per ragioni
ancora non del tutto comprese dagli scienziati, alcune persone sono
semplicemente più carismatiche di altre.
Ma c’è di più. Un ampio spettro di politici, anche progressisti, è intrappolato
in un modello mentale in cui gli elettori si trovano su un’offerta che va da
sinistra a destra; in questo modello mentale, se gli elettori si spostano a
destra (come sembrava nel 2024), allora anche tu ti sposti a destra. In questo
momento c’è un’industria artigianale di esperti democratici che insistono sul
fatto che se i Democratici vogliono battere Trump devono concentrarsi su
questioni di buon senso; in questi tempi senza precedenti, è semplicemente
troppo rischioso ricorrere a misure senza precedenti.
Questa visione del mondo genera risultati sempre più assurdi (Trump sta vincendo
perché si concentra su questioni concrete, come il rapimento di operai edili e
trasmettere il morbillo ai bambini). Ma i candidati «progressisti» condividevano
questa visione del mondo, e questo li ha portati a fraintendere fondamentalmente
il momento politico. Gli elettori non erano stanchi della radicalità e in cerca
del centro; non erano stanchi del progressismo di Biden richiedendo solo del
buon senso; erano stanchi di uno status quo che chiaramente non funziona come
politiche concrete (non possono permettersi l’affitto) o come politica
(governata dai fascisti), e cercavano qualcosa di aggressivamente nuovo. Zohran
ha offerto proprio questo.
Questa dimensione della campagna non può essere compresa senza considerare la
guerra a Gaza. Quando Mamdani ha annunciato la sua candidatura, il suo rigoroso
sostegno pubblico ai diritti dei palestinesi era considerato il suo principale
punto debole come candidato, ancora più della sua militanza democratico
socialista. Si è rivelato invece esattamente il contrario, ovvero una risorsa
potente. Molti elettori (in particolare, ma non esclusivamente, giovani e
musulmani) erano sempre più disgustati dall’evidente disonestà delle apologie
del genocidio israeliano da parte dei Democratici mainstream; la riluttanza di
Mamdani a scendere a compromessi su questo tema e la sua richiesta di pari
diritti per i palestinesi sono diventate un segno del suo coraggio e della sua
autenticità non solo sulla questione Israele-Palestina, ma più in generale.
Molti elettori potrebbero non aver avuto una visione chiara della soluzione dei
due Stati, ma erano stanchi di bugie e sotterfugi.
Cosa succede ora? L’elezione di Mamdani rappresenta un successo che va oltre i
desideri più arditi della maggior parte dei socialisti newyorkesi di otto,
quattro o due anni fa. Ma come molti hanno sottolineato, questo è solo l’inizio
della lotta. Molto dipende da ciò che riusciremo a fare insieme come città nei
prossimi quattro anni, sia per fornire soluzioni pubbliche a crisi come la casa
e l’assistenza all’infanzia, sia, soprattutto, per proteggere le centinaia di
migliaia di immigrati di New York dalla campagna di pulizia etnica di Trump.
Non c’è certamente alcuna garanzia di successo. Ma per i newyorkesi
un’amministrazione Mamdani offre l’opportunità di reagire, e per i socialisti di
tutto il paese la sua campagna offre un modello per costruire le infrastrutture
necessarie per conquistare il potere.
*Michael Kinnucan è un membro dei Democratic Socialists of America e vive a
Brooklyn. Questo articolo è uscito su Jacobin Mag. La traduzione è a cura della
redazione.
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