Considerazioni sulla cosiddetta riforma della giustizia
La prossima primavera si terrà un referendum per confermare o bocciare la
revisione della Costituzione approvata dal Parlamento relativa a “Norme in
materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte
disciplinare”, impropriamente nota come riforma della giustizia, ma che in
realtà è una riforma della magistratura.
Anzitutto va segnalato che si tratta di una legge di iniziativa governativa –
poiché il disegno di legge costituzionale è stato presentato dal Presidente del
Consiglio dei ministri Giorgia Meloni e dal Ministro della giustizia Carlo
Nordio – che nell’iter parlamentare non è stato modificato nemmeno per una
virgola.
Purtroppo già da molto tempo la funzione legislativa viene di fatto assolta dal
governo per circa i tre quarti delle norme approvate, trasformando il parlamento
sempre più spesso in una assemblea di mera ratifica. Che questo accada anche per
le leggi costituzionali è uno schiaffo alla divisione dei poteri. Montesquieu
sosteneva che qualora il potere esecutivo si confondesse con quello legislativo
“non vi sarebbe più libertà”.
A tal proposito risuonano ancora chiare le parole di Piero Calamandrei in
Assemblea Costituente: «Quando l’Assemblea discuterà pubblicamente la nuova
Costituzione, i banchi del Governo dovranno essere vuoti; estraneo deve rimanere
il Governo alla formulazione del progetto, se si vuole che questo scaturisca
interamente dalla libera determinazione dell’Assemblea sovrana».
Leggendo il testo della legge di revisione costituzionale si ha la chiara
impressione che si tende a rendere complicato ciò che è semplice. La
Costituzione vigente prevede che il Consiglio superiore della magistratura (Csm)
sia l’organo di autogoverno della magistratura, che “costituisce un ordine
autonomo e indipendente da ogni altro potere” (art. 104). Se venisse confermata
la riforma, si creerebbero due Consigli superiori della magistratura e un’Alta
Corte disciplinare. Questi tre organismi avrebbero complessivamente gli stessi
compiti attualmente assolti dall’unico Consiglio superiore della magistratura.
Si parla spesso di maggiore efficienza e semplificazione: sicuramente non in
questo caso.
Il punto più inquietante della riforma è la modifica della scelta dei
magistrati, che nell’attuale Consiglio superiore vengono eletti. Invece, nei due
nuovi Consigli e nell’Alta Corte verranno sorteggiati. I promotori della riforma
sostengono che in questo modo verranno eliminate le correnti della magistratura,
che presentano liste di candidati per entrare nel Csm.
In realtà, attualmente nel Consiglio superiore vengono eletti magistrati che
rappresentano le diverse culture giuridiche, garantendo il pluralismo delle
opinioni. Introducendo la modalità del sorteggio, la selezione dei
rappresentanti dei magistrati sarebbe casuale. Di conseguenza, i magistrati
potrebbero tutti o in maggioranza appartenere soltanto ad una determinata
visione della giurisdizione. C’è il rischio che una minoranza di magistrati non
rappresentativi decida le sorti dell’intera magistratura. In questo caso
l’autogoverno sarebbe assai poco democratico.
Non solo. Se un magistrato viene eletto, significa che dagli altri magistrati
viene considerato autorevole e in grado di rappresentarli. Invece, un magistrato
sorteggiato evidentemente non ha alcun merito: è soltanto fortunato. Si può
affidare l’autogoverno della magistratura alla fortuna, sperando che vengano
“pescati” magistrati all’altezza del compito e che non agiscano per interessi
personali?
Lo scopo dichiarato della riforma è la separazione delle carriere tra magistrati
giudicanti e requirenti. Per semplificare si parla di separazione tra giudici e
pubblici ministeri. Negli ultimi anni in Italia su circa 9 mila magistrati
soltanto alcune decine hanno cambiato “casacca”, passando da pubblici ministeri
a giudici o viceversa. Tra l’altro la normativa attuale prevede che questo
eventuale passaggio possa avvenire soltanto una volta. Perciò che senso ha una
riforma che si pone l’obiettivo di modificare un problema inesistente?
È noto che molti tra i sostenitori della riforma sostengono che i pubblici
ministeri riescano a condizionare i giudici. Per questo i magistrati andrebbero
separati in carriere totalmente distinte. Attualmente in Italia i giudici sono
circa il triplo del numero dei pubblici ministeri. Se passasse la revisione
della Costituzione, all’Alta Corte verrebbe assegnata la competenza
“disciplinare nei riguardi dei magistrati ordinari, giudicanti e requirenti”. Il
testo di riforma prevede che tra i 15 membri della Corte siano inseriti “sei
magistrati giudicanti e tre requirenti, estratti a sorte”. Considerati i numeri,
di fatto verrebbe dato più potere ai pubblici ministeri rispetto al numero di
magistrati che effettivamente rappresentano. Una sproporzione che –
paradossalmente – contrasta con gli obiettivi dichiarati dai promotori della
revisione della Costituzione.
Rocco Artifoni