La parola della settimana. Fuoriclasse
(disegno di ottoeffe)
O’ Ge’, nun chiagnere: ‘o nonno fotte pure ‘a morte.
Appena ‘a sente ca sta pe’ arriva’,
‘o nonno se ne va.
Se ne va e nun se fa truva’.
(napoli centrale, ‘o nonno mio)
C’è stato un periodo, persino in questo medievale paese, in cui anche artisti o
scrittori famosi e di successo, che si muovevano nel mainstream del mercato
culturale, prendevano posizioni estreme e scomode, rivoltando da capo a piedi il
dogma con un disco, raccontando la democrazia come privilegio di classe,
denunciando sul principale quotidiano italiano i mandanti di un colpo di Stato
portato avanti a suon di bombe.
Per poterlo fare, naturalmente, la politica, o quantomeno il mercato, dovevano
trovarci una convenienza, il che vuol dire che quella roba doveva essere fatta
con una qualità sopra la norma. Un romanzo buono ma innocuo è preferibile per un
editore a uno buono ma dirompente, altrimenti d’altronde non ci sarebbero così
tanti scrittori scarsi famosi. Il problema sorge quando c’è da scegliere tra una
cosa buona ma innocua e una eccezionale ma che ti può portare grane. È così che
certe cose, a volte, passano. Ma per farle passare ci vogliono i fuoriclasse.
(credits in nota 1)
È morto mercoledì a ottant’anni James Senese, strumentista fuoriclasse, uno dei
più grandi sassofonisti italiani della musica contemporanea, proletario nato in
una periferia napoletana che all’epoca era un paesino di campagna, dalla
relazione tra sua madre e un soldato afroamericano tornato in patria poco dopo
la sua nascita («Avrà avuto le sue ragioni», rispondeva il sassofonista a chi
gliene chiedeva conto).
Senese era al primo impatto disturbante (un suo esilarante ritratto emerge
nella stranota scena di No grazie, il caffè mi rende nervoso): nel suo modo di
porsi, nelle movenze, nella lingua che usava. Era difficile, da questo punto di
vista, capire se avesse difficoltà con l’italiano – così come gli dice
proprio Arena – o se semplicemente non gli interessava comunicare in una lingua
che non sentiva sua. Durante un’intervista che rilasciò qualche anno fa a
Marzullo (non si sa perché, ma la Rai l’ha rimossa da Youtube…) passò due-tre
minuti a contraddire l’intervistatore che lo definiva “italo-americano”.
Quando Senese è morto sono andato a rivedermi Harlem Meets Napoli, documentario
cult della Rai che racconta l’esibizione di una buona parte dei fuoriclasse del
Neapolitan Power al fianco di James Brown, dei Temptations, di Lester Bowie (che
a un certo punto dice: «Sentiamo che a Napoli sta accadendo una rivoluzione
musicale…»), e di altra gente di questo calibro. Prima di allora, a quanto pare,
a nessun musicista bianco non statunitense era stato concesso di suonare
all’Apollo Theatre di Harlem.
Al di là della musica, nel documentario sono esilaranti le scene del viaggio, e
in particolare quelle che si svolgono a tavola, sempre in dubbie trattorie e
ristoranti. Questa è la mia preferita:
(credits in nota 2)
Se è vero che la classe si esprime su tanti livelli, la politica non fa
eccezione. È anche quella un conflitto costante, per dirla alla Nietzsche, tra
Apollo e Dioniso, o tra ragione e sentimento se preferite (cfr.
Nazionale, 1997).
La settimana scorsa una ventina di attivisti napoletani l’ha fatta sotto al naso
alla polizia, introducendosi con una elaborata strategia (pagando il biglietto!)
in un padiglione della Mostra d’Oltremare – spazio pubblico di proprietà del
comune di Napoli – dove si svolgeva la fiera farmaceutica Pharma Expo. Il gruppo
si è avvicinato allo stand dell’azienda israeliana Teva – multinazionale che
supporta con azioni concrete il regime sionista e il suo esercito –, mentre
alcuni esponenti del gruppo Sanitari per Gaza leggevano una lettera di denuncia
e di incitamento al boicottaggio. Una volta conclusasi la contestazione, mentre
gli attivisti stavano uscendo dalla Mostra, tre di loro sono stati arrestati,
condotti in questura e poi in carcere, dove hanno passato tre notti e tre
giorni.
Le accuse di resistenza e violenza appaiono grottesche, anche perché nei video
si vede benissimo che nessuno tra i manifestanti commette alcuna azione
illecita. Ancora più assurdo, oltre all’insensatezza di tenere in carcere tre
persone che non hanno fatto nulla, è il fatto che una volta rilasciati i tre
attivisti siano stati sottoposti all’obbligo di firma per tre volte a settimana.
La misura sembra essere stata assegnata in via del tutto strumentale, vista la
scelta del pm di non svolgere un processo per direttissima che avrebbe portato a
una immediata assoluzione degli imputati e spostato il focus sulle violenze,
l’arresto arbitrario e le ricostruzioni della polizia.
Ora, se fossi un giornalista di Fanpage o un esponente di un partito di sinistra
direi che “l’aria che c’è in giro non mi piace per niente”, e che “stiamo
vivendo una fase politica molto delicata”, che “è necessario vigilare sulla
democrazia a rischio”. In realtà, succede semplicemente che essendoci un governo
di destra, che legifera e agisce in una certa direzione, polizia e magistratura
si sentono più tranquilli nel fare quello che più gli piace fare, ovvero
esercitare senza limitazioni, e se possibile regole, il proprio potere.
Se fossi un maestro elementare, invece, ora mi auto-assegnerei un 4, perché sto
andando fuori traccia. Quindi metto un disco dei Napoli Centrale e mi preparo
per andare a Materdei a sistemare le ultime cose di Arte contro le pene
capitali.
Dormono ‘e schiave d’o faraone
sazie d’aglie, sazie ‘e fatica,
mentre ‘e piramide s’alzano ‘o cielo
ca cielo nun è.
[…] Dorme ‘o surdato ‘ngrassanno ‘a terra,
speranno ca almeno chesta
fosse l’ultima guerra.
Nun ce penza’, statte tranquillo:
dimane ‘sta terra a ‘ngrassa pure a tuo figlio.
(napoli centrale, ‘o lupo s’a mangiato ‘a pecurella)
a cura di riccardo rosa
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¹ Franca Rame in: Lo Stupro, Fantastico 8 (Rai 1, 1986-87)
² James Senese, Tullio De Piscopo e Tony Esposito in: Harlem meets Napoli, di
Ruggero Miti (1987)