Trump incendia i Caraibi
Solo poche ore fa Trump ha smentito l’intenzione di attaccare obiettivi legati
al narcotraffico in territorio venezuelano. Tuttavia, resta assai difficile
fidarsi dell’uomo più potente, ma soprattutto ancor più volubile, del mondo, in
particolar modo se trovasse conferma la creazione di una Joint Task Force creata
ad hoc per i Caraibi.
Inoltre, prosegue l’avvicinamento minaccioso della portaerei Ford,
mentre costantemente decollano e tornano negli Usa i bombardieri che sembrano
cercare volutamente un casus belli, come se già non bastasse il tiro al
bersaglio che prosegue ormai da troppo tempo su imbarcazioni ritenute lo
strumento principale utilizzato dai cartelli del narcotraffico per il commercio
della droga. Finora sono state 14 le navi colpite dagli Stati Uniti, con un
saldo di circa 60 morti.
Trump ha deciso di trasformare i Caraibi in un laboratorio di operazioni
militari che finirà per colpire non solo il Venezuela (e forse anche la
Colombia), ma l’intera America latina che, in occasione dell’incontro tenutosi
all’Avana il 28 e 29 gennaio 2014, è stata dichiarata “zona di pace” dal II
Vertice della Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici.
Oggi la poco credibile guerra al narcotraffico serve a Trump per riattivare
l’essenza della Dottrina Monroe. La guerra al traffico di droga e alle reti
criminali transnazionali rappresenta soltanto un pretesto per promuovere un
cambio di governo non solo a Caracas, ma probabilmente anche a Bogotá,
tutelandosi dal punto di vista legale e spinta soprattutto da
personaggi quali Marco Rubio, segretario di Stato Usa, e Pete Hegseth, a capo
del Pentagono.
Tuttavia, almeno alle nostre latitudini, si presentano l’operazione Usa e la
presenza di circa 4.500 militari sulla portaerei Ford in maniera acritica,
ignorando la denuncia del presidente colombiano Gustavo Petro del 21
ottobre scorso: la guerra alla criminalità organizzata rappresenta il cavallo di
Troia per impossessarsi del petrolio venezuelano. E ancora, si dimenticano i
moltissimi latinoamericani morti a causa della guerra per la droga scatenata
dai narcotrafficanti, ma nessuno sottolinea come la domanda di cocaina negli
Stati Uniti non sia mai diminuita nel corso di questi anni e così, mentre gli
antichavisti auspicano l’invasione del loro stesso paese per far cadere Maduro e
il governo bolivariano, a partire dal poco credibile Premio Nobel María Corina
Machado, si ignorano le molteplici raccomandazioni dell’Onu a non attaccare
Caracas, semplicemente perché non ritiene il Venezuela il centro del
narcotraffico.
I Caraibi corrono seriamente il rischio di divenire un teatro di guerra
operativo poiché gli Usa puntano a recuperare il controllo geopolitico di una
regione su cui, da tempo, ha messo gli occhi anche la Cina a livello di
infrastrutture, logistica e tecnologia, ma, ipocritamente, utilizzano le scuse
più diverse, dalla guerra alla droga all’urgenza di far rispettare i diritti
umani nell’intera aerea pur di attaccare il Venezuela.
La denuncia di Gustavo Petro è costata al presidente colombiano l’inserimento
nella lista statunitense delle personalità sospettate di terrorismo, un’accusa
decisamente surreale, soprattutto se rivolta ad un capo di stato che sta
spendendo gran parte del suo mandato nel tentativo di riportare la pace in un
paese martoriato da una guerra sporca senza fine, a partire dal suo impegno per
una pacificazione volta a coinvolgere sia le guerriglie presenti nel paese sia
le organizzazioni militari di estrema destra che continuano ad uccidere
attivisti sociali, sindacalisti, leader indigeni e contadini nella più totale
impunità.
La crescente presenza di navi da guerra Usa nel Caribe indebolisce l’autonomia
diplomatica della regione e, soprattutto, non si configura come una minaccia nei
confronti dei cartelli della droga che, al contrario, sceglieranno di
privilegiare le rotte terrestri e aerei per trasportare i loro carichi. Sotto
questo punto di vista, per quanto risulti paradossale, quelle che Trump
definisce minacciosamente come Organizzazioni Criminali Transnazionali non
possono far altro che ringraziare la Casa Bianca per permetter loro di aprire
altre strade utili all’esportazione della droga. Lo stesso presidente brasiliano
Lula, che pure negli ultimi tempi non ha nascosto le divergenze con Maduro, ha
sottolineato la pericolosità e l’inutilità dei bombardamenti Usa: l’America
latina potrebbe trasformarsi da zona di pace a zona senza alcuna legge se
passerà l’idea che ognuno può invadere il territorio di un altro paese e farla
franca.
La miopia, o l’incoscienza della Casa Bianca, a seconda dei punti di vista, è
tale che l’insieme di minacce militari ed estorsioni economiche messe in atto
contro Caracas potrebbero incendiare Caraibi e America latina, dove non è in
corso alcuna guerra che giustifichi lo schieramento del complesso
militare-industriale a stelle e strisce, se non per degli oppositori assai poco
credibili nel ruolo di democratici come María Corina Machado, basti pensare alla
sua adesione ai numerosi eventi promossi dall’estrema destra spagnola di Vox e
alle responsabilità nell’attuazione delle guarimbas allo scopo di destabilizzare
il paese. È stata proprio lei, in un video, ad augurarsi l’intervento di colui
al quale ha dedicato il Nobel, rimasto a sua volta abbastanza irritato dalla
scelta emersa dai giurati di Oslo, promettendo petrolio, gas, minerali e molto
altro, in un’aperta svendita delle risorse del paese a Usa e multinazionali.
Oggi, più che mai, il futuro del Venezuela, della Colombia, e, più in generale,
dell’intera regione latinoamericana e caraibica rimane incerto, appeso ad un
filo, nelle mani di uno dei presidenti più inaffidabili che gli Usa abbia mai
avuto e in quelle di alleati in loco, da Milei a Noboa fino agli oppositori di
estrema destra che auspicano l’intervento militare di Washington. A questo
proposito, non risulta alcuna mobilitazione di Washington per liberare
l’Ecuador, un paese, questo sì, dove la criminalità e il narcotraffico sono
realmente dilaganti.
Firma l’appello a difesa del Venezuela e per la pace
La Bottega del Barbieri