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Corteo per la Palestina a Varese, tra denuncia e speranza
Le manifestazioni dei mesi scorsi a Varese sono state la scintilla che ha acceso il fuoco della partecipazione dei suoi cittadini più attenti, che vogliono fare sentire la loro vicinanza al popolo palestinese. Infatti sabato 8 novembre alle 16.00 da Piazza Montegrappa, o come preferiscono chiamarla i ragazzi del collettivo “Da Varese a Gaza”, Piazza bambin* di Gaza, è partito un lungo corteo che ha percorso le vie principali della città per ritrovarsi in piazza del Garibaldino (Piazza Podestà) e terminare la manifestazione tra danze, musica e parole di speranza. I temi trattati durante il corteo sono stati molti. A distanza di due anni dall’inizio dell’ultimo atto di genocidio da parte di Israele, innescato dell’attentato di Hamas del 7 ottobre 2023, il popolo palestinese si appresta a vivere il terzo inverno in condizioni catastrofiche e gli occhi del mondo sembrano essersi girati dall’altra parte. Dopo il teatrino della pace di Trump, messo in scena per calmare l’indignazione di coloro che nei mesi scorsi guardavano a quella parte di mondo con orrore e scendevano in piazza a protestare, oggi in molti credono che tutto sia finito, ma non qui a Varese. Molti pensano che chi manifesta sia un ingenuo, ma chi è sceso in piazza sabato 8 novembre crede fortemente che il cambiamento parta dalle persone e dalle piazze dove confluiscono lavoratori, studenti, gente informata e che si sforza di aiutare chi ne ha bisogno. La pace non può essere giusta senza il coinvolgimento dei palestinesi, altrimenti si chiama colonialismo. A Gaza oltre 200 palestinesi sono stati uccisi dopo questa falsa tregua, e l’80-90% delle strutture sono state abbattute, gli aiuti umanitari entrano centellinati e Israele continua ad infrangere il Diritto Internazionale, i coloni in Cisgiordania occupano le case e le terre dei palestinesi e impediscono la raccolta delle olive e pertanto una vita dignitosa ai contadini. Il corteo è partito pacificamente, attraversando le vie del centro, che sabato pomeriggio erano affollate di gente, molti mostravano solidarietà, riprendevano con il telefono cellulare e cantavano i cori insieme ai manifestanti. Qualche automobilista impaziente invece suonava il clacson stizzito, ma tutto si è svolto senza incidenti. Davanti alla sede del McDonald, in via Morosini, al microfono è stato spiegato cosa vuol dire boicottaggio, perché ognuno di noi può essere attivo scegliendo in modo consapevole. McDonald ha finanziato pasti per i soldati israeliani, rendendosi complice del genocidio. Durante un’altra tappa del corteo si è parlato dell’importanza del linguaggio e di come le parole siano importanti per dare valore alle cose che accadono. Un grande cartellone spiegava bene la differenza di parole utilizzate dalla stampa e dai canali di informazione per parlare degli stessi concetti in maniera differente se si tratta di israeliani o di palestinesi, creando così una narrazione fuorviante. Anche il discorso della stampa libera e di quella al servizio di Israele e dei governi complici è stato affrontato molto chiaramente. Molti giornalisti indipendenti, come Cecilia dalla Negra, che si occupa di Palestina, subiscono repressione, arresti, sanzioni. Emblematico il recente caso del giornalista Gabriele Nunziati, ex collaboratore di Agenzia Nova, che è stato licenziato perché aveva chiesto alla Commissione UE se Israele dovesse finanziare la ricostruzione di Gaza. Intorno alle 18:00 ormai il sole era calato; i manifestanti sono passati per le vie del centro già illuminate per Natale, per terminare il corteo in Piazza del Garibaldino, dove sono intervenuti i ragazzi del comitato studentesco varesino e il collettivo di Radio Aut Pavia ha portato la propria solidarietà. Ha preso il microfono anche un ragazzo palestinese della Cisgiordania, che ha invitato a farsi sentire e continuare a manifestare perché è nel silenzio che Israele può continuare a fare quello che vuole restando impunito, come ha fatto nel corso degli ultimi ottant’anni. E’ infine intervenuta una donna che ha posto l’accento sugli armamenti che servono a sterminare un popolo: provengono dal nostro territorio e da molte altre parti di Italia, rendendo la nostra nazione complice di genocidio. La serata è terminata con una nota positiva, tra danze palestinesi che hanno coinvolto i partecipanti e con musiche emozionanti che parlano di speranza e resistenza. Ancora una volta i ragazzi del Collettivo “da Varese a Gaza” si sono dimostrati pronti e attivi in difesa della Palestina, una Palestina libera dal fiume al mare. Monica Perri
La tregua è una menzogna
Anche a Varese, come in altre città d’Italia non si crede nella Pace proclamata da Trump tra Israele e i palestinesi. Il Collettivo da Varese a Gaza (https://www.instagram.com/da_varese_a_gaza/) ha organizzato per venerdì 31 ottobre un presidio per mantenere alta l’attenzione su quello che sta ancora accadendo. Da quando è stata siglata la tregua a Sharm El Sheik, in realtà Israele ha violato più volte gli accordi e ad oggi sono state uccise più di duecento persone, tra cui donne e bambini. La prevista consegna di viveri e medicinali è bloccata ai valichi, la raccolta delle olive in Cisgiordania è impedita dai coloni israeliani. Molti prigionieri palestinesi rilasciati, sono stati deportati in Egitto, senza poter fare ritorno alle loro case. Taqua, la cui famiglia e gli amici sono ora a Gaza, ha testimoniato che si parla della tregua come una parola vuota, dato che viene vista come una pausa fragile destinata a spezzarsi perché il cibo entra a singhiozzo e con il contagocce e ci sono centinaia di migliaia di persone che non sanno dove andare perché è tutto distrutto. Come sottolinea Michela, una degli organizzatori del Collettivo, questa non è pace, ma una menzogna. Fino a quando i palestinesi non saranno coinvolti direttamente, non si tratterà di pace, ma di colonialismo, di spartizione delle terre e degli affari per la ricostruzione tra i governi USA, Israele e i Paesi Arabi limitrofi. In piazza non c’era tantissima gente, ma questo non ha scoraggiato gli organizzatori della serata che hanno rivolto a tutti l’invito a partecipare al presidio con corteo che si terrà sabato 8 novembre a Varese cercando di diffondere la voce e coinvolgere più gente possibile. Davanti al monumento del Garibaldino non c’erano solo le streghe di Halloween, ma anche quelle streghe, donne comuni con cappelli appuntiti, che hanno portato la loro vicinanza a Francesca Albanese, che è stata apostrofata dal delegato di Israele all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, Danny Danon, membro del partito Likud, come una “Strega fallita”. Letizia ha spiegato cosa succede quando una donna come Francesca Albanese viene chiamata strega: semplicemente si cerca di delegittimarne l’operato in quanto donna coraggiosa, determinata e che, nonostante le sanzioni personali che stanno condizionando pesantemente la sua vita, continua a dire quello che ha documentato, usando il linguaggio del Diritto per chiedere conto ai colpevoli di quello che stanno facendo. La risposta di Albanese è stata pronta e concreta: “Se allora la cosa peggiore di cui mi può accusare è la stregoneria, la accetto. Ma stia certo che, se avessi il potere di fare incantesimi, non lo userei per vendetta. Lo userei per fermare i vostri crimini una volta per tutte e per assicurarmi che i responsabili finiscano dietro le sbarre”. Anche a Varese non fanno paura le streghe, ma chi le mette al rogo, come purtroppo è già accaduto nella Storia. Durante la serata è intervenuto Nicola, che ha parlato di come in Italia ci siano circa 120 insediamenti militari USA sparsi per tutto il territorio nazionale e circa 12’000 soldati americani, così come previsto negli anni successivi al termine della Seconda Guerra Mondiale per dare un posizionamento strategico agli USA nel bacino del Mediterraneo. Dall’ultimo rapporto dello Stockholm International Peace Research Institute (Sipri), l’istituto internazionale indipendente dedicato alla ricerca su conflitti, armamenti pesanti e disarmo, l’Italia è passata dalla decima alla sesta posizione nella classifica dei paesi esportatori di armi, con un aumento del 138% nel quinquennio 2020-2024, rispetto a quello del 2015-2019 e l’esportazione ha riguardato principalmente il Medioriente. E nella manovra di Bilancio che il Governo Meloni sta preparando si stanno incrementando ulteriormente i fondi per le spese militari. Per chi si chiede se le proteste servano a qualcosa, Michelangelo e Manuela hanno sottolineato come le proteste dei mesi scorsi hanno dato uno scossone alle fondamenta dei governi occidentali che si sono accorti che il consenso inizia a sgretolarsi. Non è un caso che dopo le tante manifestazioni nel mondo, etichettate dai governi come inutili, faziose, e criticate sulla stampa mainstream, dagli USA si sia resa necessaria un’azione per ripristinare lo status quo, quel torpore della gente, quell’indifferenza che serve a silenziare le proteste, con la farsa di un accordo di Pace. Se viene attaccato il diritto a manifestare e gli attivisti che protestano vengono arrestati o silenziati, vuol dire che la protesta sta funzionando. Ed è per questo che si deve continuare a scendere in piazza per non essere complici. Durante la serata sono stati dati anche suggerimenti per azioni concrete che ognuno di noi può fare quotidianamente con costanza e non solo durante le emergenze. Ghassan ha proposto di dare potere al proprio portafoglio, con il boicottaggio di prodotti di aziende che fanno affari con Israele e di supermercati, aiutandoci anche con l’applicazione “No Thanks!” e seguendo il movimento BDS. Un altro atto concreto può essere la scelta consapevole della propria banca, scegliendo istituti che non finanziano l’economia di guerra, come può essere “Banca Etica” ma anche società energetiche etiche per l’energia che consumiamo. Si può essere concreti sostenitori del popolo palestinese anche informandosi, diffondendo informazioni reali, protestando, firmando petizioni, donando e sostenendo, insomma partecipando. È stato ricordato anche che a Varese sono attualmente presenti studenti e famiglie gazawi che hanno necessità di supporto materiale, legale, per la lingua, vicinanza emotiva. Si può informarsi presso le associazioni di Varese per sostenerle e portare il proprio contributo. Un’altra testimonianza che è stata portata in piazza è stata quella di Marco che è docente presso un istituto tecnico di Gallarate e ha parlato di come recentemente le disposizioni interne negli istituti scolastici siano quelle di non parlare di Palestina, perché non è opportuno portare la politica nelle scuole, poiché ci vuole neutralità, ma la neutralità davanti ad un genocidio è complicità. La scuola dovrebbe formare esseri pensanti e una scuola che censura educa all’obbedienza e non alla libertà. L’invito di Marco è di costruire una scuola viva, ribelle e che non ha paura! Oltre al Collettivo da Varese a Gaza ieri sera erano presenti anche rappresentanti del Comitato Varesino per la Palestina che hanno ricordato che il 2 novembre sarà l’ultima domenica di ritrovo per il “Rumore in piazza” alle 20:00 in Piazza Montegrappa e che, dall’ 8 novembre, il rumore verrà spostato al sabato sera dalle 18:00 alle 20:00 in Piazza Podestà. L’invito è a resistere e continuare a partecipare per cui l’appuntamento è per sabato 8 novembre alle 15:00 a Varese e per restare informati seguire le pagine Instagram e Facebook del Collettivo “Da Varese a Gaza”.         Redazione Italia