Il sistema Schengen discrimina chi difende i diritti umani
Amnesty International ha diffuso un nuovo rapporto, denunciando che il sistema
di emissione di visti dell’area Schengen – che include 29 stati europei, la
maggior parte dei quali membri dell’Unione europea ma anche Svizzera e Norvegia
– ostacola le persone che difendono i diritti umani di varie parti del mondo,
impedendo a molte di loro di partecipare a importanti conferenze. Questa prassi
contraddice i diritti e i valori che gli stati dell’area Schengen affermano di
rispettare.
Persone provenienti da 104 stati – per lo più dell’Africa, dell’Asia e del Medio
Oriente – verso i quali esistono limitazioni all’emissione di visti, hanno
difficoltà nell’ottenere visti brevi per prendere parte a eventi pubblici, fare
rete o mettersi a distanza dai pericoli che corrono nei luoghi di origine a
causa della loro attività. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone
razzializzate, nere, asiatiche e/o musulmane. Secondo l’analisi di Amnesty
International, l’impatto negativo sulla loro libertà di movimento costituisce
una discriminazione indiretta.
“L’impossibilità di ottenere un visto Schengen significa che le voci e le
testimonianze delle persone che difendono i diritti umani nel Sud globale sono
escluse dagli incontri in cui vengono prese decisioni che hanno profonde
conseguenze sulle loro vite”, ha dichiarato Erika Guevara Rosas, direttrice
delle campagne e delle ricerche di Amnesty International.
“Gli stati dell’area Schengen hanno sì il potere di decidere chi far entrare nei
loro territori, ma l’impatto del sistema di emissione dei visti sulle persone
che difendono i diritti umani provenienti da 104 stati è chiaramente incoerente
con ciò che, attraverso linee guida e altri impegni, hanno promesso di fare per
proteggere i diritti umani”, ha proseguito Guevara Rosas.
“Assicurare che le persone che difendono i diritti umani possano avere visti per
brevi periodi di tempo nell’area Schengen in modo rapido, certo e trasparente è
indispensabile per garantire, senza discriminazioni, a queste persone il diritto
di difendere i diritti”, ha sottolineato Guevara Rosas.
Tutti gli stati dell’area Schengen sono tenuti ad applicare il Codice dei visti
dell’Unione europea, che consente la richiesta di visti, da valutare e accettare
caso per caso, anche da parte di chi non ha tutti i requisiti per ottenerli. Ma
coloro che ricevono ed esaminano richieste del genere sembrano spesso essere
ignari di questo criterio flessibile: di conseguenza, molte richieste di visti
vengono respinte persino prima di arrivare alla fase decisionale.
Una delle prime barriere è capire dove e a chi presentare una richiesta di
visto. Molti stati dell’area Schengen non hanno rappresentanze diplomatiche o
accordi in ciascuno dei 104 stati sottoposti alle restrizioni sui visti. Questo
comporta che le persone che difendono i diritti umani debbano viaggiare in altri
stati per fare la richiesta, con costi proibitivi o rischi per la propria
sicurezza. Altri ostacoli sono il tempo necessario per fissare un appuntamento o
attendere una decisione e la durata della validità del visto. In alcuni casi, i
visti sono emessi troppo tardi o per un periodo troppo breve per viaggiare da un
posto a un altro o per rimediare a eventuali ritardi dei voli.
Inoltre, a coloro che chiedono i visti viene spesso chiesto di fornire un lungo
elenco di documenti, soprattutto di natura economica come un contratto di
lavoro, estratti conto o certificati di proprietà. Ciò risulta particolarmente
difficile a coloro che subiscono le più acute forme di marginalizzazione e di
discriminazione.
Una difensora dei diritti umani della comunità dalit del Nepal ha raccontato:
“Chiedono ricevute bancarie. Immagina cosa voglia dire per una persona che non
riesce neanche a vivere alla giornata. Alcune persone che difendono i diritti
umani lo fanno su base del tutto volontaria”.
Gli ostacoli sopra descritti costituiscono discriminazione indiretta nei
confronti delle persone che difendono i diritti umani, in quanto le norme
dell’area Schengen colpiscono in modo sproporzionato le persone razzializzate
che chiedono i visti. Sebbene in apparenza tali norme siano neutrali dal punto
di vista razziale, in quanto non menzionano esplicitamente la razza o l’etnia
come cause che giustifichino un trattamento differente, c’è una forte
correlazione tra gli stati con limitazioni sui visti e persone razzializzate
come le nere, le asiatiche e/o le musulmane.
Nel giugno 2024 la Commissione europea ha pubblicato una versione rivista del
Manuale dell’Unione europea sui visti: si tratta di una serie di linee guida che
spiegano come applicare il Codice dell’Unione europea sui visti, che include
esempi pratici su come facilitare le richieste di visti da parte delle persone
che difendono i diritti umani.
Amnesty International ha apprezzato questo sviluppo e chiede ora agli stati
dell’area Schengen di assicurare che il Manuale sia diffuso in modo ampio e
pienamente applicato in modo da assicurare che le persone addette a ricevere ed
esaminare le richieste di visti siano del tutto formate su come facilitare i
viaggi delle persone che difendono i diritti umani.
L’organizzazione per i diritti umani chiede agli stati dell’area Schengen anche
di raccogliere dati disaggregati sulla razza e sull’etnia per porre fine alla
discriminazione nel sistema dei visti e sviluppare e attuare una procedura
facilitata di emissione dei visti per le persone che difendono i diritti umani,
compresa una corsia preferenziale.
Infine, gli stati dell’area Schengen dovrebbero emettere con maggiore regolarità
visti per lunghi periodi e a ingresso multiplo: sono strumenti fondamentali per
proteggere le persone, permettendo loro di viaggiare quando necessario, senza
dover passare ogni volta attraverso lungaggini burocratiche.
Ai fini della stesura del suo rapporto, Amnesty International ha parlato con 42
organizzazioni internazionali che hanno sede in stati dell’area Schengen e in
stati che subiscono limitazioni all’emissione di visti e che in questi anni
hanno facilitato il viaggio di centinaia di persone che difendono i diritti
umani. L’organizzazione ha anche raccolto le testimonianze di 32 persone che
difendono i diritti umani che hanno avuto esperienza diretta delle procedure di
richiesta di visti.
Amnesty International