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Educare per prevenire: l’Abruzzo ha bisogno ora della legge sull’educazione di genere
Presentata una proposta di legge regionale dal Partito Democratico In Abruzzo il 28 ottobre è stata  presentata in Consiglio Regionale una proposta di legge che potrebbe segnare una svolta concreta nella prevenzione della violenza di genere: la legge regionale per la “promozione dell’educazione alla parità di genere e alla prevenzione delle discriminazioni e della violenza di genere nelle istituzioni scolastiche, universitarie e formative”, presentata dal consigliere regionale Silvio Paolucci (Partito Democratico), primo firmatario. Un testo semplice ma essenziale, che individua nella scuola e nelle istituzioni formative il primo presidio per costruire una società libera da stereotipi, discriminazioni e violenze. La proposta prevede percorsi strutturati di educazione di genere, rivolti non solo agli studenti e alle studentesse, ma anche al personale docente e alle figure educative, con l’obiettivo di fornire strumenti per riconoscere e contrastare le disuguaglianze, e promuovere relazioni basate sul rispetto reciproco. Ma ciò che rende questa legge particolarmente importante è la previsione di uno stanziamento di fondi regionali dedicati, indispensabili per trasformare le parole in azioni concrete. La legge, infatti, non si limita a promuovere “progetti” estemporanei, ma prevede un impegno strutturale e continuativo della Regione, riconoscendo il valore dell’educazione come strumento di prevenzione e trasformazione sociale. È una legge che va approvata subito. Non tra qualche mese, non “quando ci saranno le condizioni”. Il tempo politico, in questo caso, coincide con il tempo della responsabilità: a dicembre si discute il bilancio regionale, e solo un’approvazione tempestiva consentirebbe di destinare risorse già nel prossimo esercizio finanziario, permettendo così alle scuole e alle università abruzzesi di attivare percorsi formativi dal prossimo anno scolastico. Ogni rinvio rischia di tradursi in un anno perso — e un anno perso, su questi temi, significa continuare a contare i numeri della violenza come se fossero fatalità. L’educazione di genere non è un “tema culturale” di nicchia, ma un’urgenza collettiva. Riguarda tutte e tutti. E non può essere lasciata alla buona volontà delle singole famiglie, che spesso non dispongono degli strumenti o delle competenze per affrontare con profondità questioni complesse come il consenso, la parità, la libertà nelle relazioni. Educare al rispetto è un compito pubblico, e come tale deve essere sostenuto da politiche pubbliche, istituzioni e risorse dedicate. Non si tratta di “insegnare un’ideologia”, come spesso qualcuno tenta di ridurre il discorso. Si tratta di insegnare a vivere in una società più giusta, di prevenire la violenza prima che si manifesti, di dare alle nuove generazioni il linguaggio per nominare ciò che subiscono o vedono accadere, e per intervenire. Perché la violenza di genere non nasce dal nulla: è il risultato di stereotipi che si imparano, di ruoli che si impongono, di silenzi che si tramandano. Ecco perché questa legge non è un dettaglio amministrativo, ma una scelta politica di civiltà. Serve coraggio per approvarla ora, senza tergiversare, senza farsi frenare dal calcolo o dal timore di aprire un dibattito pubblico acceso. Ma la politica regionale ha il dovere di assumersi questa responsabilità: quella di investire sull’educazione come prima forma di prevenzione, di mettere le nuove generazioni nelle condizioni di crescere libere da modelli tossici, di costruire un Abruzzo che non si limiti a condannare la violenza dopo che è accaduta, ma che agisca prima, attraverso la conoscenza, il pensiero critico e la cultura del rispetto. È tempo che la Regione Abruzzo mostri con i fatti da che parte sta. La violenza di genere si combatte anche nei bilanci, con le scelte di spesa e con la volontà di rendere stabile un impegno educativo che troppo spesso viene affidato solo alle emergenze. Ogni legge che parla di educazione è una legge che parla di futuro. Ma questa, in particolare, parla del futuro delle relazioni, dei corpi, dei diritti. Per questo non può aspettare.   Benedetta La Penna