Genocidio palestinese e dissenso in Italia: le piazze per la Palestina sono scenario di repressione?
Dal boicottaggio dei consumi alle manifestazioni di piazza: cresce in Italia il
movimento di solidarietà con il popolo palestinese, mentre si moltiplicano
episodi di repressione e dibattiti sulla libertà di espressione.
Nel nostro paese stiamo assistendo a imponenti manifestazioni contro
l’occupazione israeliana e il genocidio palestinese, attraverso
l’attraversamento fisico dello spazio pubblico (presidi di piazza e cortei nelle
strade) e anche mediante altri strumenti, come il boicottaggio dei consumi e
delle strutture considerate coinvolte nelle violazioni dei diritti umani.
Il tema “Palestina” attraversa le nostre coscienze: a partire da un moto di
empatia umana, le posizioni di tante e tanti diventano politiche, poiché non
piangiamo solo le persone uccise e, soprattutto, i tanti bambini, ma iniziamo a
reclamare giustizia per il popolo palestinese e rispetto del diritto
internazionale. Il che, tradotto in parole semplici, significa condannare
l’intero progetto sionista e le azioni atroci che gli organi governativi che
oggi lo portano avanti stanno perpetrando ai danni del popolo palestinese.
Forse non sempre si è consapevoli di questo, ma è di questo che si tratta:
quando scendiamo in piazza per la Palestina oppure acquistiamo Gaza Cola invece
di Coca-Cola, lo facciamo per condannare il genocidio ma anche, necessariamente,
per combatterne i presupposti. Vi è un nesso storico tra ciò che è accaduto
cento anni fa con l’insediamento dei primi coloni attraverso il “primo aliyah”,
“il primo ritorno”, cioè l’immigrazione dei primi coloni sionisti che avvenne
tra il 1882 e il 1903, portando migliaia di ebrei in Palestina, e ciò che accade
oggi con il colonialismo di insediamento iniziato nel 1948 in Cisgiordania, che
ha portato sempre più persone a comprimersi dentro lo spazio della Striscia di
Gaza per sfuggire all’apartheid e alla violenta sottrazione delle terre e del
diritto di abitarle in modo dignitoso e sicuro.
Senza infilarci in complicate ricostruzioni storiche, salta all’occhio che il
fulcro della questione sia sempre la terra: la terra dei padri ma, soprattutto,
la terra dei figli e per i figli. Il sionismo getta le basi per un’economia
giorno dopo giorno sempre più fiorente, fuori e dentro Israele, e sempre più
strettamente legata, purtroppo, anche alle operazioni militari. Uno sviluppo
basato su un modello di investimento neoliberale, che ha consentito alle aziende
israeliane di diventare dei colossi mondiali in alcuni settori; un esempio
eclatante è il caso di TEVA, azienda farmaceutica che più volte ha dimostrato di
non attenersi ad alcuna regola di controllo sulla produzione dei farmaci né sul
divieto di fare cartello per imporre i propri prodotti al mercato. Il suo
profilo etico (per quanto dichiarino i suoi siti ufficiali) è ampiamente
compromesso dalle sanzioni dell’Unione Europea, che nell’ottobre del 2024 l’ha
multata per 462 milioni di euro per concorrenza sleale e abuso di posizione
dominante.
Inoltre, di recente, la multinazionale sembra essere coinvolta, insieme ad altre
realtà, in gravissime azioni contrarie al codice etico sanitario: “Rapporti
inquietanti suggeriscono che il Ministero della Salute israeliano avrebbe
permesso a grandi aziende farmaceutiche nazionali di testare prodotti sui
prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Questa affermazione,
fatta dalla professoressa Nadera Shalhoub-Kevorkian e da Mohammad Baraka, capo
dell’Alto Comitato di Follow-up per gli Arabi in Israele, solleva serie
preoccupazioni etiche. Nel 1997, l’ex politica israeliana Dalia Itzik riferì che
oltre 5.000 test erano stati eseguiti su questi prigionieri. Inoltre,
storicamente, le autorità israeliane restituiscono sempre con grande ritardo i
corpi dei prigionieri deceduti e questo alimenterebbe i sospetti di
sperimentazioni mediche.”
Fonte: BDS Italia.
TEVA, ancora, effettua forniture dirette all’esercito israeliano e finanzia
campagne di immagine a sostegno delle azioni belliche a Gaza.
Per tutti questi motivi, BDS, il movimento globale per i diritti del popolo
palestinese, è attivo da vari anni con una campagna massiva contro TEVA. A tal
proposito è bene precisare cosa dice BDS: il boicottaggio combatte la
complicità, non l’appartenenza. Può sembrare una precisazione banale, ma è
meglio non dare spazio ad equivoci. È necessario farlo perché il terreno si fa
sempre più scivoloso. In Italia, il 6 agosto scorso, è stato presentato un
disegno di legge (S.1627, cosiddetto disegno di legge “Gasparri”) che si ispira,
con molta approssimazione, alla definizione di antisemitismo adottata dalla
“International Holocaust Remembrance Alliance” il 26 maggio 2016:
“L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come
odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono
dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni
comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto.”
Ma l’aspetto innovativo portato nella proposta è un salto, quasi un volo
pindarico, di associazione dell’antisemitismo all’antisionismo, nesso che (ci
correggano i giuristi) non esiste nel testo della definizione adottata da IHRA.
Le domande sono tante. Chi scrive immagina che, tra le persone giuste che
attraversano le comunità ebraiche europee e tra le componenti sane della società
israeliana, vi sia ampio dibattito per capire come la definizione dell’IHRA
possa e debba essere aggiornata alla luce delle recenti accuse mosse dalla Corte
Penale di Giustizia e degli avvenimenti storici. Lo testimonia il fatto che il
noto storico israeliano Ilan Pappé ha pubblicato un libro che si chiama La fine
di Israele e che delinea proprio come la spaccatura interna rispetto al progetto
sionista sarà la motivazione del suo annientamento.
I fatti sembrano confermare questa visione dello studioso, che forse, ad alcuni,
era potuta sembrare poco fondata poiché proiettata in un futuro troppo lontano.
È di oggi la notizia della presenza in piazza a Gerusalemme di “una massiccia
protesta che ha scosso la città, con la partecipazione di circa duecentomila
ebrei ultraortodossi che hanno protestato contro la leva obbligatoria
nell’esercito israeliano. Lo riporta il quotidiano Ynet, sottolineando il grande
impatto della protesta che ha coinvolto una fetta significativa della comunità
haredi locale. La manifestazione, denominata la ‘Marcia di un milione di
uomini’, ha purtroppo registrato un tragico incidente: la morte di un ragazzo di
15 anni.”
Altro quesito: è necessario un rafforzamento dei dispositivi di legge che
puniscono l’antisemitismo nel nostro paese, in tutte le sue forme? Sì,
certamente. Purtroppo, la scarsa o distorta conoscenza dei fatti storici porta
tutt’oggi ancora troppe persone ad avere una percezione strisciante degli ebrei,
considerati, nel pensiero di molti, come entità lobbistica. È ovvio che tale
percezione, come tutte le azioni da essa generate, vada contrastata duramente.
Ma allo stesso modo, se vogliamo restare in una posizione di correttezza etica e
di efficacia giuridica, sono necessarie condanne di tutti i tipi di razzismo ben
radicati nel nostro paese: vale per il razzismo anti-nero, l’antiziganismo,
l’islamofobia, il razzismo antipalestinese, per tutti i giudizi negativi
preconcetti basati su stereotipi riguardo a un gruppo etnico o razziale.
Se la vediamo da questa prospettiva, individuando nell’antisionismo, d’emblée,
una moderna manifestazione di antisemitismo, il progetto di legge pare
promuovere una criminalizzazione del dissenso contro Israele, colpendo anche chi
protesta per il riconoscimento dei diritti dei palestinesi e per l’affermazione
della giustizia internazionale.
È così? C’è chi, nel mondo dei giuristi democratici, solleva dubbi di
incostituzionalità qualora la proposta venisse approvata dalle Camere.
E ancora, la proposta si alimenta della deriva reazionaria che una sempre più
poderosa parte della società civile sta denunciando, con particolare riguardo al
modo con cui le forze dell’ordine agiscono nei confronti degli attivisti e delle
attiviste per la Palestina?
Fatto sta che, in tutta la penisola, da Milano a Torino, poi a Roma e infine a
Napoli, si sono registrati episodi di violenza delle forze dell’ordine contro
gli attivisti. Nel capoluogo partenopeo, in particolare, a seguito di una
contestazione alla presenza di TEVA alla fiera PharmaExpò alla Mostra
d’Oltremare, ci sono stati tre arresti. Dalle ricostruzioni della dinamica,
effettuate grazie ai tanti video condivisi da parte di persone presenti, anche
non direttamente coinvolte nella protesta, vi sarebbe stato un accanimento di
alcuni agenti della Polizia e della Guardia di Finanza, che hanno accerchiato un
gruppetto di venti attivisti che si stavano pacificamente avviando all’uscita
dalla Mostra, dopo aver aperto uno striscione, minacciandoli e malmenandoli.
Dopo tre giorni di detenzione, i fermi sono stati annullati senza che venisse
convalidata la richiesta di arresti domiciliari mossa dal PM: solo obbligo di
firma per gli attivisti, secondo il GIP. Una mitigazione della pena dovuta
all’accertamento degli eventi che presenta una verità più vicina alla versione
dei manifestanti che a quella della Questura?
I fatti andranno accertati nelle sedi opportune. È però lecita una domanda: c’è
reale possibilità di manifestare per una causa giusta come l’immediata
sospensione della pulizia etnica dei palestinesi? Oppure, quando si toccano
obiettivi sensibili economici (quelli che, tra l’altro, ha individuato la
rapporteur delle Nazioni Unite per il popolo palestinese, Francesca Albanese,
nei suoi due ultimi rapporti come base per le complicità con il genocidio
“ongoing” da parte di imprese presenti in sessantatré Stati, tra cui l’Italia),
si rischia di impattare con forme di repressione?
* Storia degli insediamenti israeliani in Palestina – Vatican News
* Colonialismo e apartheid in Israele – BDS Italia
* Proteste in Israele: circa 200mila ultraortodossi in piazza, morto un ragazzo
– Alanews
* Disegno di legge S.1627 – Senato della Repubblica
* DDL “antisemitismo”: il piano Gasparri tra università e propaganda – Domani
* Napoli: fermi e abusi della polizia durante la protesta contro l’azienda
israeliana TEVA – SiCobas
* Scarcerati gli attivisti per la Palestina arrestati a Napoli – Rai News
Campania
* Rapporto ONU sul genocidio palestinese – Il Fatto Quotidiano
Nives Monda