Germaica oggi. Il vento che non si ferma
L’uragano Melissa travolge la Giamaica con venti fino a 300 chilometri orari.
Tra devastazione, paura e solidarietà, il pianeta sembra gridare nella stessa
lingua.
Le immagini arrivano dalla Giamaica, oggi. Si sovrappongono, sembrano tutte
uguali: case scoperchiate, alberi piegati dal vento, strade sommerse dal fango.
Qualche volta facciamo confusione, non ricordiamo più né dove né quando. Oggi è
la Giamaica in stato d’allerta, oggi è il suo turno. Indifferentemente potrebbe
essere la Florida, New Orleans, le Filippine, la Libia, Rigopiano, Sarno.
Oppure, addirittura, potrebbe essere il fiume che passa accanto alla nostra casa
a ribellarsi. Un elenco che potrebbe essere infinito. Nessuno può ritenersi al
sicuro. Il pianeta sembra ripetere lo stesso grido, in lingue diverse.
La Giamaica è un’isola dei Caraibi grande poco più della Sicilia, distesa nel
cuore del mare tra Cuba e Haiti. Tre milioni di abitanti, colline di foresta
tropicale, piantagioni di canna da zucchero e caffè, coste che si affacciano su
un mare di un azzurro quasi irreale. Nella memoria collettiva è Bob Marley, il
ritmo del reggae, le spiagge, il turismo che rappresenta quasi un terzo
dell’economia nazionale. Ma dietro quell’immagine luminosa ci sono comunità che
vivono di pesca, agricoltura e lavori stagionali, spesso in condizioni precarie,
in un Paese dove la povertà resta diffusa e la natura, un tempo madre generosa,
è diventata sempre più imprevedibile.
Ed è proprio questa isola, apparentemente sospesa tra sogno e mare, a essere ora
travolta dalla furia dell’uragano Melissa. Un ciclone di categoria 5 che ha
raggiunto venti fino a trecento chilometri orari, con onde alte oltre sei metri
e piogge torrenziali destinate a proseguire per ore. Le autorità giamaicane
hanno dichiarato lo stato d’emergenza e disposto evacuazioni di massa lungo le
coste. Secondo i dati disponibili al momento della pubblicazione, si contano tre
vittime accertate in Giamaica e almeno sette complessive in tutta l’area
caraibica, includendo Haiti e la Repubblica Dominicana. Migliaia di persone sono
state costrette ad abbandonare le proprie case. Le abitazioni di lamiera, comuni
nelle periferie urbane e nei piccoli villaggi interni, sono state le prime a
cedere sotto la forza del vento. In molte zone l’elettricità è interrotta, le
comunicazioni difficili, i soccorsi lenti a raggiungere le aree più isolate.
Eppure, anche in mezzo alla paura, la solidarietà non si ferma. Le famiglie si
aiutano una vicenda, i centri comunitari si trasformano in rifugi, i volontari
distribuiscono cibo e acqua potabile. Dalle radio locali si ascoltano voci calme
che invitano a mantenere la speranza: “Ricostruiremo, lo facciamo sempre”,
ricostruiremo, come sempre.
Ogni tempesta come questa racconta una verità più grande: la crisi climatica non
è un’ipotesi, è una realtà. Secondo il Gruppo intergovernativo sul cambiamento
climatico, la regione dei Caraibi sta sperimentando un aumento medio delle
temperature oceaniche di oltre un grado rispetto ai livelli preindustriali, e
questo incremento favorisce gli uragani sempre più violenti e imprevedibili.
Dietro le statistiche ci sono persone, pescatori che perdono le barche,
agricoltori che vedono i raccolti distruttivi, famiglie che ricominciano da zero
ogni volta. Sono i nuovi profughi climatici, costretti a lasciare le proprie
case non per scelta, ma per sopravvivere.
In questo scenario, il lavoro degli attivisti ambientali acquista un significato
ancora più profondo. Da anni ci avvertono, ci chiedono di fermarci un momento,
di ascoltare. Greta Thunberg è solo un esempio, per la sua giovane età e la
forza con cui ha saputo scuotere un’intera generazione. Ma dietro di lei, e
accanto a lei, ci sono stati e ci saranno grandissimi guerrieri in questo campo:
scienziati, giornalisti, educatori, contadini, uomini e donne che da decenni
combattono contro l’indifferenza, spesso nel silenzio. A tutti loro dovremmo
riconoscere rispetto e gratitudine, perché non cercano consenso ma coscienza. Ci
ricordano che dietro ogni disastro c’è un segnale, e che non basta guardare le
immagini: bisogna imparare a soffermarsi, ad ascoltare davvero ciò che vogliono
comunicarci.
Ogni volta che un uragano colpisce, si misura la distanza tra chi può
permettersi di ricostruire e chi no, e si misura la fragilità di un sistema che
ha dimenticato la propria interdipendenza. Ma soprattutto, bisognerebbe contare
le vite umane spezzate senza avere nessuna colpa, perché è da lì che si
comprende la reale entità di una catastrofe. Non nei numeri, ma nelle assenze
che lascia dietro di sé.
Mentre queste righe vengono scritte, Melissa continua la sua corsa sull’isola.
Non sappiamo ancora quale sarà l’entità dei danni, ma sappiamo che, come sempre,
saranno i più fragili a pagare il prezzo più alto. Eppure, anche in mezzo al
disastro, restano mani, voci, gesti di aiuto che raccontano un’altra parte
dell’umanità: quella che non si arrende, che resiste, che ricostruisce. Perché
ogni volta che un uragano passa, il vero vento che dovrebbe restare è quello
della consapevolezza.
Lucia Montanaro