Valerio Magrelli / L’energia della rima
Valerio Magrelli traduce Le Misanthrope di Molière seguendo un sentimento
dominante e rivelatore verso la lingua francese tanto che il risultato si
evidenzia come una solenne prefazione alle pagine seguenti l’opera, intitolate
Apologia della rima: dodici pagine che valgono quanto una lectio magistralis
diretta a coloro che si devono augurare grandi eredità dalle lingue madri e da
quelle ereditate. Uno stile seducente – qualcosa di ben conosciuto da chi ha
letto il Magrelli prosatore – oltre che cosparso di finezze filologiche. Nel
viaggio dentro la poesia, certo, la cui pratica non prescinde dall’uso della
metrica, verso libero permettendo.
Magrelli vola sui secoli europei associati alla metrica per posizionarsi nel
periodo precedente la fine dell’Ottocento, quando al di qua e al di là
dell’Oceano Atlantico spuntò in vita il verso libero. E cita Pessoa quando nel
1930 in poche frasi appellò come “drogata” la prosa quand’era “ingozzata
letteralmente di musica” dalla metrica rimata per trasformarla in poesia. Alcuni
nel XIX secolo sistemavano le cose traducendo in prosa i versi in modo che le
gabbie metriche si attenuassero non poco: Magrelli dice la sua, precisa che
ancora oggi tale metodo è ancora in auge nonostante certi usi “giocosi”
allestiti (soprattutto nel Novecento), per esempio, dall’Oulipo, con l’obiettivo
di crearsi dei vincoli. Dentro questo punto di vista Magrelli sosta alla svelta
nello spazio dove i traduttori Franco Parenti, Vittorio Sermonti e Renato
Benvenuto offrirono del Misantropo di Molière versioni in metro e rima italiani.
Lavori d’esiti diversi, a cui l’attuale edizione si accosta. In ogni caso
l’avvertimento che viene fuori da queste dodici pagine è chiaro: “tradurre è
passare fra Scilla e Cariddi”. Una vera sfida strutturale.
Da qui la ben nota domanda: perché tradurre? I giovani, di fronte a certe
esibizioni filmiche (più raramente, teatrali) si chiedono “come parlavano
questi?” anche se poco dopo, complice la moda del rap, Magrelli confessa che nel
2005 il figlio sedicenne gli chiese in prestito un rimario. Ah la forza della
rima! Fra esempi critici e esempi di traduzioni preoccupate dell’equivalenza
dinamica o del senso, si arriva – fra scomodità varie e duelli all’ultimo sangue
– a quei testi in cui l’azzeramento della rima equivarrebbe a un omicidio (il
caso di filastrocche e limericks). Magrelli appena può mette in campo esempi
luminosi di vivacità citando Camillo Sbarbaro che vede la vitalità della rima
sottendere un evidente stimolo erotico. Un miracolo acustico che “ha fatto
versare fiumi di inchiostro”.
E dunque, ecco che la tenzone giunge al termine venendo a capo di questa
traduzione del Misantropo, dove la rima accetta la sfida della brutalità, per
così dire, perché non si può togliere (Magrelli ne è convinto) l’energia della
rima a una pièce di Molière senza renderla inservibile (altro che versione
servile!). Con la più severa e lucida delle intenzioni: accettare le soluzioni
altrui quando sono migliori della nostra. Come “in alpinismo è consentito usare
chiodi piantati da coloro che hanno affrontato la stessa via prima di noi”,
vanno accolti i pregi dei migliori precursori. Alceste, il protagonista,
ringrazia.
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