La stagione delle piogge e i rituali in Palestina
Nel mio villaggio di Qira, vicino a Salfit, come in molti villaggi palestinesi,
aspettiamo le prime gocce di pioggia con un misto di desiderio e inquietudine.
La pioggia non è solo l’inizio della stagione agricola, è la rassicurazione che
la vita può continuare nonostante tutto ciò che accade intorno a noi. In
un’epoca di frammentazione della terra, di risorse idriche limitate e di
ostacoli quotidiani affrontati dagli agricoltori, l’arrivo di al-ghayth sembra
sia una grazia che una forma di resistenza silenziosa, un sottile promemoria che
la vita e la speranza persistono nonostante l’oppressione.
Ogni ottobre, quando il cielo si addolcisce e la terra ricomincia a respirare,
mi ricordo che, per quanto pesante possa diventare il fardello dell’occupazione,
il ciclo delle stagioni rimane l’unica certezza che Israele non può confiscare
né controllare. La pioggia è identità, continuità, memoria. Ci lega agli
antenati che hanno letto il cielo con secoli di saggezza e ci ancora alla terra
in modi più profondi di qualsiasi atto di proprietà. Mi ricorda i bambini del
villaggio che corrono per raccogliere le gocce d’acqua, ridendo e giocando,
ignari delle difficoltà della giornata, ma pienamente parte di questo ritmo
eterno. Mi ricorda anche gli anziani che raccontano storie delle stagioni
passate, con gli occhi che si illuminano mentre parlano dei tipi di
precipitazioni e dei segni naturali che hanno osservato per decenni.
Crescendo a Qira, ho imparato che il cuore dei contadini è plasmato dalla
pioggia: dai suoi tempi, dalla sua intensità e dalla sua generosità. Le piogge
determinavano se le famiglie potevano seminare i campi, immagazzinare il grano
per l’inverno o affrontare difficoltà. Ancora oggi, nonostante le previsioni
satellitari e i moderni bollettini meteorologici, i contadini continuano a
guardare le nuvole con la stessa pazienza ancestrale. I vecchi proverbi
circolano e il calendario popolare guida silenziosamente coloro che si fidano
della terra più che delle notizie. Quando parlo con gli anziani del mio
villaggio, descrivono il tempo come se leggessero il polso della terra stessa. È
un linguaggio di intuizione e osservazione tramandato da secoli, che lega ogni
generazione alla terra e l’una all’altra.
La stagione delle piogge in Palestina
Il clima della Palestina si divide in due stagioni principali: l’estate secca
(da maggio a ottobre) e l’inverno piovoso (da metà ottobre ad aprile). In una
terra che dipende dalle piogge stagionali, le prime piogge erano una promessa di
sopravvivenza. L’acqua ha plasmato l’agricoltura e quindi è diventata centrale
nella memoria culturale. Nel corso delle generazioni, i palestinesi hanno
sviluppato un calendario stagionale dettagliato basato sull’attenta osservazione
del cielo, delle nuvole, dei venti e della terra stessa. Quello che agli occhi
degli estranei può sembrare semplice folklore è, in realtà, una precisa
registrazione ambientale, trasmessa oralmente nel corso dei secoli, che guida le
azioni e le aspettative dei contadini in un paesaggio fragile.
1) La pioggia iniziale: Wasm
L’anno agricolo inizia con una leggera pioggia precoce alla fine di settembre o
all’inizio di ottobre, chiamata Matarat al-Saleeb o Shitwet al-Masateeh.
Simboleggia la purificazione della terra e il ritorno dalle dimore estive
(al-manateer) per iniziare la raccolta delle olive, la stagione più emozionante
per molte famiglie palestinesi. Queste prime piogge erano più che semplice
acqua: erano una benedizione, ritenuta portatrice di proprietà curative sia per
la terra che per le persone.
Poi arriva la pioggia Wasm, che “segna” la terra per la stagione invernale. Si
manifesta durante i mesi di ottobre e novembre in due fasi:
– Wasm Badri (Wasm precoce) in ottobre: essenziale per la crescita dei semi
precoci (al-afeer), segnala agli agricoltori che possono iniziare a preparare
gli aratri.
– Wasm Wakhri (Wasm tardivo) in novembre: ammorbidisce ulteriormente il terreno,
preparandolo per i lavori agricoli più impegnativi prima delle piogge invernali
più intense.
Proverbio: “In awsamet ‘a Eed Lidd u’hurt w’id” (Se piove durante la Festa di
Lid, inizia ad arare e a seminare).
2) Le forti piogge invernali
Da dicembre a marzo cadono le piogge più intense, vera linfa vitale
dell’agricoltura palestinese. Queste piogge saturano il terreno, riempiono
stagni e cisterne e ricaricano le sorgenti da cui molti villaggi dipendevano
molto prima che esistessero le reti idriche municipali.
Questa fase comprende il Marba’aniyyah e il Khamsiniyyah, due fasi dell’inverno
che insieme formano circa novanta giorni, la spina dorsale della stagione delle
piogge.
– Marba’aniyyah (dal 21 dicembre alla fine di gennaio): i quaranta giorni più
freddi e decisivi.
“Berd Kawaneen ahad min al-sakakeen” (Il freddo di Kanouns è più tagliente dei
coltelli).
“Ya shams tihriq ya matar tighriq” (O il sole brucia o la pioggia annega).
– Khamsiniyyah (50 giorni dopo Marba’aniyyah): quattro periodi chiamati
al-su’oudat, che segnano l’attenuarsi del freddo e i primi segni della
primavera.
Al-Mustaqridhat (I giorni presi in prestito)
Fine febbraio-inizio marzo. Una leggenda tramandata da generazioni narra di una
vecchia donna che derideva febbraio perché era secco. Febbraio “prese in
prestito” giorni da marzo e le mandò piogge intense e tempeste. Da qui il detto:
“Adhar Abu al-Zalazil w’al-Amttar” (Marzo, padre dei terremoti e delle piogge).
3) La pioggia di fine primavera
Da metà marzo fino ad aprile, e talvolta fino all’inizio di maggio, arriva la
pioggia tardiva: piogge più leggere ma fondamentali per la crescita di grano,
orzo e fagioli poco prima della maturazione.
“Shitwet Nissan b’tihyee al-Insaan” (la pioggia di aprile dà la vita). “Tiswa
al-sikkah w’al-faddan” (vale la pena arare con i buoi).
La pioggia dopo la fine di aprile può danneggiare i fiori di olivo, quindi gli
agricoltori pregano per i venti caldi smoum:
“Ya Rabb al-Smoum ‘ind ‘aqd al-Zaytoun” (Oh Dio, manda venti caldi quando gli
olivi danno i loro frutti).
Neve
La neve è rara ma rimane impressa nella memoria. Cade principalmente nelle zone
montuose della Galilea, Gerusalemme, Ramallah, Hebron e Nablus, soprattutto nei
mesi di dicembre e gennaio, ma talvolta anche in febbraio o marzo. Alcuni anni
sono entrati a far parte della memoria collettiva, come la neve del 1920 e
quella del 1950, quando i cumuli raggiungevano le ginocchia e i villaggi
rimasero isolati per giorni. Gli anziani ricordano questi inverni come segni del
tempo, insegnando alle giovani generazioni come adattarsi al clima e conservare
le provviste per le difficoltà impreviste.
Il sistema di previsione delle piogge nel patrimonio popolare palestinese
Molto prima della meteorologia moderna, i contadini palestinesi avevano
costruito un sofisticato sistema di previsione meteorologica basato
sull’astronomia, i venti, i segni naturali e il comportamento degli animali. Non
si trattava di superstizione, ma di un’intelligenza ecologica accumulata, che
rifletteva un profondo legame con l’ambiente e i suoi cicli.
Segni astronomici
Il sorgere di Suhail (Canopo) preannunciava inondazioni: «Itha tala‘Suhail la
ta’min al-sayl».
Il tramonto di al-Thurayya (Pleiadi) segnalava l’arrivo delle piogge:
«Al-Thurayya b’tghib ‘a sadd habis». Gli aloni intorno alla luna o al sole
all’inizio dell’autunno indicavano abbondanti piogge invernali.
Venti e cambiamenti atmosferici
I venti da sud-ovest (al-hawa al-Masri) erano accolti come “la porta
dell’inverno”.
I venti da est (al-sha‘louba) erano temuti perché portavano la siccità: “Sanat
al-Sharaqi b’door ma b’tlaqi.”
Indicatori naturali e pratiche popolari
Arcobaleno mattutino: cielo sereno. Arcobaleno pomeridiano: pioggia notturna.
Rugiada e nebbia a fine estate sono segno di un buon raccolto. I cumuli di sale
durante la Festa della Croce predicono quali mesi saranno piovosi o secchi.
Comportamento degli animali
Arrivo degli storni: “Fi sanat al-Zarzour, uhruth fi al-boor”. Pernice delle
sabbie: “Sanat al-Qata, bee‘al-ghata”. Piccioni: la nidificazione precoce
indicava un anno benedetto. Le mucche che alzavano la testa verso il cielo
segnalavano la pioggia. L’emergere di vermi, scorpioni e serpenti indicava un
aumento delle temperature: “B’Sa’d al-Khabaaya b’titla’ al-‘Aqarib w’al-Hayaya”.
Anche le nascite umane venivano interpretate simbolicamente: “Sanat al-Fuhoul
mahouleh” (gli anni di nascita maschili significano siccità), “Sanat al-Banat
nabat” (gli anni di nascita femminili significano benedizione).
Conclusione
La pioggia non è mai stata un evento banale nella coscienza palestinese, ma
l‘asse della vita e un simbolo di sopravvivenza. Gli agricoltori l’aspettavano
con speranza, paura e preghiere. Il calendario stagionale e il sistema di
previsione testimoniano l’intuizione degli antichi agricoltori che trasformavano
le loro preoccupazioni in conoscenze pratiche. Questo patrimonio rivela un
profondo legame tra le persone, la terra e il cielo, che unisce generazioni
attraverso i secoli.
Per me, la prima pioggia a Qira porta ancora con sé il profumo della terra che
sale come incenso dal suolo, ricordandoci che, nonostante tutte le pressioni, la
terra continua a respirare. Guardando i bambini giocare nelle pozzanghere e
ascoltando gli anziani discutere delle nuvole e delle previsioni, sento un
profondo legame che abbraccia le generazioni. Finché la pioggia cadrà sulla
Palestina, il nostro legame con questa terra rimarrà intatto, una testimonianza
vivente di resilienza, memoria e speranza.
di Fareed Taamallah
articolo originale
https://www.middleeastmonitor.com/20251129-rain-season-and-the-rituals-of-predicting-the-rain-in-palestinian-heritage/
Redazione Piemonte Orientale