Sahara Occidentale: quando il diritto all’autodeterminazione incontra la giustizia europea
La Rete Saharawi ha partecipato alle audizioni dedicate alla questione del
Sahara Occidentale presso la Quarta Commissione delle Nazioni Unite per la
Politica Speciale e la Decolonizzazione, riunita nell’ambito dell’80ª Assemblea
Generale.
Nel corso delle tre giornate di interventi – dal 7 al 10 ottobre – sono state
ascoltate 196 petizioni provenienti da attivisti, organizzazioni della società
civile e rappresentanti istituzionali di diversi Paesi.
Molte hanno ribadito con forza un principio fondamentale del diritto
internazionale: il popolo saharawi ha il diritto inalienabile
all’autodeterminazione e all’indipendenza, come sancito dagli Articoli 1 e 55
della Carta delle Nazioni Unite e dalle Risoluzioni dell’Assemblea Generale e
del Consiglio di Sicurezza sul processo di decolonizzazione del Sahara
Occidentale.
In qualità di Presidente dell’Associazione Città Visibili APS, ho preso parte ai
lavori della Commissione come delegato della RETE SAHARAWI che rappresenta
l’Italia al Coordinamento Europeo di Solidarietà con il popolo saharawi (EUCOCO)
e opera coordinando in Italia i progetti di solidarietà e cooperazione
internazionale di molte associazioni impegnate a supporto della popolazione
saharawi, tra cui alcune con esperienza pluridecennale.
UNA BATTAGLIA DI DIGNITÀ
Il Sahara Occidentale è una terra che da quasi cinquant’anni vive sospesa tra
occupazione e attesa di libertà. Per i Saharawi, l’autodeterminazione non è un
concetto astratto, ma la possibilità concreta di decidere il proprio futuro e di
gestire le proprie risorse senza imposizioni esterne. Eppure, nonostante il
diritto internazionale lo riconosca chiaramente, questo diritto continua a
essere negato.
LE REGOLE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE
Già nel 1975 la Corte internazionale di giustizia aveva stabilito che il Sahara
Occidentale non era “terra nullius” e che il popolo saharawi aveva diritto a
scegliere liberamente il proprio destino. Le Nazioni Unite lo ribadiscono da
decenni: il diritto all’autodeterminazione è universale e riguarda anche lo
sfruttamento delle risorse naturali. In altre parole, non si può pescare,
coltivare o estrarre in un territorio senza il consenso del suo popolo.
L’UNIONE EUROPEA DAVANTI ALLA CORTE
Nonostante ciò, l’Unione Europea ha più volte siglato accordi con il Marocco
che, di fatto, includono anche il Sahara Occidentale. Questo ha portato il caso
davanti alla Corte di Giustizia europea, che in una serie di sentenze storiche
ha ribadito un principio semplice: quegli accordi non possono valere per il
Sahara Occidentale senza il consenso dei saharawi.
Dal 2016 al 2024, la Corte ha costruito un percorso chiaro:
– il Sahara Occidentale è un territorio “distinto e separato” dal Marocco;
– gli accordi commerciali e di pesca che lo coinvolgono senza consenso sono
illegittimi;
– i prodotti che arrivano dall’area non possono essere venduti come se fossero
“marocchini”.
La giurisprudenza europea ha così dato voce, in sede giudiziaria, a un popolo
che spesso viene ignorato in sede politica.
TRA DIRITTO E POLITICA
Le sentenze hanno segnato una vittoria importante, ma non hanno ancora cambiato
la realtà. Le istituzioni europee, pressate dagli interessi economici e dalle
relazioni strategiche con il Marocco, hanno spesso cercato di aggirare le
regole, sostituendo al consenso vero e proprio semplici “consultazioni” con
attori locali o portatori di interesse. Ma la Corte è stata chiara: soltanto il
popolo saharawi può dare o negare il suo consenso.
COSA PUÒ FARE L’ONU
Perché la giurisprudenza non resti lettera morta, serve un impegno politico
forte. Le Nazioni Unite possono giocare un ruolo chiave: – stabilendo linee
guida chiare che escludano i territori non autonomi dagli accordi commerciali
senza consenso esplicito; – creando un registro internazionale che certifichi
quando un accordo rispetta o meno i diritti del popolo saharawi; – imponendo
trasparenza sulle catene di approvvigionamento: se un pomodoro arriva dal Sahara
Occidentale, deve essere chiaro e tracciabile.
UNA QUESTIONE CHE CI RIGUARDA TUTTI
Il Sahara Occidentale non è un caso isolato: è il simbolo di come interessi
economici e geopolitici possano calpestare diritti fondamentali. Difendere il
popolo saharawi significa difendere l’idea stessa che nessun popolo possa essere
privato della propria voce e delle proprie risorse.
L’autodeterminazione non è soltanto un diritto scritto nei trattati, è una
battaglia di dignità che riguarda tutti noi. Ed è il momento che la comunità
internazionale, a partire dall’ONU, smetta di chiudere gli occhi e trasformi la
giustizia proclamata nelle aule dei tribunali in giustizia vissuta da chi
attende da troppo tempo di essere libero.
Non può esserci pace senza libertà e non ci sarà mai vera libertà senza
giustizia.
Simone Bolognesi, Presidente Associazione Città Visibili APS
Rete italiana di Solidarietà col Popolo Saharawi
Paolo Mazzinghi