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Non c’è mai stata una “guerra” a Gaza. Il “cessate il fuoco” è una bugia dello stesso stampo
di Jonathan Cook,  Middle East Eye, 17 ottobre 2025.     Il “piano di pace” di Trump è destinato al fallimento. Nessun popolo nella storia si è mai rassegnato alla servitù e all’oppressione permanente. I palestinesi non saranno da meno. Una veduta degli edifici distrutti, durante il cessate il fuoco tra Israele e Hamas, nella città di Gaza il 16 ottobre 2025. (Reuters) I cessate il fuoco reggono perché le due parti in guerra hanno raggiunto una situazione di stallo militare o perché gli incentivi per ciascuna parte a deporre le armi superano quelli a continuare lo spargimento di sangue. Nulla di tutto ciò si applica a Gaza. Gli ultimi due anni nell’enclave sono stati molte cose. Ma l’unica cosa che non sono stati è una guerra, qualunque cosa i politici e i media occidentali vogliano farci credere. Ciò significa che l’attuale narrativa di un “cessate il fuoco” è una menzogna tanto quanto la precedente narrativa di una “guerra di Gaza”. Il cessate il fuoco non è “fragile”, come ci viene continuamente detto. È inesistente, come dimostrano le continue violazioni da parte di Israele, dai suoi soldati che continuano a uccidere civili palestinesi al blocco degli aiuti promessi. Cosa sta succedendo realmente? Per comprendere il “cessate il fuoco” e il “piano di pace” in 20 punti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ancora più illusorio, dobbiamo prima capire cosa si nascondeva dietro la precedente retorica della “guerra”. Negli ultimi 24 mesi abbiamo assistito a qualcosa di profondamente sinistro. Abbiamo assistito al massacro indiscriminato di una popolazione in gran parte civile, già sotto assedio da 17 anni, da parte di Israele, un colosso militare regionale sostenuto e armato dal colosso militare globale degli Stati Uniti. Abbiamo assistito alla distruzione di quasi tutte le case di Gaza, che era già diventata un campo di concentramento per la sua popolazione. Le famiglie sono state costrette a vivere in tende di fortuna, come era già successo decenni fa quando erano state espulse con la forza delle armi dalle loro terre in quello che oggi è Israele. Ma questa volta sono state esposte a una miscela tossica composta dalle macerie delle loro ex case e dai materiali esauriti di bombe pari a molte Hiroshima sganciate sull’enclave. Abbiamo assistito a una popolazione prigioniera affamata per mesi e mesi, in quella che, nella visione più generosa, è stata una politica palese di punizione collettiva, un crimine contro l’umanità per il quale il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è perseguito dalla Corte Penale Internazionale. Centinaia di migliaia di bambini a Gaza hanno subito danni fisici, oltre al trauma psicologico, a causa di una malnutrizione che ha alterato il loro DNA, danni che molto probabilmente saranno trasmessi alle generazioni future. Abbiamo assistito allo smantellamento sistematico degli ospedali di Gaza, uno dopo l’altro, fino a quando l’intero settore sanitario è stato svuotato, incapace di far fronte sia al flusso di feriti che alla crescente ondata di bambini malnutriti. Abbiamo assistito a operazioni di pulizia etnica su larga scala, in cui le famiglie – o ciò che ne restava – sono state cacciate dalle “zone di morte” verso aree che Israele definiva “zone sicure”, solo per vedere quelle zone sicure trasformarsi rapidamente, senza alcuna dichiarazione, in nuove zone di morte. E mentre Trump aumentava la pressione per un “cessate il fuoco”, abbiamo assistito a un’orgia di violenza da parte di Israele, che ha distrutto quanto più possibile di Gaza City prima della scadenza del termine per fermarsi. La retorica della “guerra di Gaza” Niente di tutto questo può, o dovrebbe, essere descritto come una guerra. Le Nazioni Unite, tutte le principali organizzazioni per i diritti umani del mondo, compresa l’israeliana B’Tselem, e il principale organismo mondiale di studiosi di genocidio concordano sul fatto che ciò che è accaduto a Gaza soddisfa la definizione di genocidio, come stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio, ratificata da Israele, Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea. Ciononostante, la retorica di Israele e dell’Occidente sulla “guerra” è stata fondamentale per vendere all’opinione pubblica occidentale una retorica altrettanto disonesta sul “cessate il fuoco” e sulle speranze di “pace”. La menzogna dell’attuale cessate il fuoco è la controparte della menzogna sulla “guerra di Gaza” che ci è stata raccontata negli ultimi due anni. L’inquadramento serve esattamente allo stesso scopo: mascherare gli obiettivi più ampi di Israele. Martedì, nel bel mezzo del “cessate il fuoco”, mentre venivano scambiati i corpi di israeliani e palestinesi, Israele uccideva altri palestinesi. Il Financial Times è stato tra i media che hanno riportato la notizia che i soldati israeliani avevano ucciso “diversi” palestinesi quel giorno. In precedenza, i soldati israeliani avevano pubblicato dei video mentre si ritiravano dalla città di Gaza, dando fuoco alle case, alle scorte di cibo e a un importante impianto di trattamento delle acque reflue. In altre parole, Israele non ha mai avuto alcuna intenzione di cessare il fuoco. Si tratta di uno schema familiare. Israele ha ucciso almeno 170 palestinesi durante un precedente “cessate il fuoco” negoziato da Trump a gennaio, che poi ha unilateralmente interrotto poche settimane dopo per poter riprendere il genocidio. E in Libano, dove dovrebbe essere in vigore da un anno un cessate il fuoco supervisionato da Stati Uniti e Francia, Israele ha violato le sue condizioni più di 4.500 volte. Come ha osservato l’ex ambasciatore britannico Craig Murray a proposito del periodo di cessate il fuoco, Israele “ha ucciso centinaia di persone, compresi neonati, ha demolito decine di migliaia di case e ha annesso cinque zone del Libano”. Qualcuno immagina che Gaza, un minuscolo territorio senza un esercito né le caratteristiche di uno stato, possa avere sorte migliore del Libano sotto un cessate il fuoco israeliano? La farsa del cessate il fuoco Il cessate il fuoco può essere una tregua temporanea nell’assalto genocida di Israele a Gaza, durato due anni, ma non fa nulla per porre fine all’occupazione decennale dei territori palestinesi da parte di Israele, che è la causa scatenante della “guerra”. L’occupazione continua. Inoltre, non fa nulla per porre fine al sistema di apartheid israeliano nei confronti dei palestinesi, giudicato illegale dalla più alta corte mondiale lo scorso anno. In quell’occasione, la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ha chiesto a Israele di ritirarsi immediatamente dai territori palestinesi occupati, compresa Gaza, e ha chiesto agli altri stati di esercitare pressioni affinché ciò avvenga. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dato a Israele tempo fino al mese scorso per ottemperare alla sentenza della Corte Internazionale di Giustizia. Israele non solo ha ignorato tale scadenza, ma anche durante l’attuale “cessate il fuoco” i soldati israeliani continuano a essere di stanza in più della metà di Gaza. Inoltre, naturalmente, Israele continua a controllare tutto il territorio di Gaza a distanza attraverso i suoi droni spia, i droni d’attacco e i jet da combattimento, la tecnologia di sorveglianza e i blocchi terrestri e navali. Dovrebbe essere ovvio che uno stato deciso al genocidio non ha motivo di fermare il proprio genocidio a meno che non sia costretto a farlo da una parte più forte. Trump ha calcato la scena mondiale fingendo di fare proprio questo, esercitando pressioni su Israele e Hamas. Ma solo i creduloni – e la classe politica e mediatica occidentale – cadono in questa farsa. Il “cessate il fuoco” non è “fragile”. È stato creato per fallire, non per fornire un percorso verso la pace. Il suo vero scopo è quello di fornire a Israele un nuovo mandato per rinnovare il genocidio. Prigionieri disumanizzati Per decenni, i palestinesi sono stati costretti a vivere in una situazione senza via d’uscita: dannati se lo fanno, dannati se non lo fanno. Qualsiasi resistenza alla loro brutale occupazione porta al massacro – o al “taglio dell’erba”, come lo definisce Israele – e alla loro designazione come “terroristi”. Ma una politica di non resistenza, come quella perseguita dall’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas in Cisgiordania, lascia i palestinesi in balìa di se stessi, costretti a vivere come prigionieri permanenti e disumanizzati sotto il dominio israeliano, ammassati in riserve sempre più ristrette, mentre le milizie ebraiche hanno il permesso di costruire insediamenti sulla loro terra. Lo stesso tipo di falsa “scelta” è al centro dell’attuale “cessate il fuoco”. Hamas ha ottenuto uno scambio di ostaggi – dopo che migliaia di palestinesi sono stati catturati per strada (e altre migliaia saranno presto catturati per sostituirli) – mentre la popolazione di Gaza ottiene una breve tregua dalla campagna di sterminio affamatorio di Israele. Questa è stata la formula per costringere Hamas ad approvare un accordo di cessate il fuoco che sa fin troppo bene essere pieno di trappole. La più evidente è la richiesta ad Hamas di restituire gli ultimi israeliani rimasti prigionieri a Gaza, compresi 28 cadaveri, in cambio di circa 2.000 ostaggi palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane. L’accordo ha fissato un termine di 72 ore per lo scambio. Hamas ha avuto difficoltà a localizzare i luoghi in cui si trovano i cadaveri. Finora ne ha restituiti 10, anche se uno di essi sembra non essere israeliano. La terra desolata che è ora Gaza ha pochi punti di riferimento per identificare i luoghi delle sepolture originali. E le montagne di macerie sotto cui giacciono i corpi degli israeliani – create dalle bombe bunker buster fornite dagli Stati Uniti e sganciate da Israele, che molto probabilmente li hanno uccisi – sono quasi impossibili da rimuovere senza macchinari pesanti, di cui Gaza è gravemente carente. Anche se i siti potessero essere identificati e le macerie rimosse, Hamas potrebbe scoprire che i corpi non esistono più, che sono stati vaporizzati, insieme alle vittime palestinesi, dalle bombe israeliane.  E naturalmente c’è un altro probabile problema: alcuni dei corpi potrebbero trovarsi nella più della metà di Gaza che Israele sta ancora occupando e alla quale Hamas non può accedere. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump parla durante un vertice dei leader mondiali sulla fine della guerra di Gaza a Sharm el-Sheikh il 13 ottobre 2025. (Reuters) Come ha ammesso il Comitato Internazionale della Croce Rossa, arbitro neutrale per eccellenza, trovare i corpi in queste circostanze sarà una “sfida enorme”. Un altro circolo vizioso. È interessante notare che, sebbene i media occidentali abbiano volentieri amplificato le accuse israeliane di malafede di Hamas riguardo alla restituzione dei corpi, nonché la sofferenza delle famiglie israeliane in attesa, hanno fornito una copertura mediatica minima sulle condizioni dei corpi palestinesi restituiti da Israele. I cadaveri refrigerati sono arrivati all’ospedale Nasser di Gaza senza alcun documento di identità e il personale non è stato in grado di eseguire i test del DNA a causa della distruzione inflitta da Israele alle sue strutture. Le famiglie non avranno idea di chi siano i loro cari a meno che non provino a identificarli personalmente. Sarà un compito raccapricciante e angosciante. I medici hanno notato che i corpi restituiti erano ancora ammanettati e bendati, giustiziati con colpi di pistola alla testa e con chiari segni di tortura prima e dopo la morte. Nel frattempo, anche prima che fosse raggiunto il termine di 72 ore previsto per lo scambio, Israele ha approfittato del ritardo per rinnovare la fame di Gaza, limitando gli aiuti disperatamente necessari per affrontare la carestia che aveva provocato. Ancora più inquietante, secondo i media israeliani, gli Stati Uniti hanno concordato una “clausola segreta” con Israele per consentirgli di riprendere la sua “guerra” genocida se Hamas non riuscirà a consegnare tutti i corpi entro il termine di tre giorni. Doppio vincolo Se Hamas riuscirà a evitare questa trappola, dovrà comunque deporre le armi. Questo viene presentato come una condizione preliminare per la “pace”. Ma l’unica certezza è che, anche se Hamas dovesse disarmarsi, la pace non sarebbe il risultato. Questa settimana, con il suo solito stile, Trump ha lanciato minacce indefinite. “Se loro [Hamas] non depongono le armi”, ha detto, “saremo noi a disarmarli”. Ha aggiunto che, se gli Stati Uniti dovessero intervenire, “avverrà rapidamente e forse in modo violento. Ma deporranno le armi”. Questo mette intenzionalmente Hamas e altri che perseguono la resistenza armata contro l’occupazione israeliana – un diritto riconosciuto dal diritto internazionale – in una situazione senza via d’uscita. In primo luogo, una popolazione disarmata a Gaza sarà ancora più indifesa di fronte agli attacchi israeliani. A prescindere dal fatto che la strategia militare di Hamas sia giusta o sbagliata, è difficile ignorare il fatto che il prolungato tributo pagato dalle truppe israeliane in termini di traumi psicologici e numero di vittime abbia funzionato come una sorta di pressione controbilanciante. Un gran numero di israeliani è sceso in piazza per opporsi alle azioni di Netanyahu a Gaza, ma non, come dimostrano i sondaggi, perché la maggior parte di loro si preoccupa delle centinaia di migliaia di palestinesi morti e mutilati. Le loro proteste sono state motivate soprattutto dalla preoccupazione per la sorte dei prigionieri israeliani a Gaza e per il tributo pagato dai soldati israeliani. Hamas e gran parte della popolazione di Gaza temono che il disarmo possa spingere ulteriormente l’analisi costi-benefici degli israeliani verso la continuazione del genocidio. Ciò rischia di provocare ulteriori spargimenti di sangue da parte di Israele, non la pace. Un dilemma senza via d’uscita In secondo luogo, è improbabile che Hamas accetti di disarmarsi quando ci sono clan criminali, armati e sostenuti da Israele, alcuni dei quali legati allo Stato Islamico, che vagano per le strade di Gaza. I palestinesi hanno capito da tempo che l’ambizione di Israele è quella di minare i principali movimenti di liberazione nazionale palestinesi – sia Hamas che Fatah – promuovendo al loro posto signori feudali della guerra. Quattordici anni fa, un analista palestinese mi mise in guardia sui pericoli di quello che definì il piano di Israele per l'”afghanizzazione” di Gaza e della Cisgiordania. La strategia definitiva di Israele per dividere e governare consisterebbe nel promuovere leader di clan rivali che si concentrano sulla protezione dei propri piccoli feudi e sulla lotta reciproca, piuttosto che cercare di resistere all’occupazione illegale e perseguire uno stato palestinese unificato. Al culmine del genocidio, i clan hanno dimostrato quanto un simile sviluppo potesse essere pericoloso per i palestinesi comuni. Aiutati da Israele e con Hamas bloccato nei propri tunnel, queste bande hanno saccheggiato i camion degli aiuti umanitari, rubato gli aiuti alle famiglie più deboli, poi hanno preso quel cibo per le proprie famiglie e venduto il resto a prezzi esorbitanti che pochi potevano permettersi. Tutti gli altri sono morti di fame. Se Hamas deponesse le armi, questi clan avrebbero mano libera, sostenuti da Israele. Né Hamas né la maggior parte della popolazione di Gaza vogliono che ciò accada di nuovo. Questa non è la strada verso la pace, ma verso il proseguimento della brutale occupazione israeliana, in parte subappaltata ai signori della guerra locali. Stranamente, Trump sembra comprendere in parte questa situazione. Martedì ha detto che Hamas “ha eliminato un paio di bande molto cattive… ha ucciso diversi membri delle bande. Onestamente, la cosa non mi ha dato molto fastidio. Va bene così”. Cosa immagina allora Trump che accadrà se Hamas deporrà le armi, come lui e Israele hanno insistito che facesse? Queste “bande molto cattive” non riemergeranno? Questo è proprio il dilemma senza via d’uscita in cui Israele vuole che Hamas e Gaza si trovino. Intorbidare le acque Mercoledì Trump ha nuovamente intorbidato le acque, avvertendo che, se Hamas non avesse deposto le armi, Israele avrebbe ripreso i suoi attacchi su Gaza “non appena avessi dato l’ordine”. Il giorno dopo è andato oltre, suggerendo che gli stessi Stati Uniti potrebbero intervenire a Gaza. Ha scritto sul suo Truth Social: “Se Hamas continua a uccidere persone a Gaza, cosa che non era prevista dall’accordo, non avremo altra scelta che entrare e ucciderli”. Cosa dovrebbe quindi riempire il vuoto creato nel caso doppiamente improbabile che Hamas si sciolga e Israele si ritiri completamente da Gaza? Israele ha insistito affinché non ci fosse alcun governo palestinese nell’enclave, nemmeno quello del regime di Abbas in Cisgiordania. Israele continua inoltre a rifiutarsi di rilasciare Marwan Barghouti, il leader di Fatah da tempo in carcere, unica figura unificante nella politica palestinese e spesso definito il Nelson Mandela palestinese. Se Israele fosse davvero interessato a porre fine all’occupazione e alla “pace”, Barghouti sarebbe la persona più ovvia a cui rivolgersi. Invece, secondo alcune notizie, egli sarebbe stato nuovamente picchiato selvaggiamente dalle guardie carcerarie israeliane, mettendo in pericolo la sua vita. La visione di Trump per i prossimi anni offre solo il suo famigerato “Consiglio di Pace“, un’amministrazione di stampo coloniale senza scrupoli che dovrebbe essere guidata dal viceré Tony Blair. Due decenni fa, l’ex primo ministro britannico ha aiutato gli Stati Uniti a distruggere l’Iraq, portando al crollo totale delle sue istituzioni e alla morte di massa della sua popolazione. Il “Consiglio di Pace” di Trump dovrebbe avere sede in Egitto, non a Gaza. Sul campo, Trump immagina una “forza di stabilizzazione” straniera. Ma le sue truppe, ammesso che arrivino, probabilmente non saranno più efficaci nel contrastare l’aggressione israeliana di quanto lo siano state per decenni le forze di pace in Libano. Israele ha ripetutamente attaccato le forze di pace dell’ONU nel sud del Libano, mentre la presenza delle forze dell’ONU non ha fatto nulla per frenare le continue violazioni del “cessate il fuoco” da parte di Israele. Una forza di stabilizzazione potrà fare ben poco per impedire a Israele di interferire direttamente a Gaza attraverso omicidi con droni, restrizioni alle importazioni di cemento, cibo e forniture mediche e un blocco navale delle acque territoriali dell’enclave. La visione di “pace” di Trump è quella di palestinesi che vivono una vita di stenti tra le rovine di Gaza, alla mercé dei droni israeliani sempre vigili. Ramy Abdu, presidente dell’Euro-Mediterranean Human Rights Monitor, ha dichiarato questa settimana a The Intercept che ciò che molto probabilmente vedremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi è un passaggio da parte di Israele da un genocidio sfrenato a quello che lui ha definito un “genocidio più controllato, uno sfollamento forzato controllato”. Israele potrà ora sedersi e ostacolare la ricostruzione dell’enclave, inviando un chiaro messaggio a una popolazione indigente che la loro salvezza non sarà mai trovata a Gaza. Nemmeno Il futuro della Cisgiordania sarà pace, ma un’intensificazione delle atrocità da parte di Israele e della creazione di tante mini-Gaza dalle piccole città-riserve in cui i palestinesi sono stati progressivamente ammassati. La resistenza palestinese non finirà in tali circostanze. Nessun popolo nella storia si è mai rassegnato alla servitù e all’oppressione permanenti. I palestinesi non saranno da meno. Jonathan Cook è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese e vincitore del Martha Gellhorn Special Prize for Journalism. https://www.middleeasteye.net/opinion/it-was-never-gaza-war-ceasefire-lie-cut-same-clot?utm_source=substack&utm_medium=email Traduzione a cura di AssopacePalestina Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.