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Congo, crollo di una miniera di rame e cobalto illegale a Kawama: il dramma dell’estrattivismo
Più di 80 minatori sono morti per il crollo di un ponte presso una miniera di rame cobalto situata nel sud della Repubblica Democratica del Congo (Rdc). Il ponte è crollato a Kawama, situata nella provincia di Lualaba, in una zona inondata nei pressi della miniera – ha spiegato a giornalisti il responsabile provinciale degli Interni, Roy Kaumba Mayonde. Al momento sono stati recuperati 80 corpi, ma le ricerche di ulteriori vittime proseguono, ha aggiunto. Le squadre di soccorso stanno continuando le operazioni di ricerca di eventuali altre vittime, così come in parallelo stanno proseguendo gli accertamenti del caso per ricostruire la dinamica del tragico incidente. Stando alle prime ricostruzioni, a crollare sarebbe stato un ponte costruito abusivamente da alcuni minatori illegali, che avrebbero cercato di fuggire velocemente in massa sfruttando la struttura per scappare dal personale militare intervenuto per scacciarli dal sito. A rendere la portata della tragedia bastano però le immagini del crollo diffuso sui social, con la nube di fumo alzatasi per via del collasso a inghiottire gli inermi lavoratori presenti sul posto. Secondo quanto riporta la BBC, non si tratta di un incidente fuori dal comune in Congo, paese in cui circa 2 milioni di persone sono impiegate in miniere non regolamentate che sostengono la domanda crescente del metallo utilizzato, tra gli altri usi, per la produzione di batterie agli ioni di litio per le auto elettriche e di tutto il settore fortemente insostenibile della cosiddetta “green economy”, fondato sull’estrattivismo. Circa l’80% dei bambini e delle bambine congolesi sono coinvolti in gravi forme di sfruttamento e svolgono lavori usuranti, estraggono il cobalto in condizioni estremamente pericolose. I bambini per meno di un dollaro al giorno, si infilano dentro cunicoli stretti e  senza sicurezza alcuna, altri bambini per lo stesso importo, sono costretti a portare pesanti sacchi 12 ore al giorno, altri ancora lavano le rocce immersi in pozze altamente inquinate. Lavoratori in una miniera d’oro nella Repubblica Democratica del Congo (foto d’archivio) Il 20% del minerale estratto proviene dalla parte meridionale del Paese, nel distretto di Kolwezi, capitale mondiale delle terre rare. Nelle comunità del Domaine Marial, il 65% dei bambini tra gli 8 e i 12 anni lavora nelle miniere; nell’area di Kanina sono in maggioranza in età scolare, si tratta anche di bambini in una fascia di età compresa tra i 6 e gli 8 anni, che risultano particolarmente adatti ad insinuarsi negli stretti cunicoli per l’estrazione del minerale. Lavorano in condizioni estreme, per più di dodici ore, senza alcuna protezione e con salari che vanno da 1$ a 2$ al giorno. Il rischio di ammalarsi prima e più dei loro coetanei è molto alto, così come il rischio di incidenti, anche mortali, sul lavoro, soprattutto a causa dei frequenti crolli dei tunnel nelle miniere. Sono, inoltre, numerose le segnalazioni di incidenti mortali nella ex provincia del Katanga. Tuttavia, non ci sono dati ufficiali governativi disponibili sul numero di vittime che si verificano ma gli incidenti sono comuni. I bambini sono oggetto di maggiori soprusi e abusi da parte dei caporali e dalle guardie di sicurezza. La Repubblica del Congo, detiene circa il 70% delle riserve mondiali di coltan e una quota significativa di litio. Tuttavia, invece di costituire una fortuna, queste risorse sono diventate una maledizione, alimentando cicli di violenza e sfruttamento. Foto di miniere in Congo (foto d’archivio) I gruppi armati, spesso finanziati da reti internazionali, controllano le miniere e utilizzano il lavoro forzato, soprattutto quello dei bambini, per estrarre i minerali, che poi vengono esportati illegalmente attraverso i paesi vicini. Nel 2019 in gruppo di avvocati, di una associazione per i diritti umani ha mosso una causa giudiziaria, depositata il 15 dicembre 2019. La causa afferma che le grandi aziende leader nella tecnologia stanno “Consapevolmente traendo beneficio da questo sistema di estrazione ‘artigianale’ in Congo e lo stanno supportando in maniera sostanziale. Gli imputati sanno che il settore di estrazione mineraria in Congo dipende dal lavoro minorile e ne sono stati a conoscenza per un significativo periodo di tempo, sanno che i bambini svolgono i lavori più pericolosi tra cui lo scavo dei tunnel in miniere di cobalto arretrate”. Inoltre sostiene che i bambini sono “forzati dall’estrema povertà a lasciare la scuola per perseguire l’unica opzione economica nella loro regione: lavorare nelle miniere ‘artigianali’ di cobalto”, dove vengono pagati meno di due dollari al giorno per estrarre rocce di cobalto da tunnel sotterranei con degli strumenti insufficienti, un lavoro stremante ed estremamente pericoloso. Famiglie e bambini feriti ora chiedono i danni non solo per lo sfruttamento del lavoro minorile, ma anche per “arricchimento ingiusto, supervisione negligente e inflizione intenzionale di sofferenza emotiva”. Gli esperti sottolineano che questa è la prima volta che diverse aziende tecnologiche affrontano una causa legale unica che metta in discussione la legalità della loro fornitura di cobalto. Questa la lista delle sedici multinazionali denunciate: Ahong, Apple, Byd, Daimler, Dell, Hp, Huawei, Inventec, Lenovo, Lg, Microsoft, Samsung, Sony, Vodafone, Volkswagen, Zte. Il 70% del cobalto usato nei nostri apparecchi elettronici, dai telefonini, fino ai PC e i televisori, proviene dal Congo, oltre la metà di questo viene estratto dai bambini. Secondo il rapporto, il cobalto estratto viene comprato da broker che poi lo rivendono alla Congo Dongfang Mining, controllata dal colosso cinese del settore minerario Zhejiang Huayou Cobalt Ltd. Nessun controllo sulla liceità della provenienza del cobalto viene effettuato dai fornitori. Il crollo della miniera che ha visto la morte di più di 80 persone tra cui diversi bambini (numero destinato a crescere nelle prossime ore), non è un evento straordinario, bensì solo uno degli innumerevoli episodi di morte e disperazione che avvengono nella Repubblica del Congo, tutto in nome di un interesse e di un falso progresso fondato su morte, disperazione e sfruttamento selvaggio e senza limiti, che nessuno pare sia interessato a fermare.   Ulteriori informazioni: https://www.tagesschau.de/ausland/afrika/kongo-goldminen-goldpreis-100.html https://www.wired.it/article/congo-risorse-minerarie-cobalto-coltan-cina/ https://www.tagesschau.de/ausland/afrika/demokratische-republik-kongo-100.html > Congo: cobalto e coltan, il “nuovo oro” che alimenta i conflitti > Cobalto e povertà: la maledizione del Congo Luca Cellini
L’Africa, il continente più saccheggiato della storia
> L’Africa è la ferita aperta del pianeta. Il continente più saccheggiato della > storia entra nel XXI secolo portando con sé vecchie catene e affrontandone di > nuove. Prima erano carovane di schiavi, poi navi cariche di oro e diamanti, > ora container di petrolio, litio, cobalto e coltan. Il metodo cambia, lo > sfruttamento continua. La mappa africana non è stata disegnata dai suoi popoli. È stata tracciata a Berlino nel 1885, quando le potenze europee si sono spartite le terre come se fossero monete. Quella cicatrice brucia ancora. Oggi, 140 anni dopo, l’Africa continua a pagarne il prezzo: frontiere inventate, guerre infinite, ricchezze trasformate in maledizioni. Il XXI secolo è iniziato con promesse di globalizzazione e libertà. Quello che è arrivato è stata un’altra ondata di saccheggi. La Cina costruisce strade e porti, ma in cambio di petrolio in Angola, rame in Zambia e litio in Zimbabwe. La Russia invia armi e mercenari, offrendo protezione in cambio di oro in Sudan e uranio in Niger. Gli Stati Uniti e l’Europa mantengono società minerarie, basi militari e contratti mascherati da cooperazione. La scacchiera è globale, ma i popoli africani hanno poca voce in capitolo. L’Africa concentra il 30% delle risorse minerarie del pianeta. Il Congo produce oltre il 70% del cobalto mondiale, indispensabile per le auto elettriche e le batterie. La Guinea possiede immense riserve di bauxite. Il Sudafrica esporta oro e platino. L’Angola estrae petrolio, la Nigeria gas, il Mozambico carbone. Il litio dello Zimbabwe è molto ambito dalle aziende tecnologiche. Tuttavia, oltre 400 milioni di africani sopravvivono con meno di due dollari al giorno. Questa è la brutale contraddizione del XXI secolo. Il saccheggio non avviene più con i fucili, ma con prestiti e contratti. La Cina finanzia megaprogetti che lasciano debiti. L’Occidente esige riforme in cambio di aiuti. La Russia insedia mercenari che controllano le miniere. I governi africani spesso firmano accordi che cedono il sottosuolo in cambio di briciole. La corruzione e le élite locali sono complici di un sistema che mantiene il continente incatenato. L’Unione Africana sta cercando di rispondere. Nel 2021 è entrato in vigore ilITrattato di Libero Commercio Continentale Africano, con l’ambizione di unire 54 paesi e 1,3 miliardi di abitanti in un mercato comune. Si tratta di un passo storico, ma fragile: la povertà, le pressioni esterne e le divisioni interne minacciano di renderlo lettera morta Il volto dell’Africa è giovane. Il 60% della sua popolazione ha meno di 25 anni. Milioni di giovani chiedono istruzione, lavoro e un futuro. Sono loro che affollano i barconi che attraversano il Mediterraneo in cerca di una vita dignitosa in Europa. Ogni corpo sepolto in mare è il ricordo di un continente sfruttato fino allo sfinimento. La violenza non si ferma. Il Sahel è teatro di guerre, in Mali, Burkina Faso, Niger. La Somalia è ancora alle prese con il terrorismo. Il Congo sanguina a causa delle milizie che controllano le miniere di coltan. Il Sudan brucia per l’oro. La sicurezza è il business più redditizio del XXI secolo in Africa. E le armi, come sempre, arrivano dall’esterno. Ma l’Africa resiste. Le comunità difendono le terre contro le aziende forestali e minerarie. Le donne organizzano reti di produzione locale. I giovani creano movimenti digitali e politici che sfidano i governi corrotti. Paesi come l’Etiopia e il Sudafrica cercano strade proprie. Non sono vittorie definitive, ma sono crepe nel muro del saccheggio. Il colonialismo ha cambiato bandiera ma non logica. Dove prima c’erano i fucili ora ci sono i debiti. Dove prima c’erano le catene ora ci sono i contratti. Dove prima c’erano i viceré ora ci sono presidenti obbedienti. Il risultato è lo stesso: la ricchezza se ne va, la povertà rimane. Il pianeta non può vivere senza l’Africa. Senza il suo cobalto non c’è transizione energetica, senza il suo litio non ci sono auto elettriche, senza il suo coltan non ci sono cellulari, senza il suo uranio non c’è energia nucleare. L’Africa sostiene il mondo senza ricevere nulla in cambio. Questa è l’ingiustizia che reclama a gran voce. Il futuro non è scritto. Potrebbe essere un altro ciclo di saccheggi o potrebbe essere il risveglio di una sovranità reale. La chiave è che l’Africa negozi in blocco, controlli le proprie risorse e rompa con la dipendenza. Che la cooperazione sostituisca il saccheggio. Che la dignità valga più del contratto. Il XXI secolo non sarà giusto se l’Africa continuerà a essere un bottino. Il continente più giovane del pianeta non è condannato a ripetere la schiavitù. È chiamato a scrivere il proprio destino. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dallo spagnolo di Stella Maris Dante. Revisione di Thomas Schmid. Mauricio Herrera Kahn