Oltre il pensiero unicoDON TABACCO, DONNA ZUCCHERA E LA CULTURA COME PROCESSO IN CONTINUO DIVENIRE. LE
ORIGINI DEL PENSIERO TRANSCULTURALE
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Antropologo ed etno musicologo Ferdinando Ortiz Fernández (La Havana,1881 –
1969), candidato al Premio Nobel della pace nel 1955, è stato fra i maggiori
innovatori del pensiero antropologico del novecento.
Nel dibattito attuale, in cui incombe la minaccia di un pensiero unico che
vorrebbe appiattire ogni dissenso e ogni canale di confronto culturale, ci
sembra importante e opportuno riproporre l‘opera di Ferdinando Ortiz
Contrappunto cubano del tabacco e lo zucchero, le origini del pensiero
transculturale (Borla 2025). In essa viene messo a fuoco il concetto di
transculturacion, ossia l’attraversamento di culture e la loro reciprocità con
la pratica del “toma y daca”, “prendi e dai”. L’obiettivo del saggio è di
esporre mediante una analisi – per contrappunto – la sua teoria sui fenomeni di
commistione e contatto di mondi differenti (creolo, castigliano, caraibico etc.)
che si influenzano vicendevolmente senza che uno si imponga sull’altro. Il
titolo Contrappunto– ponere punctum contra punctum – (segnare nota contro nota)è
coniato dal linguaggio musicale per indicare la presenza in una composizione o
in una sua parte di linee melodiche indipendenti. Come riferisce l‘antropologo
del suono Antonello Coliberti (2016), “il contrappunto si concentra sull’aspetto
melodico piuttosto che sull’effetto armonico; la chiave è tutta
nell’indipendenza delle diverse voci”.
Da questa contrapposizione di note può nascere una polifonia come risultato di
elementi diversi e di differente valore. Il contrappunto salta il discorso
gerarchico delle note. Ortiz parte da questo linguaggio musicale per introdurre
la storia di due prodotti caratteristici dell’isola, tabacco e zucchero,
divenuti due “personaggi litigiosi” pur se dialoganti. Nel presentarli ricorre
alla metafora musicale per descriverne differenze e contrasti dei rispettivi
mondi di appartenenza, e come per le note, senza che l‘una prevalga sull’altra.
Dal loro incontro si ricevono e si lasciano codici, senza paura di perdere i
propri. Come è noto zucchero e tabacco nella realtà sono due prodotti differenti
a livello economico e a livello sociale, ognuno con sue proprietà specifiche.
Nella suggestiva raffigurazione dell’autore prendono le sembianze di due
personaggi particolari della narrazione cubana: Don tabacco e Donna Zucchera
(azúcar in spagnolo è anche femminile). Il tabacco è amaro e possiede un aroma,
lo zucchero è dolce e non ha odore, il tabacco è audacia, lo zucchero è
prudenza. Il tabacco è maschile, lo zucchero è femminile e innumerevoli altre
pittoresche rappresentazioni. L’etnomusicologo Ferdinando Ortiz attinge a queste
figure fantasiose, radicate nelle tradizioni dell’isola, per evidenziarne
contraddizioni e allo stesso tempo varietà e ricchezza. Non c’è spazio per
culture superiori. Né “subalterne”, come direbbe Antonio Gramsci. Le
osservazioni metodologiche di Ortiz nascono “sul campo” (secondo gli
insegnamenti del suo maestro Malinowski) in una Cuba meticcia degli anni
Quaranta, aperta alle correnti di tanti mondi che si intercettavano
influenzandosi e contaminandosi reciprocamente. Nel particolare spaccato della
società cubana di quel periodo si erano infatti formate le condizioni per una
mescolamento di culture, secondo un processo creativo e dinamico frutto delle
interazioni fra le popolazioni che pullulavano nell’isola, ognuna con i suoi
riti, costumi, lingua. Cuba rappresentava come dice Valerio Riva nella sua nota
storica al testo (2025, cit.) la “prefigurazione della futura società
universale, di un mondo nuovo dove tutte le “razze” si sarebbero mescolate.
Riconoscere a ognuna di esse dignità e singolarità e considerarla sullo stesso
piano delle altre rappresentava un duro attacco a ogni forma di etnocentrismo,
presente ai suoi tempi e ancora duro morire ai giorni d’oggi, se pur “sotto
mentite spoglie”.
Il suo metodo risultò rivoluzionario per quel periodo e si diffuse in molti
paesi suscitando l’interesse fra gli antropologi: latransculturazione superava
concetti come “acculturazione o “differenziazione” fino ad allora adottati nel
dibattito scientifico. Attualmente vorremmo sottolineare soprattutto i suoi
aspetti dinamici e il potere trasformativo. Infatti con la preposizione trans si
vuole mettere in risalto la processualità dell’incontro durante il quale si
lasciano e si prendono elementi culturali con un arricchimento reciproco. Nel
passaggio attraverso altri modi e mondi di conoscenza si possono modificare
atteggiamenti mentali chiusi e rigidi della ricerca, della cura, ed in ogni
contesto in cui sono necessari apertura e flessibilità. In tale transito si
assiste a “contaminazioni” e adattamenti che ogni tipo di siffatti incontri
sollecita e provoca. L’opera dell’antropologo cubano è importante anche perché
riconosce alla cultura il suo carattere processuale, di divenire più che di
divenuto, lontano dalle sirene di esotismi “etno” molto di moda. Il pensiero
transculturale offre una chiave di lettura per un mondo plurale, in continuo
movimento, dove categorie “etichettanti” non sono sufficienti all’operatore
transculturale del terzo millennio di fronte a fenomeni complessi con cui si
trova d interagire. Un diverso approccio nella pratica quotidiana con migranti e
i rifugiati lo aiuterebbe a considerarli non solo nei loro aspetti sociali ed
economici (oltre che umani) ma anche come rappresentanti di altri mondi con cui
rapportarsi “dando e ricevendo” senza rischi per la propria integrità. Il mondo
è in continua evoluzione e insieme a esso si trasformano le culture e il modo
con cui impattano sulla vita degli individui.
Ortiz introdusse una visione innovativa basata su un concetto rivoluzionario
rispetto ai metodi tradizionali legati (non solo allora) a una visione
culturocentrica, secondo cui ogni cultura si ritiene centrale rispetto alle
altre, ”periferiche”. Egli offre una prospettiva transculturale aperta a varie
derive: clinica, storica, antropologica, psicologica, di ricerca. Il suo testo
fa anche riflettere sull’importanza di costruire un pensiero mobile atto a
intercettare più che a difendersi, pronto a un nomadismo di pensiero/azione per
varcare le cosiddette “soglie di competenza” che spesso bloccano i processi
evolutivi in molti ambiti. Nella società che si va configurando non è
sufficiente attenersi a un mandato “neutro”, “istituzionale”, trascurando
movimenti interni-esterni che ogni processo culturale richiede e produce. A
latere bisogna aggiungere che per molto tempo nell’analizzare la sua opera si è
soffermati più sugli aspetti positivisti (nel suo primo periodo era stato molto
influenzato dal pensiero del criminologo Cesare Lombroso) che sugli gli aspetti
innovativi del suo pensiero. Don Ferdinando – come lo chiamava Malinowski – non
era solo un intellettuale immerso nei libri, avulso dalla società, ma un uomo
impegnato nella attività politica di Cuba del tempo, tanto da militare come
deputato nella sinistra liberale, e combattere contro ogni attacco alla
democrazia nella sua isola, a fianco degli studenti nelle loro manifestazioni
antifasciste. In seguito soffocato dal clima autoritario e repressivo, creato
dal dittatore Machado, il Mussolini dei Caraibi, lasciò per protesta l’incarico
di parlamentare e andò in esilio a New York, “traslocando con libri, idoli e
tamburi”. Pur ricordando le sue contraddizioni (positivista e rivoluzionario) lo
consideriamo un punto di riferimento fondamentale per lo psichiatra, psicologo e
psicoterapeuta transculturale che attraversa modi e mondi della sofferenza,
senza separarli dai loro contesti culturali e sociali e conseguentemente riesce
a mettersi in discussione, sospendendo categorie non sintoniche con le realtà
che va a conoscere. Come direbbe Foucault (2023): “Il pensare è il fuori
dall’accademia, come il conoscere, ben oltre il comprendere, è prendere
posizione”.
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