Tag - rubriche

Rewind Roma, luglio 2025 # Brucia la città
(disegno di peppe cerillo) Il 4 luglio alle otto di mattina un enorme boato scuote la città: è l’esplosione di un distributore Gpl a Torpignattara – tra la piscina di Villa de Sanctis e la scuola materna Romolo Balzani, a ridosso del quartiere di case cooperative Casilino 23 e a due passi dalla via Casilina. Prima dell’esplosione avevano preso fuoco anche un deposito di bombole di ossigeno della Croce Rossa e uno sfasciacarrozze, creando una nube tossica di diossina; miracolosamente, la zona non si era ancora riempita dei bambini che frequentano i campi estivi. Questa parte di Roma fin dagli anni Sessanta doveva essere una zona per la logistica. I proprietari dei terreni l’hanno però riempita di palazzine residenziali e così oggi le industrie pericolose e inquinanti convivono con scuole, asili nido, centri sportivi, zone archeologiche e quartieri densissimi (si veda qui). La sera divampa un altro incendio nel parco del Forte Prenestino. Il 6 a Parioli esercitazione antiterrorismo della polizia italiana intorno all’ambasciata israeliana (non nei confronti di militari e civili israeliani attivi nel terrorismo contro la popolazione di Gaza). Scendono le temperature: l’8 luglio fa quasi freddo. Il Tar boccia le opposizioni della fu giunta Raggi a un grande progetto di settemila metri quadri residenziali intorno alla Vela di Tor Vergata, che quindi inizierà a breve, sempre giustificato dell’idea che costruire nuove case fa sempre bene, anche in una città con centomila appartamenti vuoti. Il 9 alla manifestazione Sports beats borders dell’Esquilino partecipa una squadra di bambini palestinesi arrivati dal campo profughi di Chatila. Muore l’ispettore ustionato dall’esplosione del deposito di Gpl del 4 luglio: fortunatamente è l’unica vittima mortale, ma ci sono decine di ustionati gravi, centinaia di feriti, e un migliaio di bambini senza scuola. Il 10 al centro congressi La Nuvola (Eur) si celebra una Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, che blocca il traffico del centro: tra i partecipanti anche l’attore Zelensky. Nel frattempo, a Torbellamonaca prende fuoco un palazzo: settantadue nuclei familiari vengono evacuati. L’11 un aereo della polizia porta a Roma dalla Grecia un uomo statunitense, accusato del duplice femminicidio della moglie e della figlia trovate morte a inizio giugno a Villa Pamphili. All’Idroscalo di Ostia inizia il festival del cinema Alice nella Città: il maxischermo è montato proprio dove c’erano le case rase al suolo da Alemanno nel 2010. Un motociclista muore in incidente vicino Ostia Antica. Domenica 13 un forte nubifragio spazza Roma con vento e pioggia: l’acqua entra anche nell’ospedale Grassi di Ostia. Lunedì 14 arrivano a Roma i familiari di Satnam Singh, il bracciante sikh di Latina mutilato sul lavoro e lasciato morire dissanguato dal suo padrone. Una consigliera Pd di Garbatella dichiara il passaggio a Fratelli d’Italia. Il Tribunale di Roma sospende quattro poliziotti implicati nel traffico di droga di San Lorenzo: anche loro erano strumenti della gentrificazione del quartiere, che estrae valore dal territorio rendendo impossibile la vita a chi lo abita. Muore un operaio kurdo investito da un’auto a Centocelle: è la settantottesima vittima delle strade a Roma dall’inizio dell’anno. Il 15 il Comune stanzia due milioni per riaprire la scuola Romolo Balzani, devastata dall’esplosione del deposito di Gpl. Il 17 la polizia irrompe in casa di Chef Rubio e sequestra computer e Usb, trattenendolo nel commissariato di Frascati fino a sera. Intanto, retata razzista a piazza Vittorio: la Celere circonda un gruppo di migranti africani, chiede documenti a tutti, li carica sul furgone e se li porta via. Il sindaco di Roma è agli Stati generali della bellezza, nell’incantevole location di Cava de’ Tirreni, impegnato a dichiarare che “le periferie di Roma fanno schifo”. Venerdì 18 il Tar respinge il ricorso contro l’abbattimento del bosco di Pietralata per la costruzione dello stadio privato dell’imprenditore Friedkin, mentre un picchetto antisfratto evita l’espulsione di un’anziana da un palazzo di proprietà dell’Inps occupato da decenni. La guardia di finanza mette i sigilli allo stabilimento balneare per vip V-Lounge di Ostia, che disponeva di ottocento lettini. Il 19 un gruppo di attivisti di Ostia manifesta sulla spiaggia, rivendicando il “mare libero” dalla privatizzazione rappresentata dalle concessioni balneari. A Ostia tutta la parte centrale della spiaggia è privatizzata, e le spiagge libere sono solo a molti chilometri dal centro, difficili da raggiungere e mal collegate con i mezzi pubblici. Il 20 un passante trova il cadavere di una donna al Mandrione, vicino ai binari del treno: era scomparsa cinque giorni prima dalla zona di Ponte Mammolo. Il 21 un gruppo di lavoratrici dello spettacolo occupa simbolicamente il Circolo degli Artisti, chiuso dal commissario Tronca nel 2015 e mai più riaperto. Chiude per una settimana la linea C della metropolitana, per i test delle nuove stazioni di Colosseo e Porta Metronia. Il 22 alla Camera dei deputati si inaugura un congresso sul Nuovo ruolo geopolitico di Israele: Maccabi World Forum, Istituto Milton Friedman, Unione delle Associazioni Italia-Israele (UAII), Israel’s Defend & Security Forum (ISDF) e Alleanza per Israele premiano Matteo Salvini davanti a militari e deputati italiani, soprattutto della Lega, con importanti rappresentanti dello stato genocida. Presidio intanto in piazza Capranica contro l’assedio della fame a Gaza. Il 23 il Comune annuncia l’acquisto del palazzo occupato in via Bibulo, a Cinecittà-Don Bosco, che era stato già requisito anni fa dall’allora presidente del municipio Sandro Medici: i proprietari erano un monsignore, un camorrista e una contessa che lo tenevano vuoto. Il 24 un uomo incendia due macchine della polizia davanti al commissariato di via Farini; un altro spara contro il buttafuori di una discoteca all’Eur, ferendolo alla testa; un incendio distrugge il chioschetto di piazza Vittorio. Intanto il Comune approva la qualifica di “interesse pubblico” per uno studentato privato da seicento euro al mese su terreni pubblici dei mercati generali di Ostiense: la corporazione immobiliare Hines lo avrà in concessione per sessant’anni senza neanche un limite ai canoni d’affitto. La “città dei giovani” immaginata da Veltroni è un regalo ai privati ancora più grande dei vecchi piani di zona. Il 25 presidio solidale davanti al Cpr di Ponte Galeria, dove continuano a essere rinchiuse persone che non hanno commesso alcun crimine: l’anno scorso un ragazzo di vent’anni rinchiuso lì dentro si era suicidato. Il 28 luglio inizia il temuto giubileo dei giovani, il grande evento estivo per il quale si attendono decine di migliaia di giovani pellegrini da tutto il mondo: all’evento analogo del Duemila, oltre due milioni di ragazzi e ragazze cattoliche avevano inondato la zona di Tor Vergata che il Comune aveva costruito con novantuno miliardi di vecchie lire. L’area è la stessa oggi. Nella stessa giornata spari a Cinecittà, e anche ad Acilia, dove una ragazza egiziana viene colpita per errore ad una gamba. Il 29 otto attiviste e attivisti del movimento per il diritto all’abitare subiscono perquisizioni domiciliari e il sequestro dei dispositivi elettronici da parte di carabinieri e digos: ennesima operazione di criminalizzazione legittimata con un’inchiesta sui “contributi da 3/5 euro” (cit.) per le spese di manutenzione delle occupazioni abitative in cui vivono. Il 30 un incendio distrugge uno stabilimento balneare a Maccarese. Il 31 inizia la demolizione dell’ex Fiera di Roma: il progetto prevede di trasformarla in una Città della gioia: né più né meno che trentacinquemila metri quadri di nuove palazzine di proprietà del Fondo Orchidea di Banca Finint, e intorno la zona verde obbligatoria per gli standard urbanistici. (stefano portelli)
La parola della settimana. Accattone
(disegno di ottoeffe) Voglio mori’ co tutto l’oro addosso, come i faraoni (vittorio cataldi detto “accattone”, in accattone di pier paolo pasolini) (credits in nota1) Sul termine “accattone”, la maggior parte dei dizionari si esprime in maniera chiara:  è tale chi va elemosinando, spesso senza effettivo bisogno, più per vizio che per necessità. Si parla, negli atti, di “eversive degenerazioni in cui opera la Commissione per il paesaggio” con una “strumentalizzazione che ne fa la parte politica, principalmente l’assessore Tancredi, in sintonia con il sindaco Sala e il direttore generale Malangone (servendosi del faccendiere Marinoni), per portare avanti relazioni private con gruppi della finanza immobiliare attivi a Milano e la soddisfazione dei loro interessi”. Questo “nella cornice di un’azione amministrativa viziata da una corruzione circolare, edulcorata all’esterno”. […] Il sistema “deviato” si sarebbe basato su “varianti” ai piani regolatori, camuffate, secondo i pm, con l’interesse pubblico con richiami “all’edilizia residenziale sociale”, per aumentare volumetrie e altezze a vantaggio delle imprese. […] Tancredi sarebbe stato la “copertura” politica di Marinoni, nel “patto corruttivo”, per realizzare questo “Piano di governo del territorio (Pgt) ombra”. E quest’ultimo avrebbe incassato, coinvolgendo nel meccanismo società immobiliari e studi, “alte parcelle” dalla J+S di Pella. Scandurra sarebbe arrivato a prendere anche fino a 2,5 milioni di euro. (urbanistica di milano sotto accusa: indagato anche sala, chiesti sei arresti, ansa.it) Un po’ più a sud della capitale morale, intanto, Matteo Ricci, europarlamentare del Partito democratico ed ex sindaco di Pesaro, sembra prossimo a ritirare la sua candidatura alla presidenza della regione Marche. È indagato per corruzione per atti contrari a doveri d’ufficio. Secondo gli inquirenti avrebbe affidato indebitamente opere di manutenzione dal 2019 al 2024 per finanziare “interventi spot”. Tra questi l’installazione di un casco gigante di Valentino Rossi in piazza D’Annunzio, murales in onore delle vittime del Covid, o un altro dedicato a Liliana Segre, contabilizzato alla voce “manutenzione idrica”. Debiti al comune di Avellino, commissario chiede il cinque per mille ai cittadini: “Altrimenti servizi a rischio”. (repubblica.it, 23 luglio) Mazzetta da seimila euro, arrestato il sindaco di Sorrento. Massimo Coppola è stato sorpreso mentre intascava una sospetta tangente da seimila euro durante una cena con un imprenditore. (tg3, 21 maggio) Un imprenditore della provincia di Belluno è finito al centro di un’indagine […] per presunta malversazione ai danni dello Stato. […] L’inchiesta è partita da un’analisi sulle erogazioni pubbliche destinate a sostenere l’innovazione nel settore delle energie rinnovabili. I militari […] hanno ricostruito il percorso di un finanziamento da un milione di euro, concesso da Banca Progetto S.p.A. e garantito da Mediocredito Centrale – Banca del Mezzogiorno S.p.A., individuando un’anomalia significativa: circa 250 mila euro sarebbero stati distratti e utilizzati per fini personali, del tutto estranei agli obiettivi del progetto. Il finanziamento era stato concesso per realizzare un impianto di pirogassificazione – un sistema innovativo per produrre energia rinnovabile a partire da scarti agricoli e forestali. (lapiazzaweb.it, 16 luglio) Antonio Mancini è un noto personaggio della malavita romana. Ex membro della Banda della Magliana, poi collaboratore di giustizia dopo vent’anni di carcere, oggi è accompagnatore per persone con disabilità a Jesi. Accattone (era questo il suo soprannome) ha ricominciato da qualche tempo a parlare – l’ha fatto di recente in una puntata dell’insopportabile podcast condotto da Fedez e Mister Marra – dei suoi trascorsi criminali e, ovviamente, della scomparsa di Emanuela Orlandi.⁠ Ben pratico dello sport preferito da decine di altri accattoni, ovvero quello di millantare la conoscenza di elementi sensazionali sulla sparizione della Orlandi, alla fine Mancini non dice niente di concreto, né tantomeno, naturalmente, fa nulla per agevolare l’avanzamento sulla ricerca della verità; gli riesce benissimo invece riaprire ferite mai sanate a una famiglia distrutta da un intrigo più grande di lei, che ha coinvolto Stato, Vaticano, servizi segreti e chissà chi altri (approfondimento buono per neofiti della materia è Vatican Girl, documentario del 2022 che pure non sfugge a tentazioni voyer-complottistiche, ma ha almeno il merito di fare una onesta ricognizione di tutto quanto successo in questi anni). Dei tanti “misteri italiani” (svariate seconde serate della mia adolescenza sono state segnate dalla voce di Carlo Lucarelli) era grande appassionato un tizio che avevo conosciuto all’università nei miei primi anni all’Orientale, e che ho poi perso di vista da quando è andato a lavorare in una fabbrica, mi pare, in Veneto. Aveva una bizzarra teoria, vagamente latouchiana, sull’accumulazione dei beni, che francamente ho dimenticato. Ricordo bene invece che disprezzava gli scrocconi e propagandava la retorica secondo cui se non vuoi pagare due euro per andare a sentire un concerto in un centro sociale, ma ne hai in tasca dieci di fumo e cinque di sigarette, “puoi anche andartene a bere una Best Bräu da sessantasei a piazza San Domenico”. È il caso del minor riconoscimento assegnato dagli intervistati al danaro. Innanzitutto, il danaro è considerato “molto importante” dal 33,3 per cento degli operai e dal 17 per cento degli impiegati. Questi ultimi salgono al 61,4 (48,6 per cento gli operai) nella considerazione di un’importanza “media”, mentre rispettivamente il 16,4 per cento di operai e il 21,6 per cento di impiegati attribuisce “poca importanza” al danaro. […] Per gli operai la disponibilità è minore rispetto agli impiegati e quindi maggiormente ne sottolineano la rilevanza. Si consideri a riguardo che l’88,3 per cento del campione non supera la retribuzione mensile di un milione e mezzo e che la maggioranza (70 per cento circa) degli intervistati è costituita da operai. […] Resta comunque il fatto che la bassa posizionalità assunta dal danaro nella gerarchia dei valori espressi dal campione spinge ad affermare che il valore del danaro è più associato alla sua funzione estrinseca (il valore d’uso) che al suo carattere specificamente teleologico. (m. conte, g. di gennaro, d. pizzuti, l’acciaio dei caschi gialli. lavoro, conflitto, modelli culturali: il caso italsider di bagnoli) a cura di riccardo rosa  ___________________________ ¹ da: Sinite Parvulos, Nanni Loy; in: Signore e signori, buonanotte (1976) Nota a margine: con questa puntata la rubrica va in ferie, ci rileggiamo a fine agosto.
La parola della settimana. Ricordo
(disegno di ottoeffe) Remember when you were young / Ricorda quando eri giovane how the hero was never hung, / come l’eroe non finiva mai impiccato, always got away. / sempre riusciva a scappare. (john lennon, remember) Se n’è andato all’alba di venerdì, a ottantotto anni, Goffredo Fofi, “il Vecchio”, come lo chiamavano affettuosamente i miei amici più grandi, con alcuni dei quali pure negli anni se ne era detto di tutti i colori. Lucido, corrosivo, impietoso narratore e analista del mondo che ci circonda, è stato instancabile agitatore culturale e riferimento per quei pochi scrittori, autori cinematografici e teatrali, giornalisti e tutto il resto, che ancora possono più o meno dirsi degni di appartenere a queste categorie. Tutte le persone che valeva la pena conoscere, il Vecchio le conosceva e le metteva in contatto, e molte tra queste (e anche non tra queste) in questi giorni lo hanno celebrato sui giornali e sui social network. Parecchi ricordi si concludevano con aneddoti autoreferenziali del tipo “apprezzò molto il mio lavoro su…” o “avevamo spesso parlato di”. Io invece ricordo che nel 2020, dopo una presentazione di Baby Gang a cui partecipò, e a sua domanda sui miei progetti futuri, gli parlai con entusiasmo di un romanzo sulla città postindustriale a cui stavo lavorando, romanzo che forse anche grazie a lui non scriverò mai. Mi ascoltò con attenzione, mi diede un buffetto sul viso e lapidario mi disse: «Sarà sicuramente una cacata…» (qualche anno dopo, durante un pranzo con altre persone, all’improvviso mi guardò, e stupendomi perché si ricordava di quella conversazione mi disse, provocatorio: «Allora, l’hai scritto questo grande romanzo?»). Ma il bambino nel cortile si è fermato, si è stancato di seguire aquiloni. Si è seduto tra i ricordi vicini, i rumori lontani, guarda il muro e si guarda le mani. (fabrizio de andrè, le storie di ieri) In questi giorni si è molto parlato di alcuni studenti che, una volta raggiunto il punteggio minimo per superare l’esame di maturità, si sono rifiutati di sostenere il colloquio orale avendo già ufficialmente ottenuto la promozione grazie alla somma tra i crediti formativi ottenuti durante i cinque anni e i “punti” accumulati con le prove scritte. Gli studenti coinvolti hanno spiegato che la scelta è stata presa per protestare “contro i meccanismi di valutazione scolastici, l’eccessiva competitività, la mancanza di empatia del corpo docente” (il virgolettato è di Maddalena Bianchi, diciannove anni, di Belluno). Gli adulti ovviamente si sono rizelati e in molti (soprattutto docenti e dirigenti scolastici) hanno iniziato ad attaccare pubblicamente questi studenti, come se una scelta del genere non fosse coerente reazione al modello di formazione che loro stessi hanno creato, fatto di punteggi, crediti formativi, valutazioni aritmetiche per ogni scorreggia fatta dagli studenti e dalle studentesse. Raggiungo il punteggio? Sono “dentro”, arrivederci e grazie. Dio cane, dio cane, cominciava a fare quello, che era un torinese. Si chiamano barott, sono quelli della cintura torinese, dei contadini sono. Sono tuttora dei contadini, che c’hanno la terra e la moglie la lavora. Sono i pendolari, gente durissima, ottusi, senza un po’ di fantasia, pericolosi. Mica fascisti, ottusi proprio. PCI erano, pane e lavoro. […] Stavano qua a lavorare per anni, per tre anni, per dieci anni. Che uno invecchia subito e muore presto. Per quei quattro soldi che non ti bastano mai è solo un ottuso, un servo che può farlo. Restare per anni in questa prigione di merda e fare un lavoro che annienta la vita. Comunque questo qua ha il sospetto che voglio fargli il culo e allora abbandona il posto e ferma la linea. Arrivano i capi. Quando si ferma una linea si accende il rosso dove è stata fermata la linea e arrivano tutti i capi lí. Che succede? C’è questo che non vuole lavorare. Ma stai dicendo un’infamia, perché io sto lavorando, non ci riesco perché sto imparando. Mica sono intelligente come te, tu ci stai da dieci anni qua dentro è chiaro che uno come te impara tutto subito. […] Allora il capo mi dice: Senta a me sembra che lei vuole fare un po’ il lavativo. Invece deve mettersi in mente che alla Fiat si deve lavorare, non si deve fare il lavativo. Se vuole fare il lavativo vada a via Roma lí dove ci stanno gli amici suoi. Gli dico: Guardi io non lo so se a via Roma c’ho degli amici. Comunque io vengo qua perché c’ho bisogno dei soldi. Sto lavorando, non ho imparato ancora e quando imparo lavoro. Mi volete dare sei giorni di prova o no? Ma come sei giorni di prova, dice il capo, lei già sta da un mese qua. Sí, da un mese, ma stavo a quel posto là, non a questo qua. Adesso devo avere altri sei giorni di prova e lui il fuorilinea per sei giorni deve stare qua con me. Se no non faccio un cazzo. (nanni balestrini, vogliamo tutto) Al ministro Valditara, che annuncia una riforma perché questa contestazione non possa più ripetersi, verrebbe da dire che chi semina Invalsi raccoglie boicottaggi, e che siamo noi a non meritarci ragazzi che pensano con la loro testa e che si sottraggono al dogma della produttività in nome del minimo risultato utile. Personalmente, delle mie scuole superiori ho un ricordo pessimo: un edificio che assomigliava a un carcere, professori ignoranti come e più degli studenti (salvando la buona pace di un paio tra loro), competitività che fuoriusciva da ogni senga delle porte di legno scricchiolanti, incapacità dell’istituzione di fornire risposte adeguate a una platea molto eterogenea. Alla maturità presi 94/100 e se non mi venne in mente di non presentarmi all’orale è solo perché per prepararlo mi impegnai veramente poco, concentrandomi sul mio futuro. Chillu criaturo all’erta a destra, ‘o taglio a spazzolina: Vittorio Alfieri, terza C, foto ingiallita, tute d’a Lotto tutt’e juorne, niente Tod’s e Paciotti, Air Force 180 nera e blu cobalto, ‘o baffo bianco, ‘a scritta rossa ‘ncopp’o strappo identica e precisa ‘a scena ‘e Get rich or die trying, e io annanz’ ‘e vetrine ‘e Simon a Marano. ‘E 125 erano ‘a marce, sunnavo al massimo ‘a Leovinci sott’o motorino e ‘o gruppo Polini. “Chill’e Mani Pulite erano cchiù politici”, ma quanno maje nuje simm’ stati uniti… ‘E Stati Uniti e Porto Rico, è chello che vulesse ‘a Lega Nord: scennere ‘cca ‘a stagione, e sparagna’ ‘na cosa ‘e sorde. (patto mc ft. co’sang, da venti anni a mo’) (a cura di riccardo rosa)
La parola della settimana. Paternalismo
(disegno di ottoeffe) Giovedì il consiglio comunale di Napoli ha approvato una mozione che lo impegna alla rescissione di una serie di accordi con lo stato di Israele, nonché ad aprire una discussione con le università della città affinché anche i rapporti accademici tra gli atenei napoletani e quelli israeliani vengano interrotti. La mozione è stata approvata faticosamente dopo le pressioni della Rete Napoli per la Palestina, che aveva ottenuto la convocazione di un consiglio sul genocidio in corso, salvo poi scoprire che la seduta avrebbe avuto come oggetto una generica “crisi umanitaria a Gaza”. Ho trovato fastidioso il paternalismo con cui i giornali, ma anche le persone sui social, persino attivisti e militanti di vari gruppi, hanno commentato il discorso di G., una compagna del Centro culturale Handala Ali che ha fatto un ottimo intervento davanti al consiglio, simile alle dichiarazioni che si fanno in parlamento per spingere i membri dell’assemblea a un voto giusto. La cosa più rilevante è stata la capacità di G. di ri-bilanciare il rapporto tra la comunità cittadina – che aveva chiesto azioni concrete al Comune – e i suoi rappresentanti, a cui ha ricordato che se la città gli chiede di fare qualcosa, loro sono tenuti a (e pagati per) farlo. E invece è stato tutto un magnificare quanto questa ragazza fosse stata grintosa, decisa, chiara, “immensa”, “fantastica” e così via, tutti scioccati probabilmente dal fatto che G. sia giovane – ma nemmeno tanto: a cinque anni Mozart aveva già scritto il Minuetto e alla stessa età Torquato Tasso scriveva perfettamente in latino –, lucida, poco emozionata, e magari anche che parlasse bene l’italiano per quanto mezza palestinese (andrebbe spiegato che G. è palestinese ma anche napoletana, che fa già politica da un bel po’ di anni, è abituata a parlare in pubblico, a scrivere, e si fa un cu…ore così in giro per l’Italia per sostenere la Resistenza del suo popolo). Quando Macciocchi scrive il suo diario di campo, la rivolta delle nuove generazioni è in corso da mesi. Sulle bocche degli studenti sono rinate parole scomparse dal lessico del partito: rivoluzione, borghesia, proletariato. I giovani discutono della rivoluzione culturale cinese, di Che Guevara, del Vietnam, ma nel partito sono guardati con sospetto. […] I giovani rompono la burocratizzazione, le liturgie interne, i metodi antidemocratici. Se ne infischiano delle elezioni e della composizione delle liste. Per metterli in disparte si dice che sono immaturi, che devono fare esperienza. In federazione o nelle sezioni Macciocchi incontra ragazzi incuriositi da una donna che “parla come un uomo” e che rompe il vecchio schema della subordinazione femminile. Molte sezioni di periferia, annota Macciocchi, registrano in quei mesi una “secessione cinese”. Il partito si trincera dietro formule vuote – “la gioventù non è un fatto anagrafico”, “ci si trasforma restando uguali”, “rinnovamento nella continuità” –, slogan che rivelano solo una tenace resistenza al mutamento. (luca rossomando, le fragili alleanze) Alcuni tra quelli che posso considerare dei “maestri” mi hanno insegnato tempo fa, senza proclami ma facendomelo vedere giorno per giorno, che il modo migliore per non scivolare sulla buccia di banana del paternalismo è trattare alla pari il proprio interlocutore, indipendentemente dalla sua età, la sua condizione sociale, e tutto il resto. (credits in nota1) Quando ero alle medie, invece, avevo letto due o tre libri di Dickens. Mi erano piaciuti molto (mi piacciono tuttora) ma sentivo che c’era qualcosa che non andava e non riuscivo a capire. Anni dopo lessi un altro libro, di Orwell, che mi fece notare che il problema del paternalismo di Dickens nei confronti dei suoi personaggi poveri e sfruttati stava nel messaggio di fondo: tutti possono crescere e migliorare, anche (oppure solo?) da soli, comprendendo errori, modificando condotte, insomma dandosi da fare per uscire dalla propria condizione senza necessariamente sovvertire l’ordine delle cose. Ho discusso di Dickens in termini del suo “messaggio”, tenendo da parte le sue qualità letterarie. Ma ogni scrittore, soprattutto ogni romanziere, ha un “messaggio”, lo ammetta o no, e i più piccoli dettagli della sua opera ne sono influenzati. Tutta l’arte è propaganda. Né lo stesso Dickens né la maggior parte dei romanzieri vittoriani avrebbero pensato di negarlo. […] Ci viene detto che nella nostra epoca qualsiasi libro che abbia un genuino merito letterario avrà anche una tendenza più o meno “progressista”. Ciò ignora il fatto che nel corso della storia è stata infuriata una lotta tra progresso e reazione, e che i migliori libri di ogni epoca sono sempre stati scritti da diversi punti di vista, alcuni dei quali palesemente più falsi di altri. Nella misura in cui uno scrittore è un propagandista, il massimo che si può chiedere da lui è che creda sinceramente in ciò che dice, e che non sia qualcosa di incredibilmente sciocco. (george orwell, letteratura palestra di libertà) Il paternalismo di un uomo maturo che cerca di non farsi sedurre da una giovane di lui invaghita è un topos ricorrente della musica napoletana. Una bella canzone, seppur impregnata di questo paternalismo tendente a sminuire il sentimento (femminile), è Nun t’annammura’, cantata da Natale Galletta ed Emiliana Cantone: EC: Dimme pecché me ne cacce, pecché nun vuo’ chesti braccia… Nun me chiamma’ guagliuncella io so femmena già! […] NG: No, tu nun t’e ‘a ‘nnammura’ è colpa dell’età è solo n’attrazione che col tempo passerà…  L’ho riascoltata qualche giorno fa mentre ero al mare e pensavo a cosa scrivere in questa rubrica. L’algoritmo a quel punto si è attivato e mi ha proposto alcuni tra i pezzi cult della musica cittadina tra gli anni Novanta e Duemila. Mentre pensavo alla rubrica, però, pensavo anche, insieme ad alcuni colleghi dottorandi e dottorande, al testo di una dura mail che abbiamo poi scritto all’Orientale lamentando che per l’ennesima volta il bonifico con i soldi della borsa di ricerca che abbiamo vinto tre anni fa fosse in grosso ritardo. Pensavo, ascoltavo e mi appisolavo, e non so se sia stato sogno o realtà, mi sono trovato davanti il rettore Tottoli in costume da bagno, che mi dava una pacca sulla spalla canticchiando una vecchia canzone di Finizio che racconta di quanto all’amore faccia bene essere poveri (spoiler: non fa bene affatto). E chistu suonno t’o giuro m’ha fatto riflettere ca senza sorde l’ammore cchiù bello ‘o può vivere. Sulo ‘na sera te prego vestimmece a povere e senza machina a per’ te porto cu me: ‘na cammenata a Mergellina ‘nzieme a te senza nemmeno mille lire p’o cafè, dint’o pacchetto sulamente n’ati tre e me spartevo dint’ e vase ‘nzieme a te. (gigi finizio, ‘na cammenata a mergellina) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Vittorio De Sica e Pierino Bilancione in: I giocatori / L’oro di Napoli, di Vittorio De Sica (1954)
La parola della settimana. Ingenuo
(disegno di ottoeffe) Credi davvero che sia sincero quando ti parlo di me?  Credi davvero  che mi spoglio di ogni orgoglio davanti a te?  Non credi di essere un po’ ingenuo? Non credi di essere rimasto un po’ indietro?  Non ti fidare mai: non sono gli uomini a tradire ma i loro guai.  (vasco rossi, credi davvero) “Quando ero più giovane e ingenuo” è uno dei miei incipit preferiti. Forse perché non mi dispiace invecchiare, né considerarmi sempre più furbo e scaltro con il passare del tempo (già a quindici anni, a dire il vero, pensavo di essere più sveglio degli altri). Quando ero più giovane e ingenuo, dicevo, pensavo che non potessero esistere persone omosessuali di destra. Credevo che se uno fa parte di un gruppo sociale, di una minoranza etnica, di una qualsiasi collettività che viene discriminata per il suo modo di essere, per la propria religione, per il proprio orientamento sessuale, subendo una limitazione di diritti da parte delle classi dominanti, non può che avere come obiettivo il rovesciamento della società che lo discrimina, l’abbattimento del potere, la costruzione di un mondo più giusto. Invece può accadere che neri d’America votino Trump; che i percettori di reddito di cittadinanza votino una che gli dice che glielo toglierà; che operai si astengano dal votare a un referendum che vuole abolire una parte delle leggi che ne limitano i diritti; che il gay pride venga sponsorizzato dalle multinazionali che fondano la propria ricchezza sulla divisione del mondo tra oppressori e oppressi; che il presidente dell’Arcigay e di una sezione dell’Associazione Partigiani (al secolo Antonello Sannino) partecipi a iniziative governative in un paese che sta sterminando una popolazione da quasi due anni, e che ci venga pure a dire di come gli israeliani sono bravi perché rispettano i diritti civili, o che alcuni di loro non condividono questo genocidio. Le recenti notizie relative alla partecipazione di esponenti del movimento LGBTQ+ italiano a iniziative promosse dallo stato d’Israele hanno scosso Arcigay Nazionale, che si è detta “non al corrente”, sottolineando come coloro che sono rimasti bloccati a Tel Aviv e che hanno preso parte a tali iniziative “lo hanno fatto a titolo personale”. Nel suo comunicato ha parlato di azioni “in contrasto con la linea politica di Arcigay su quanto sta accadendo in Medio Oriente”. Anche dalla più grande organizzazione LGTBIAQ+ italiana, dunque, giunge la condanna alla “sistematica strategia del rainbow washing” messa in atto dalle autorità israeliane, ribadendo la “narrazione tossica” fatta negli anni dal governo israeliano. “Arcigay rigetta con fermezza l’idea che la battaglia per i diritti LGBTQIA+ possa essere strumentalizzata per legittimare politiche belliche, aggressioni unilaterali o campagne di regime change”, stigmatizzando il coinvolgimento di attivisti e organizzazioni internazionali che prestano il fianco a tali narrazioni. (emanuela longo, gay.it) Conosco il presidente di Arcigay Napoli da molti anni. Non che l’abbia mai frequentato, ma incrociato spesso nell’ambito della sua carriera politica, sì. Ero già meno ingenuo, quando l’ho conosciuto, da potermi accorgere che si tratta di un uomo di destra, molto interessato al potere e alla legittimazione politica del potere. È stato un fedelissimo, e amico, dell’ex sindaco de Magistris, che ha celebrato il matrimonio tra Sannino e il suo compagno condendo l’iniziativa con la sua solita retorica populista (per tirare la volata al primo cittadino alle elezioni del 2016, tra l’altro, Sannino organizzò a pochi giorni dal voto un imbarazzante pride a Bagnoli, insieme al peggio del terzo settore cittadino, strumentalizzando le lotte territoriali e tutto quello che poteva strumentalizzare, raggranellando alla fine appena trecento voti). Attualmente è in fase di cambio casacca: ha ottimi rapporti con i pezzi grossi napoletani dei Cinque Stelle (su tutti la parlamentare Gilda Sportiello e il futuro presidente della regione Roberto Fico), con il sindaco e la segretaria del Pd Elly Schlein, e ha partecipato alla piazza per il riarmo dell’Europa il 15 marzo a Roma. È notoriamente insensibile, o cieco, rispetto alla politica coloniale e fascista dello stato di Israele, di cui è un esplicito supporter. “Ma se questo viene dalle favelas, perché sostiene un fascista che odia i neri e se potesse li sterminerebbe?”, mi chiedevo fino a un po’ di tempo fa ogni qual volta un Neymar, un Robinho o un Ronaldinho pronunciava un endorsement per l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Qualcosa di simile sta succedendo oggi in Argentina, dove un brutto colpo me l’aveva già rifilato el Titan Martin Palermo, sostenitore e amico del presidente Milei. Il governo sta infatti lavorando a una mega riforma del calcio nazionale, che prevede tra le altre cose l’eliminazione di ciò che resta dell’istituto giuridico per cui le società di calcio, anche professioniste, possono avere forma di una cooperativa popolare fortemente improntata ad attività sociali. Sponsor di questa operazione è Juan Sebastian Veron (ex Lazio, Inter, Chelsea e Manchester United), presidente dell’Estudiantes di La Plata e personaggio assai chiacchierato in patria, legato a grandi gruppi economici canadesi e statunitensi. Dall’altra parte, a tutelare quel che fu della mia ingenuità e a opporsi alla riforma, c’è Juan Ramon Riquelme, bandiera del Boca Juniors persino più di Maradona, attuale presidente che ha di recente fronteggiato la polizia in curva, durante una partita di campionato, per fermare gli scontri tra gli agenti e i suoi tifosi. Lasciatemi pensare che tutto questo c’entri col fatto che Veron è figlio di miliardari (il padre era un calciatore) e Riquelme nasce invece come un poveraccio, in una famiglia da undici figli in un sobborgo di Buenos Aires. Non è territorio per ingenui il processo penale, come è apparso evidente questa settimana, durante le udienze che hanno portato alla sbarra tre uomini palestinesi a L’Aquila (l’intera vicenda è ben ricostruita sull’ultimo numero de Lo stato delle città): il primo reo di supportare logisticamente un gruppo di partigiani che combatte conto l’occupante israeliano in Cisgiordania; gli altri solo, di fatto, di essere suoi amici. Eppure la cosa più divertente è quando gli avvocati fanno i finti ingenui per far dire le cose ai testimoni e gli imputati, come hanno fatto nel caso specifico i due della difesa – Rossi Albertini e Formoso – smascherando la superficialità delle indagini della polizia italiana, che (a un occhio poco ingenuo) sembra aver lavorato su commissione di una potenza straniera – lo stato di Israele, che di Anan Yaesh aveva chiesto invano l’estradizione. Avv.: Ispettore lei sa se in Cisgiordania ci sono altri gruppi armati? Silenzio. Avv.: Sa se ci sono formazioni che operano sul territorio, che posizioni politiche hanno, che rapporti con la popolazione? Silenzio. Avv.: Sa i nomi dei comandanti, su quanti militanti possono contare, quali sono le gerarchie? Teste: Non posso rispondere. Avv.: Non può rispondere o non lo sa? Teste: Il mio compito su questo materiale era quello di… Avv.: Non le ho chiesto quale era il suo compito, mi risponde sì o no? Teste: No. The less we say about it the better / Meno ne parliamo meglio è. Make it up as we go along: / Ce lo inventeremo strada facendo:  feet on the ground, head in the sky / piedi per terra, testa in aria. It’s okay, I know nothing’s wrong, nothing / Tutto ok, so che non c’è niente di male… niente. [talkin heads, this must be the place (naive melody) / deve essere questo il posto (motivetto ingenuo)] a cura di riccardo rosa
La parola della settimana. Tocco
(disegno di ottoeffe) Un’amica mi ha raccontato che nel piccolo paese da cui proviene è ancora molto in voga, pure tra i giovani, “Padrone e sotto”, antico gioco praticato in molte regioni meridionali. Funziona più o meno così: la prima parte è una partita a scopa a squadre, o una tirata a tocco; chi ha il punto di primiera più alto, o chi ha vinto il tocco, viene nominato “padrone”, mentre chi ha il secondo è il “sotto”; il sotto e il padrone decidono di volta in volta il giocatore che potrà bere dalla brocca o dalle bottiglie comuni, cercando di lasciare fuori qualcuno di non gradito. A volte, però, facendo finta di volergli offrire da bere a oltranza, i due cercano di mettere in mezzo uno dei partecipanti, concentrando su di lui le bevute per farlo ubriacare e denigrarlo. Non è detto che le alleanze portino al risultato prefissato, e in quel caso tanto vino sarà andato sprecato. Durante la prima presentazione di un libro che ho scritto molto tempo fa (La sfida. Storia del re della sceneggiata), alla Sala Assoli del Teatro Nuovo di Napoli, il maestro Pino Mauro, accompagnato da Franco Ricciardi, Carmine Paternoster e Marco Giusti, si mise a recitare Questione ‘e tuocco, di E.A. Mario, che parla di una vendetta all’arma bianca consumata durante una giocata a Padrone e sotto. Proprio accussì, tre anne carcerato pe ‘na quistione ‘e tuocco e mo’ so’ asciuto, maje s’è appurato ‘o fatto comm’è juto e ‘a chesta vocca maje se po’ appura’. Però nun fuje p’o vino, fuje pe’ ‘na parola ascette ‘mmiezo ‘o nomme ‘e ‘na figliola ca nun s’aveva proprio annumena’… – Meh, jammo’: a chi adda essere? Adda essere a vuje, ‘gnorsì cumpa’! […] Sbagliaje, curtellaje ‘nnucentemente a chi nun era ‘nfame comme a te, embè stasera ‘o vendico: chesta è pe’ isso, e chesta ‘cca è pe’ me! (pino mauro, questione ‘e tuocco) Si è ormai diffusa in diverse città d’Italia la pratica del Graduation day, durante il quale i neolaureati si ritrovano in una sede universitaria o in una piazza della città per celebrare il raggiungimento dell’obiettivo lanciando in aria il tocco, cappello che simboleggia la fine e il successo di un percorso di studio. A Novara in piazza dei Martiri erano, lo scorso weekend, in più di mille; a Macerata, in piazza Vittorio Veneto, diverse centinaia, provenienti da più di trenta paesi. Gli studenti sono stati salutati dal rettore McCourt, primo straniero a capo di un ateneo italiano, che ha esaltato la capacità dell’università nel formare i giovani “a capire, pensare, affrontare le complessità del presente”. Da più di un anno il rettore (membro del cda di UniItalia, ente che si occupa della cooperazione accademica internazionale) viene duramente contestato per gli accordi dell’università con atenei israeliani, accordi che non ha finora voluto rescindere, a differenza di quanto fatto con le università russe dopo l’invasione dell’Ucraina. (da: al jazeera) Dieci anni fa ricevetti in regalo per il mio compleanno un libro che riprende i migliori discorsi tenuti da Kurt Vonnegut ai laureandi, al termine dell’anno accademico. Il rettore voleva eliminare ogni forma di pensiero negativo dal suo discorso di saluto, e quindi mi ha chiesto di farvi quest’annuncio: “Tutti quelli che hanno ancora in sospeso il pagamento del parcheggio sono pregati saldare il conto prima di uscire da questo edificio, altrimenti si ritroveranno una sorpresina sul libretto”. Quando ero ragazzino a Indianapolis c’era uno scrittore umoristico di nome Kin Hubbard. Ogni giorno scriveva una freddura di qualche riga per l’Indianapolis News. […] Spesso era arguto quanto Oscar Wilde. Disse, per esempio, che era meglio avere il proibizionismo che stare senza alcool. O che chiunque sostenga che il sapore della birra analcolica si avvicina a quello della birra è incapace di misurare le distanze. Do per scontato che le cose veramente importanti vi siano già state insegnate nel corso dei quattro anni qui e non abbiate gran bisogno di sentire granché dal sottoscritto. Buon per me. Ho solo una cosa da dire: questa è la fine, questa è sicuramente la fine dell’infanzia. “Ci dispiace tanto”, come dicevano durante la guerra del Vietnam. (kurt vonnegut, fredonia college, new york, 20 maggio 1978) Ancora, a proposito di tocco e di università: gira su Youtube un video in cui padre Mike Schmitz, cappellano all’Università del Minnesota Duluth (una via di mezzo tra l’Hugh Grant di Nottingh Hill e lo Sturby di Marco Marzocca), spiega il rapporto tra sorte e Spirito Santo quando c’è da prendere qualche decisione importante. Nello specifico si parla di Conclave ed elezione del Papa: Una mia amica una volta mi ha detto: “Pensavo che tutto il processo fosse molto più… santo. Una cosa quasi mistica. Tipo, entri nella Cappella Sistina, ti metti in preghiera e chiedi allo Spirito Santo di guidare le decisioni”. Invece ha scoperto che i cardinali parlano, discutono, dibattono. Possono persino cercare consensi, cercare voti. E questo le sembrava… meno spirituale, diciamo così. Eppure, se torniamo alla Bibbia, vediamo che lo Spirito Santo agisce attraverso persone comuni, attraverso mezzi, eventi e circostanze che non ci aspetteremmo. Per esempio, negli Atti degli Apostoli, Giuda è morto, e gli apostoli si riuniscono per decidere chi prenderà il suo posto. Come scelgono tra Giuseppe il Giusto e Mattia? Tirano a sorte! È come se lanciassero i dadi per decidere chi sarà il prossimo apostolo. Non sembra molto santo, ma è proprio quello che fecero. E questi sono uomini che camminarono con Gesù, che furono istruiti e formati da lui. Eppure, dicono: “Non lo sappiamo. Tiriamo a sorte”. (fr. mike schmitz, da uccr online, davvero lo spirito santo elegge il nuovo papa?) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/06/la-banda-tagliato.mp4 (credits in nota1) (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Totò e Peppino De Filippo in: La banda degli onesti, di Camillo Mastrocinque (1956)
La parola della settimana. Base
(disegno di ottoeffe) Ruinosa è senza la base del timor ogni clemenza. (torquato tasso, gerusalemme liberata; canto quinto) Sono giorni di attacchi missilistici incrociati tra Israele e Iran, attacchi che assai assomigliano a una guerra, e che un po’ di preoccupazione destano, considerando le potenze che ne sono protagoniste e il possibile innesco del sistema di alleanze internazionali. Israele ha presentato l’attacco come un’azione preventiva contro la minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano, sostenendo che l’Iran ha al momento troppo uranio arricchito, utilizzabile per quindici potenziali bombe (solo pochi mesi fa l’intelligence americana aveva escluso che l’Iran stesse allestendo un arsenale militare nucleare). L’attacco israeliano è partito da Teheran, e in particolare da una base segreta di droni costruita dal Mossad vicino la capitale. L’intelligence israeliana avrebbe sfruttato una rete logistica interna al paese per far entrare armi, veicoli e sistemi di comando. E già gli altri, insieme al glorioso Odisseo, stavano nella piazza di Troia, nascosti dentro il cavallo: gli stessi Troiani lo avevano tirato fin sull’acropoli. Così quello era lì: ed essi confusamente a lungo parlavano, seduti all’intorno: tre pareri piacevano loro, o infilzare il cavo legno con bronzo spietato, o gettarlo giù dalle rocce, trascinato fino a un dirupo, o lasciare che fosse un gran dono propiziatorio per gli dei. E proprio così poi doveva andare: infatti, era destino che essi perissero, appena la città avesse accolto il grande cavallo di legno, dove sedevano tutti i più forti degli Argivi, portando strage e rovina ai Troiani. E cantava come distrussero la città i figli degli Achei, calati giù dal cavallo, dopo aver lasciato la concava insidia. (omero, odissea VIII; vv. 485-522) Nelle ultime ore il governo iraniano ha annunciato che colpirà anche le basi degli alleati di Israele, facendo riferimento neppure troppo velatamente agli Stati Uniti. Proprio alcune mosse dell’imprevedibile Trump sono state, in realtà, secondo molti analisti, una delle cause indirette dell’accelerazione israeliana nell’avvio del conflitto: il criminale di guerra Netanyahu sarebbe stato parecchio indispettito dalla riapertura dei negoziati tra gli Usa e l’Iran sul nucleare, dalla tregua americana con i principali gruppi armati yemeniti e dall’apertura di un canale diplomatico e soprattutto commerciale (ovviamente si parla di armi…) con l’Arabia Saudita. Qualche giorno fa hanno dato in televisione Rain Man, film a dir poco sopravvalutato che si lascia guardare per la bellezza di Valeria Golino e per un paio di spunti indovinati. Il migliore, ma solo in lingua originale, è la ripresa di una vecchia gag di Abbott e Costello (in italiano Gianni e Pinotto), in cui i due discutono dei nomi dei giocatori di una squadra di baseball. Costello chiede al suo partner chi è il giocatore in prima base, e Abbott gli risponde che si chiama Who (che in inglese significa “chi”). “Who’s on first!”, continua a ripetergli, generando confusione nell’altro, il quale pensa che Abbott stia rispondendo alla sua domanda sulla posizione del giocatore (mi rendo conto che a spiegarla così non fa ridere, per cui meglio godersela in video e zitti): In chimica inorganica, si dicono “basi” quelle sostanze che in soluzione acquosa si scindono dando ioni idrossido OH-; oppure, parlando di sistemi acido-base, le sostanze in grado di acquistare uno o più protoni da un’altra sostanza (acido): hanno l’effetto di far divenire rossa una soluzione incolore di fenolftaleina, e azzurra una soluzione rossa di tornasole. In chimica organica, invece, le “basi” sono i derivati contenenti azoto, ottenuti sostituendo con radicali organici gli atomi d’idrogeno dell’ammoniaca o dell’idrossido d’ammonio. In riferimento agli stupefacenti, il termine indica la forma non-salificata di una sostanza che può essere vaporizzata o fumata (una forma che può avere un’assimilazione più rapida rispetto alla sua forma salificata, più comunemente usata per la somministrazione orale o endovenosa). Fra’, nun sì ‘e ccà, nun saje che ‘e a fa cu l’ammoniaca: scarfa a nuvanta grad’ int’a cucina, ‘e frate mieje so’ chef, io arap’ ‘e ristorant’. (luchè, ‘e cumpagne mie) In napoletano, “base” è anche una delle tante parole usate per indicare “la piazza” (di spaccio). Molti anni fa ascoltai a teatro un pezzo di Lanzetta che parlava della solitudine del “palo”, quello che fa la vedetta alla base per avvisare dell’eventuale arrivo della polizia, uno degli ultimi gradini della scala socio-criminale. Non di rado, in effetti, si tratta di poveracci a malapena organici al Sistema, che tirano fuori non pochi soldi per un lavoro che non sporca le mani e che forse proprio per questo, pur nella sua importanza strategica, è tenuto in poca o nulla considerazione. E guardie stanno ‘nculo, ormai se so’ ncullate vacce a spiega’ che ‘e a fa’ magna’ ‘e criature, biberon, ciuccio, pannuline e ‘n ce a faje cchiù a senti’ “pipì e puppù!”. Perciò staje abbascio all’edificio e cirche e te fa’ ricco, e si ce daje ‘o dentifricio sicc’ chill’ s’o pippa pure. Ma diciteme vuje: quale persona nun vulesse nu burzone ‘e Loui-V chin’ ‘e fasul’ e parti’ a luglio? ‘E a fa’ sule duje biglietti! Fitta ‘na vettura e vire comme te divierte, invece ‘e a bere latte Berna scaduto, si addeventato sgarrupo, t’adatti o fernisc’ int’a ‘na traversa vattutto cu tre ‘nfamune ca colpiscen’ a turno ‘a cavia d’a caccia notturna. Craccomani acrobati arrobbano ‘ncopp’ e balcune, perdono ‘o malloppo pe’ fujì d’e robocòp, Range Evoque, roba over’ io e Rocco! (nto ft. rocco hunt, quante cose) a cura di riccardo rosa
La parola della settimana. Livore
(disegno di ottoeffe) Una cosa che mi hanno insegnato molto tempo fa è che quando si scrive, o si interviene in un consesso pubblico, bisogna saper far emergere la rabbia ma occultare il livore. Rabbia: Irritazione violenta, spesso incontrollata, provocata da gravi offese, contrarietà o delusioni; oppure sorda e contenuta, dovuta a sdegno o dispetto, senso d’impotenza o anche di invidia. Livore: Astio o rancore astioso. (da: google.com) Una decina d’anni fa i redattori di Monitor mi fecero riscrivere più volte un pezzo-invettiva contro il gruppo comico dei Jackal, perché tracimava, appunto, livore da ogni parola. I video dei Jackal ammiccano caricando all’estremo i personaggi del cosiddetto “popolino”, enfatizzandone a dismisura il dialetto, le movenze, le abitudini più colorite, insomma tutto quanto si può reputare, a seconda della convenienza, ora pittoresco ora intollerabile. Anche quando non si dà addosso ai parcheggiatori abusivi o ci si fa beffe delle vrenzole (al limite della denuncia i video in cui due ragazzi discorrono tra loro, imitando male le donne dei quartieri popolari, con un accento taroccato quanto quello del poliziotto italo-americano dei Simpson), l’immagine della città è talmente stereotipata da risultare grottesca anche per il turista tedesco o americano. (riccardo rosa, the jackal, la napoli che viaggia in rete) Un giornalista molto bravo nel suo genere – quello di attaccare i potenti, in particolare quelli legati al mondo del giornalismo, con articoli al vetriolo ma lasciando sottoterra l’ascia del livore – è stato Nello Cozzolino, che per molti anni ha gestito un blog, dal nome Iustitia, interamente dedicato a questa funzione. Piccolo capolavoro è un pezzo del 2005 che smascherava l’ambiguo iter con cui il paladino della legalità Francesco Emilio Borrelli aveva ottenuto il tesserino di giornalista professionista. Il 25 novembre 2003 Borrelli comincia il praticantato giornalistico alla redazione di Lamezia Terme, un centro di settantamila abitanti della Calabria centrale affacciato sul Basso Tirreno. Lamezia ha l’aeroporto, ma non ci sono voli diretti con Napoli; per raggiungerla rimangono il treno, con tre ore e mezzo di Eurostar, se va bene, o 390 chilometri di autostrada. […] L’assunzione viene comunicata al neo-praticante dall’amministratore unico di Teleregione, Domenica Sarnataro, come il marito Giuseppe Giordano dal 21 ottobre agli arresti domiciliari. […] Ma torniamo a Borrelli e alle bizzarre modalità con cui viene assunto: teleradioreporter con contratto a contribuzione zero per l’editore […]; la precondizione per ottenere gli sgravi è lo stato di disoccupato di chi deve essere assunto. Anzi, la legge 407 è applicabile soltanto ai disoccupati di lunga durata, lavoratori che da almeno due anni sono in cassa integrazione o senza lavoro. Per ottenere gli sgravi, i dirigenti di Teleregione. […] Va infine segnalato che […] “non è possibile svolgere il praticantato quando si ha un contratto, anche di consulenza, in esclusiva con un ente pubblico (come il Comune o la Provincia di Napoli, ndr). Lo vietano gli articoli della legge 150 del 7 giugno 2000, che regola la comunicazione pubblica”. (nello cozzolino, un telereporter a lamezia terme) Col tempo credevo di aver imparato a distinguere anche io tra questi due nobili sentimenti, eppure in settimana, dopo la pubblicazione di questo articolo, una redattrice del giornale mi ha detto: «Ma alla vostra età scrivete ancora questi pezzi?» (in realtà il vero punto è che pezzi così non li scrivono i redattori e le redattrici più giovani, ma questa è un’altra storia). Mussolini è il più grande bluff d’Europa. Anche se domattina mi facesse arrestare e fucilare, continuerei a considerarlo un bluff. Sarebbe un bluff anche la fucilazione. Provate a prendere una buona foto del signor Mussolini ed esaminatela. Vedrete nella sua bocca quella debolezza che lo costringe ad accigliarsi nel famoso cipiglio mussoliniano imitato in Italia da ogni fascista diciannovenne. Studiate il suo passato. Studiate quella coalizione tra capitale e lavoro che è il fascismo e meditate sulla storia delle coalizioni passate. Studiate il suo genio nel rivestire piccole idee con paroloni. Studiate la sua predilezione per il duello. Gli uomini veramente coraggiosi non hanno nessun bisogno di battersi a duello, mentre molti vigliacchi duellano in continuazione per farsi credere coraggiosi. E guardate la sua camicia nera e le sue ghette bianche. C’è qualcosa che non va, anche sul piano istrionico, in un uomo che porta le ghette bianche con una camicia nera. (ernest hemingway, by-line) Lo scorso fine settimana è andato in scena a Roma il Cage Warriors 189, incontro di MMA tra l’irlandese Paddy McCorry e l’israeliano Shuki Farage. Dopo avere atterrato il suo avversario, il pugile irlandese lo ha bloccato a terra e mentre gli assestava altri colpi gli ha urlato più volte nelle orecchie di andare a fare in culo e, soprattutto, “Palestina libera!”. All’annuncio della vittoria, decretata all’unanimità dai giudici, McCorry ha alzato una bandiera palestinese e ha nuovamente gridato “Free Palestine!”, applaudito dal pubblico. Esattamente cinquant’anni fa usciva uno dei pezzi più belli e poetici di Joan Baez, scritto qualche mese prima, successivamente a una telefonata notturna del suo ex compagno Bob Dylan, che come sempre “lasciava vaghe le cose importanti”, ma la chiamava per capire se lei fosse ancora innamorata di lui. Con l’eleganza che la contraddistingue, Baez domina il livore e assesta due o tre colpi al suo vecchio amante (il più divertente è “unwashed phenomenon”, espressione con cui Dylan era stato definito anni prima da un portiere di un albergo nel quale avrebbe voluto prenotare una stanza, proprio insieme a Baez). La cantante alla fine scarica il suo poeta, dicendogli in sostanza che “ha già dato” e non ha intenzione di accettare più né i suoi diamanti né la sua ruggine. Qualche anno dopo, in un festival in Texas, Baez avrebbe cantato il pezzo cambiando le parole finali, e ricevendo un’ovazione al suo: “E se hai intenzione di offrirmi diamanti e ruggine… prendo solo i diamanti”. Now you’re telling me | E ora mi dici you’re not nostalgic | che non hai nostalgia then give me another word for it | e allora dammi un’altra parola per dirla you who are so good with words | tu che sei così bravo con le parole and at keeping things vague | e a lasciare le cose vaghe, ‘cause I need some of that vagueness now | perché ho bisogno di un po’ di quella vaghezza ora it’s all come back too clearly | che tutto mi torna così chiaro. Yes, I loved you dearly | Sì, ti ho amato dolcemente and if you’re offering me diamonds and rust | e se mi stai offrendo diamanti e ruggine I’ve already paid | ho già pagato. (joan baez, diamonds and rust) a cura di riccardo rosa
Rewind Roma, maggio 2025 # Giubilei chiacchierati, proteste contro il riarmo e per la Palestina libera
(disegno di peppe cerillo) Il mese si apre e si chiude con grandi manifestazioni di piazza, da quelle del 1 maggio in preparazione del referendum, a quelle del 31 contro il Decreto Sicurezza, e continue proteste contro il genocidio a Gaza. Il Giubileo va avanti come se niente fosse, morto un Papa se ne fa un altro, mentre la strada per l’estate è interrotta da frequenti temporali, freddo e vento. Il 3 sera un uomo, forse un borseggiatore in fuga, viene ucciso da un treno della Metro A; il 4 c’è un incendio nella rimessa Atac di via Candoni: un autobus in dismissione finisce in fiamme. La notte un turista statunitense che cercava di entrare nel Colosseo rimane infilzato, lo portano in pronto soccorso. Intanto in Vaticano si celebra il “Giubileo degli imprenditori” subito dopo quello dei lavoratori – forse per ribadire che l’imprenditoria non è un lavoro. Il 5 a Ostia una ruspa per il ripascimento della spiaggia si mette a lavorare a pieno regime in mezzo alle sdraio e gli ombrelloni. Protesta degli avvocati penalisti contro il Decreto Sicurezza a piazza Cavour. Il 6 ci sono due incidenti mortali causati da automobili, uno a San Basilio e uno al Foro Italico, viene ferita gravemente anche una bimba di due anni. Il 7 inizia il conclave nella Cappella Sistina, e l’8 si elegge il nuovo Papa. Venerdì 9 manifestazione “antidegrado” a Cinecittà-Don Bosco, con il prete antispaccio don Coluccia e i comitati di quartiere di destra – tutte organizzazioni che non si sono mai interessate alla svendita degli appartamenti degli enti previdenziali né alla gentrificazione forzata del quartiere, ma ora se la prendono con i più poveri. Il 10 una manifestazione a Garbatella esprime solidarietà contro la vandalizzazione di una statua autogestita per la Palestina a largo Sette Chiese. L’11 la S.S.Lazio (i cui ultras sono noti in Europa, tra le altre cose, per il loro antisemitismo) firma un accordo di collaborazione con il Maccabbi Israel, la squadra sionista i cui tifosi avevano già dato prova di aggressività l’anno scorso a Amsterdam. Lunedì 12 il comune di Roma tenta di recintare il parco di Pietralata per iniziare i lavori del nuovo stadio, ma trova la resistenza di un centinaio di abitanti che si sdraiano davanti ai camion per impedire l’ingresso. La celere trascina via, malmena, spinge, ma alla fine è costretta a ritirarsi. Il giorno dopo il Comune convoca il comitato a un tavolo di discussione, e mentre gli attivisti sono riuniti, a Pietralata arrivano i camion a recintare il parco. Continuano gli abbattimenti di alberi, tra le proteste degli abitanti e degli ambientalisti: cinque grossi pioppi sono demoliti su viale Quattro Venti, il giorno dopo altrettanti a Montesacro. Il 14 c’è una conferenza stampa contro le grandi opere all’assessorato all’ambiente, in via di Porta Metronia. Intanto, alcuni consiglieri chiedono formalmente al sindaco di restituire al Comune le centinaia di migliaia di euro spesi per finanziare la piazza per il riarmo europeo del 15 marzo. In Vaticano si celebra il “Giubileo delle Chiese Orientali”, proprio a ridosso dell’anniversario della Nakba palestinese. Nel pomeriggio, manifestazione per la Palestina a Torpignattara; durante la notte, ignoti vandalizzano il centro sociale La Strada, a Garbatella. Il 15 maggio, anniversario della Nakba, l’AMA fa una piccola pulizia etnica a piazza Vittorio, buttando tutti i materassi, le coperte e le valigie dei senzatetto che ci vivono. Interventi in diretta connessione con la promozione di uno sguardo disumanizzante rivolto a chi vive in strada. Sempre il 15, in una villetta di Fregene, i carabinieri trovano il corpo di una donna di cinquantotto anni uccisa con quindici coltellate. Il giorno dopo a Civitavecchia un uomo uccide a coltellate la compagna di quarantacinque anni, lasciando il corpo nell’androne del palazzo. Il 16 inizia il convegno dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università nell’occupazione abitativa Spin Time su viale Manzoni. Il 17  presidio in Campidoglio contro le grandi opere e le devastazioni ambientali; nel pomeriggio manifestazione per la Palestina, e festa di Ciro Principessa alla Certosa, in memoria del giovane comunista ucciso dai fascisti mezzo secolo fa. Diluvio improvviso sulla città. Il 19 mattina arrivano le ruspe nel parco di Pietralata, e cominciano a tagliare alberi. Un presidio di abitanti si scontra con le guardie. Il 20 in un incidente mortale sulla Cassia Bis muore un cinquantacinquenne sullo scooter. Il 22 c’è un presidio davanti al carcere di Regina Coeli per Tarek, detenuto arrestato durante la manifestazione del 5 ottobre per la Palestina. Il 26 durante il presidio a piazza Barberini, in occasione della votazione sul Decreto Sicurezza in Parlamento, un gruppo di duecento manifestanti tenta di sfondare il cordone di polizia che impedisce l’accesso alla piazza di Montecitorio: la polizia manganella e provoca diversi feriti, tra cui anche il presidente del Terzo municipio. Il 29 c’è una “passeggiata rumorosa” a San Giovanni, contro il femminicidio di Afragola, in cui un diciottenne ha ucciso una ragazza di quattordici anni a pietrate in testa: il Vaticano intanto inaugura il “Giubileo delle famiglie“. Il mese si chiude con la manifestazione contro il Decreto Sicurezza del 31 maggio, a Roma arrivano cento pullman da tutta Italia. Decine di migliaia di persone, forse più di centomila, sfilano per il centro, intorno al Colosseo, con cinque tir che accompagnano il corteo, che termina con un accampamento per la Palestina a Caracalla. Una trentina di tende rimangono tutta la notte in attesa del passaggio del Giro d’Italia la mattina del 1 giugno. (stefano portelli)
La parola della settimana. Scudo
(disegno di ottoeffe) La parola “scudo” viene dal latino scutum, in riferimento al cosiddetto scudo oblungo, elemento difensivo “con una nervatura centrale lignea di rinforzo, detta ‘spina’, dal materiale organico, derivato da più antichi modelli micenei e utilizzato dall’esercito romano ma anche da bande guerriere”. A parte alcune rare eccezioni, non è stato più usato in battaglia fin dall’introduzione delle armi da fuoco. Una di queste eccezioni è il “targe scozzese”, piccolo scudo in legno, cuoio e metallo, utilizzato fino al 1700 e capace di difendere anche dai proiettili dell’epoca. «Per anni allo United sono entrato in campo per difendere, da mediano o centrale, ma il mio istinto è offensivo. Il mio punto di forza è buttarmi in area, segnare, creare pericoli». (scott mc tominay) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/05/bv.mp4 (credits in nota1) Lo scudo può avere forme diverse: c’è lo “scudo normanno”, triangolare, con la punta in basso; lo “scudo gotico antico”, con i fianchi ricurvi; il “gotico moderno”, con la parte inferiore arrotondata; lo “scudo inglese” o “da torneo”, che riproduce il modello di “targe” di cui sopra. In araldica lo scudetto è la struttura di legno su cui vengono disegnate figure e simboli. In battaglia poteva capitare di veder sventolare i simboli nemici, capovolti, per evidenziare la loro disfatta o resa. (curva b, scudetto 2023) Nel linguaggio sportivo, lo “scudetto” è un piccolo scudo tricolore che viene cucito sulla maglia degli atleti campioni d’Italia, nel calcio ma anche in altri sport di squadra. La sua introduzione risale alla stagione 1924-25, anche se nel 1930, e per tredici anni, Mussolini impose l’apposizione del fascio littorio sul petto dei campioni in carica. Lo scudetto fu contestualmente retrocesso a simbolo della vittoria in Coppa Italia, fino a quando non tornò in palio, con la ripresa dei campionati nell’ottobre 1945 (al termine della stagione fu assegnato al Torino ma privo dello stemma sabaudo, nonostante al referendum che decretava la fine della monarchia mancasse ancora quasi un anno). Per quelli innamorati come noi, per quelli che non ti han tradito mai, magico Napoli, torna campion: cuci sul petto un’altra volta il tricolor! (coro ultras napoli sulle note de i maschi, di gianna nannini) Quando ero bambino mi ci è voluto un po’ per capire che non a tutte le squadre vincitrici nel mondo di un campionato spettasse lo scudo tricolore. In Germania il premio per la vittoria è il Meisterschale, il “piatto dei campioni”, dal peso di cinque chili e mezzo e dal valore di venticinquemila euro circa; in Francia il capitano della squadra vincente alza al cielo il meno pregiato Hexagoal, trofeo minimalista, in alluminio spazzolato con innesti dorati. In Inghilterra, la coppa in palio tra il vincitore del campionato e della FA Cup si chiama Community Shield (“lo scudo della comunità”). Il suo nome era prima Charity Shield (“scudo della beneficenza”) ma nel 2002 la Charity Commission inglese scoprì che la federazione calcistica si era intascata i soldi che avrebbe dovuto devolvere per opere di bene e ne impose il cambiamento. Quest’anno per conquistarselo si sfideranno il Liverpool e il Crystal Palace, squadra del brutto sobborgo operaio di Croydon, che si chiama così perché fu fondata, seppure non ancora ufficialmente, dagli operai dell’omonima struttura costruita per l’Esposizione Universale di Londra, nel 1851. (credits in nota2) Uno dei momenti più emozionanti della premiazione del Napoli campione venerdì sera è stato quando sul maxischermo è comparsa la mano di un incisore che calcava sulla coppa scudetto il nome della mia squadra. Mi sono guardato intorno e ho visto gente piangere, altra telefonare alla propria moglie, altra consumare sostanze (va detto che all’intervallo della partita i bar della curva avevano già tutti esaurito le scorte di birra). Al fischio finale di Napoli-Fiorentina del 10 maggio 1987, intervistato da Giampiero Galeazzi, Maradona disse che la vittoria di quello scudetto valeva persino più del Mondiale che aveva vinto un anno prima, perché quella vittoria era avvenuta “a casa mia”. È bello che oggi quella casa porti il suo nome, e fa riflettere (forse fa riflettere solo me) che da quando gli è stata intitolata, il Napoli abbia vinto due scudetti e una Coppa Italia. Insieme a un paio di amici con cui abbiamo visto la partita-scudetto al Maradona, riflettevamo, durante la cerimonia di premiazione, su quanto a volte la vita possa essere ingiusta, sulla potenza del caso e delle sue sliding doors, e su quanto sia importante trovarsi al posto giusto al momento giusto. Non che avessimo la forza per teorizzare, ma qualcosa del tipo:  A: Scudetti vinti da Zico? B: Zero! A: E da Ronaldo? B: Zero! A: Mmmm… da Kroll? Hamsik? Cavani? B: Zero! A: Scudetti vinti da Okafor? B: Uno! A: E da RafaMarin? B: Uno! A: Juan Jesus? B: Due… . PS. Una menzione speciale sento il dovere di farla allo steward che in queste ore sta rischiando il suo precario posto di lavoro, perché ripreso dai soliti invadenti videoamatori mentre si disinteressa di una piccola folla che a pochi passi da lui scavalca i cancelli dello stadio, per entrare in curva utilizzando il biglietto di un altro settore. Buona fortuna amico mio, questo scudetto è anche tuo. (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Da: Braveheart. Cuore impavido, di Mel Gibson (1995) ² Operai inglesi smantellano il Crystal Palace. Cinegiornale a cura del British Pathé.