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La parola della settimana. Carte
(disegno di ottoeffe) All’angolo di via delle Zoccolette, sotto la pioggia, il Riccetto vede un gruppo di persone, e piano piano ci si accosta. In mezzo al gruppo di tredici o quattordici persone e gli ombrelli lucidi, era aperto un ombrello più grande del comune, nero, con sopra messe in fila tre carte, l’asso di denari, l’asso di coppe e un sei. Le mescolava un napoletano e la gente puntava sulle carte cinquecento, mille e anche duemila lire. Il Riccetto se ne rimase lì per una mezz’oretta a guardare. Un signore, che giocava accanito, perdeva a ogni puntata, mentre degli altri, napoletani pure loro, ora perdevano e ora vincevano. Quando quel primo treppio si sciolse, era già verso tardi. Il Riccetto s’accostò al napoletano che stava a mescolare le carte e gli fece: – Aòh, permetti na parola? – Sì. – rispose l’altro allungando la scucchia. – Che sei de Napoli? – Sì. – Sto ggioco ‘o fate a Napoli? – Sì. – E come se fa sto ggioco? – Mbè… è difficile, ma in un po’ de tempo se impara. – ‘O impari pure a mme? – Sì. – fece il napoletano, – ma… Si mise a ridere con l’aria di uno che sta combinando un affare e pensa fra di sè: «Aòh, mettèmise d’accordo, che t’ho da ddì!». S’asciugò la faccia bagnata di pioggia, giovane e tutta rugosa, coi labbroni che gli pendevano a culo di gallina. Guardò il Riccetto negli occhi. – Mbè te lo imparo, come no, – disse lui, visto che l’altro taceva, – ma vojo na ricompenza. – Come no, – rispose serio il Riccetto. Ma intanto intorno all’ombrello stava per formarsi un nuovo gruppo di persone; tra questi c’erano sempre i napoletani di prima. (pier paolo pasolini, ragazzi di vita) Anna Paola Merone è una storica giornalista del Corriere del Mezzogiorno. Si occupa di cronaca, ma soprattutto – parafrasando il titolo di un vecchio rotocalco del Tg2 – di “costume e società” (qui un suo imperdibile ritratto dal sito Iustitia.it): nella storia restano alcune sue rubriche, come quella sugli amori di personaggi influenti della città – per capirne il tenore si possono trovare qui i nomi, anche senza dover leggere gli articoli. (da: corrieredelmezzogiorno.corriere.it) Da un po’ di anni Merone detta le linee di buon gusto e di bon-ton attraverso fulminanti storie su Instagram, esprimendosi lapidaria e frizzante con brevi pillole. “Burraco? No! Ma nemmeno ramino, gin, rubamazzo, scopa o scopone!”. (anna paola merone) Comincia con questa denuncia il breve video pubblicato dalla cronista sul social network, video che lancia il suo articolo su quella che per una parte di Napoli è stata, per tutta la settimana, “la notizia del giorno”: Il circolo Posillipo di Napoli mette al bando le carte. Il verbale dell’ultima riunione del Consiglio […] parla chiaro e con severità stigmatizza e condanna il gioco. È deciso che nei saloni del circolo anche una partitella a carte non sarà tollerata. Una scelta che sorprende, dal momento che i circoli sono, storicamente, luoghi dove i soci si dilettano in sfide che comprendono anche le carte. Non sono certo bische — anche se le cronache cittadine in passato hanno riportato racconti di blasonati sodalizi dove gli equilibri erano scivolati e dove si giocava non per diletto — ma salotti dove si trascorre del tempo anche seduti al tavolo verde. […] La sala attualmente usata dai giocatori sarà svuotata dei tavoli, saranno ritirate dalla segreteria carte da gioco, fiches, blocchetti e ogni materiale legato alle carte. Le alternative di utilizzo dello spazio sono due: renderlo sala Tv e lettura o destinarlo ai servizi di segreteria e amministrazione. […] Tutto a posto dunque? Non esattamente. Si rumoreggia, si protesta, si contesta una decisione che appare paradossale se rapportata a «innocenti evasioni» e, se sono stati ravvisati reati, ingiustamente punitiva per tutti. (anna paola merone, il corriere del mezzogiorno) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/09/queifdef.mp4 (credits in nota 1) Leggendo sui quotidiani napoletani di questa scottante questione mi sono ricordato che, un po’ di anni fa, sul cartaceo di Monitor pubblicammo un bel reportage con cui Carola Pagani ci faceva entrare nelle sale del Circolo Posillipo, tra milionari novantenni e nuotatori olimpionici. Da accanito giocatore di carte quale ero all’epoca mi spiacque molto che impenetrabile, anche per lei, era rimasta la sala da gioco. Le sale da gioco sono le uniche dove è permesso fumare e quelle dove è più difficile entrare se non sei socio. Ogni tanto ne esce qualcuno con gli occhi rossi e il viso paonazzo, si fa un rapido giro del salone a testa bassa e rientra con foga. Il mercoledì e la domenica pomeriggio il Salone delle feste si riempie di tavoli e i soci con le rispettive consorti si riversano nei tornei di bridge e di burraco. Si incontra spesso, con la moglie, il Professore, ottantadue anni, medico chirurgo di fama adesso in pensione, che è socio del circolo da quarant’anni e proboviro da venti. I probiviri sono una specie di senato del Posillipo e sono eletti fra i soci più anziani. Loro è il compito di regolare l’ammissione dei nuovi soci sostenitori e di vegliare sul rispetto delle regole. […] Il professore lamenta spesso la decadenza dei costumi. Dice che le persone non hanno più il contegno di una volta, che si presentano al circolo senza cravatta e schiamazzano spesso e volentieri. […] L’avvocato Mazzone, consigliere comunale, deputato e poi eurodeputato per l’MSI, confluito in Alleanza Nazionale e presidente del Posillipo per due volte, sostiene che la decadenza dei costumi coinvolge tutta la città e che le classi alte sono ormai rassegnate: «Ai figli ripetono la maledetta frase di Eduardo: fuitevenne ‘a Napule; mentre loro, come me ormai, sopravvivono in quest’oasi di pace senza più la forza di reagire». (carola pagani, posillipo, i lunedì al sole – dal n.30/marzo 2010 di Napoli Monitor) The cabaret was empty now, | Il teatro era vuoto ora, a sign said “Closed for repair”. | un cartello diceva: “Chiuso per ristrutturazione”. Lily had already taken | Lily aveva già tolto all of the dye out of her hair. | tutta la tintura dai suoi capelli. She was thinkin’ ‘bout her father | Pensava a suo padre who she very rarely saw. | che aveva visto molto raramente. Thinkin’ ‘bout Rosemary and thinkin’ about the law. | Pensava a Rosemary e pensava alla legge. But, most of all | Ma, soprattutto she was thinkin’ ‘bout the Jack of Hearts. | pensava al Fante di cuori. (a cura di riccardo rosa)
La parola della settimana. Paraculo
(disegno di ottoeffe) “Chiediamo che venga ritirato l’invito a partecipare alla Mostra di Venezia a Gerard Butler, Gal Gadot e a qualunque artista e celebrità che sostenga pubblicamente e attivamente il genocidio. E che invece quello spazio venga messo a disposizione di una nostra delegazione che sfili sul red carpet con la bandiera palestinese”. (venice for palestine, 25 agosto 2025) Gal Gadot, l’attrice israeliana famosa per il ruolo di Wonder Woman, ha svolto due anni di leva militare obbligatoria nell’esercito del proprio paese, con la mansione di istruttore atletico nella Idf, le forze di difesa israeliane, dopo essere risultata tra i primi del suo corso d’addestramento. […] Nel 2007, al mensile Maxim, Gadot descriveva così la sua attività quotidiana nell’esercito: “Insegnavo ginnastica e calistenics; ai soldati piacevo perché li mantenevo in forma”. […] In una cover story per Glamour: “Devo dire che nessun paese dovrebbe aver bisogno di un esercito; ma ad ogni modo, per essere un vero israeliano, devi servire lo Stato, e restituirgli quello che ti ha dato. Per due o tre anni, non pensi a te stessa, rinunci alla tua libertà, ma impari la disciplina e il rispetto”. (cinemaserietv.it) (foto da cufi.org) Una serata di gala con celebrità raccoglie trentotto milioni di dollari per l’Idf a Los Angeles. Tra gli ospiti presenti c’erano Julie Bowen, Gerard Butler, Robert De Niro, Joanna Krupa e Arnold Schwarzenegger. L’evento è stato presieduto dall’imprenditore e magnate dei media Haim Saban e da sua moglie Cheryl e ha visto la partecipazione di numerosi personaggi ebrei di spicco. […] “Siamo lieti di vedere che la fondamentale missione dell’esercito israeliano, fornire programmi di benessere e istruzione agli eroici uomini e donne dell’IDF, continua a riscuotere successo nella comunità di Los Angeles”, ha affermato Saban. (cufi.org / traduzione di -rr) Almeno sette persone, fra cui cinque bambini che erano in coda per l’acqua, sono rimaste uccise in un attacco israeliano con droni avvenuto nella zona di al-Mawasi, nel sud di Gaza, vicino Khan Younis. Lo riferisce Al Jazeera citando una fonte dell’ospedale Nasser. L’emittente riporta che il portavoce della Protezione civile di Gaza, Mahmoud Basal, ha pubblicato una foto dei corpi di cinque bambini, insieme a un’immagine della macchia di sangue nel luogo in cui sono stati uccisi. “Erano in fila per riempire delle taniche d’acqua nella zona di al-Mawasi, descritta come ‘sicura’, quando le forze di occupazione li hanno presi direttamente di mira, trasformando la loro ricerca di vita in un nuovo massacro”. (il fatto quotidiano, 2 settembre 2025) Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto L’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto. (i nomadi, dio è morto) “Se mi si invita a riconoscere che è in corso un genocidio la risposta è assolutamente sì. Questo è uno di quei casi in cui quello che sta succedendo è evidente, non c’è tanto da stare a discutere. Le testimonianze di istituzioni assolutamente affidabili sono riscontrabili. Se invece poi si scivola dentro un’emotività che ti porta a chiedere di censurare o di boicottare, in questo caso faccio un passo indietro e sono meno propenso, anzi non sono per niente propenso a censurare nessuno. Soprattutto in un luogo come questo che deve accogliere chiunque, anche quelli che sostengono le posizioni più scomode e ai nostri occhi irritanti”. (paolo sorrentino) Il paraculo è l’opportunista, quello che, specie in maniera occulta, cerca di volgere una situazione a proprio vantaggio. Il paraculo è levantino, sa navigare nello scorrere degli eventi, sa compiacere e approfittare per il fine ultimo e supremo del proprio tornaconto. Forse l’unico connotato che conserva del suo significato precedente è lo sprezzo – connotato da non disdegnare, nel qualificare l’opportunista: troppo spesso il furbo scafato ha un profilo positivo, profilo invece tendenzialmente escluso dal paraculo. (unaparolaalgiorno.it) “Mi hanno messo in mezzo. Mi ha chiamato Silvia Scola, la figlia di Ettore chiedendomi se volevo firmare un appello contro quello che sta accadendo a Gaza, che va condannato in tutti i modi, nell’ambito della Mostra, manifestando a una platea ampia la sensibilità del cinema, che non è chiuso nell’indifferenza. E ho firmato. In un secondo momento i promotori hanno aggiunto i nomi di quei due attori. Non sono d’accordo nell’escludere gli artisti. Anche all’inizio della guerra in Ucraina ricordo il boicottaggio verso i tennisti russi. Ma cosa c’entravano loro? Sono sportivi, non militari né politici. […] Quei due non sono gente che tira le bombe, sono attori come me”. (carlo verdone) (credits in nota1) “Quando ho firmato l’appello non c’era questa richiesta sull’esclusione di alcuni artisti. Non mi appartiene, non sono d’accordo”. (ferzan ozpetek) “Sono stato tra i firmatari di un documento che chiedeva di accendere una luce più forte su una tragedia immane a cui stiamo assistendo. […] Credo che il risultato al primo giorno di festival sia già ampiamente raggiunto. […] Non condivido per nulla il boicottaggio di artisti israeliani o di qualsiasi altro paese a manifestazioni come la Mostra del cinema o come la Biennale arte. Credo che questi luoghi siano luoghi di accoglienza in cui si invita tutti e poi ci si confronta e si stabilisce civilmente su che posizione si sta, ma non sono luoghi di esclusione. Questo aspetto, ci tengo a dirlo, non lo condivido”. (toni servillo) “Questo boicottaggio non lo condivido. Però, se entriamo nel merito di chi sono questi, se hanno compiuto delle cose che in qualche modo acconsentono, sono favorevoli alla scelta di Netanyahu… Che poi li si debba censurare… la censura è sempre qualche cosa di inaccettabile, che viene dall’alto, dal potere, che schiaccia. Io sono fautore della protesta non violenta” (marco bellocchio) Faccio fa’ le pulizie di casa all’indianino con la go-pro, almeno vedo se pulisce bene o no. E con tutti i soldi che ogni mese je do’ magari ce esce n’artro marò! […] Questo colla vespa nun me vuole fa’ usci’ c’ha pure l’adesivo de Piero Gramscì, madonna ‘sti qui: che radical chic! […] Sostanzianzialmente penso solo ai cazzi miei per ottenere tutto quello che vorrei: troppe domande fossi in te non ne farei. (brusco, paraculo) Il 2020 ha prodotto risultati positivi da parte di attivisti, studenti, difensori dei diritti civili e legislatori per sostenere il diritto di boicottare Israele. […] Ci sono state molte azioni dirette, vittorie in tribunale e appelli a sanzionare Israele per le sue violazioni del diritto internazionale. […] All’inizio dell’anno, le Nazioni Unite hanno pubblicato il tanto atteso elenco di società che traggono profitto dai crimini di guerra di Israele. […] Il rapporto elenca 112 società coinvolte in attività negli insediamenti come la fornitura di attrezzature e materiali per la costruzione o la demolizione di case, sorveglianza e sicurezza, trasporto e manutenzione, inquinamento e scarico di rifiuti e sfruttamento delle risorse naturali, comprese l’acqua e la terra. Il Bnc ha accolto con favore la pubblicazione del rapporto, che è avvenuto “nonostante le intimidazioni da parte di Donald Trump e del governo di estrema destra di Israele”. […] Ad aprile, l’ufficio del Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo in Giordania ha annunciato che non rinnoverà il suo contratto con G4S, una società di sicurezza privata con una lunga storia di coinvolgimento nei crimini di Israele. […] La Corte europea dei diritti dell’uomo ha sostenuto il diritto di boicottare Israele quando ha annullato le condanne penali contro undici attivisti per i diritti dei palestinesi in Francia. Ha stabilito all’unanimità che le condanne contro gli attivisti per aver invitato gli acquirenti a boicottare le merci israeliane hanno violato la garanzia di libertà di espressione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. (continua a leggere!) POST SCRIPTUM – Ho letto che quando Boris Pasternak consegnò agli emissari di Giangiacomo Feltrinelli il manoscritto per la pubblicazione italiana ed europea de Il dottor Živago, avendo saputo che il Pcus stava facendo enormi pressioni attraverso il Pci, addirittura trattando l’argomento in diverse sedute del Comitato Centrale del partito sovietico per non farlo pubblicare, Pasternak gli disse più o meno: «Ecco, questo manoscritto vale anche come invito al mio funerale».  (a cura di riccrado rosa) __________________________ ¹ Fabrizio Bracconeri e Carlo Verdone in: Acqua e sapone, Carlo Verdone (1983)
La parola del mese. Confusione
(disegno di ottoeffe) Che confusione, sarà la marijuana! Bevo la birra, tutta la settimana. Stringimi forte e stammi più vicino, e chi non salta: bastardo celerino (coro gap – gruppo anti pelè, lokomotiv flegrea) Mi è capitato, dopo l’ennesimo anniversario della strage di Bologna finito in barzelletta, di vedere una puntata di In Onda, su La7, in cui si parlava dei cosiddetti “anni di piombo” e in cui la confusione regnava totale. Ora, spero di non essere giudicato perché guardo la televisione, e perché mi capita persino di fermarmi – quando voglio studiare i riferimenti culturali più deteriori della borghesia di questo paese – a guardare Telese e Aprile, con l’aggravante che in studio ospite ci fosse pure l’imbalsamato, sempre fastidioso, Paolo Mieli. Il dibattito – di cui segue una clip, che sconsiglio vivamente – è imbarazzante. Quello che colpisce è la pochezza delle argomentazioni degli ospiti (quello di destra era Mieli e quella di sinistra la Botteri…), incapaci di ribattere ognuno alla tesi dell’altro con una considerazione pertinente. In sostanza, Mieli si doleva del fatto che quando si parla delle stragi fasciste ci si sente in dovere di chiamarle “fasciste”, mentre non lo stesso trattamento viene riservato a quelle “comuniste”. Guarda lì, guarda là: che confusione! Guarda lì, guarda là: anche in televisione! (vasco rossi, cosa succede in città) La sensazione è che così come quando agli anziani si fa ripetere l’esame della patente con una certa frequenza, a Mieli andrebbe fatto obbligo di ripetere gli esami di Storia dell’Italia contemporanea (anche un ateneo telematico va bene, ché ci sono ormai tanti docenti più preparati che in quelli pubblici). L’altro tema è che Botteri avrebbe potuto rispondere semplicemente che in Italia, negli anni di piombo (Mieli ha fatto più volte riferimento alle Brigate Rosse), i comunisti non hanno mai fatto stragi, o quantomeno non hanno mai fatto stragi di civili che non c’entravano con i propri obiettivi politici, né ancor meno le hanno fatte per destabilizzare subdolamente il sistema democratico che volevano abbattere in ben altri modi (tipo la rivoluzione); o ancora che i fascisti, per fare queste stragi, hanno ben pensato di allearsi con la mafia, i servizi segreti, l’esercito, la massoneria, cosa che non risulta abbiano mai fatto i comunisti. Mentre Telese e Aprile borbottavano cose senza senso, Botteri ha alimentato la confusione dicendo che: i comunisti armati non erano così tanto comunisti perché uccidevano altri comunisti (resuscita in un colpo solo Telese che bofonchia: «Eh, Guido Rossa…», e Mieli che cita Montanelli); che anche l’elettorato del Pci prendeva in blocco le distanze dalla lotta armata; e che i gruppi neofascisti si richiamavano al fascismo più di quanto non si richiamassero le Brigate Rosse al comunismo. Idiozie a cui anche un bambino di quarta elementare avrebbe potuto controbattere (anche per lei esame da ripetere alla prossima sessione) e infatti Mieli l’ha messa a tacere. Quando mi capita di vedere certi dinosauri in televisione mi viene sempre in mente la signora Coriandoli, meraviglioso personaggio di Maurizio Ferrini che con Mieli ha sicuramente in comune il cinismo (solo che la signora Coriandoli è una macchietta, Mieli no). Tra i tanti danni che ha fatto Fabio Fazio alla televisione italiana, gli va dato merito di aver ripescato dal passato piccole perle, come il personaggio della signora che, a Che tempo che fa, racconta ogni sera una storia d’amore tra due anziani della provincia romagnola. Il canovaccio è sempre lo stesso: uomini ultraottantenni che hanno tirato i remi in barca – «Lui noioso! D’un pigro…!», si lamenta sempre lei – che vengono spinti dalle loro mogli a qualche impresa, e che alla fine ci rimettono le penne proprio con la complicità delle proprie metà. Quando Youtube mi ha proposto una delle storie della signora, quella tra Gina e il suo Tebaldo, mi è venuto di chiedermi se Mieli, che ha resistito agli anni di piombo e a Tangentopoli, al berlusconismo e alla Seconda Repubblica, sarebbe capace di resistere alla signora Gina. C’è una bella parola inglese, mess, che non corrisponde del tutto all’italiano “confusione” (che in inglese è anche confusion, chaos, noise), ma ci parla di disordine, sbando generalizzato (Everybody was well-dressed, and everybody was a mess), di stupidità (He was a mess! Just some nellie old ribbon counter clerk…) e persino della merda dei cani – senza contare il verbo to mess around con i suoi almeno dieci significati. In napoletano c’è invece bordello, dal francese burdel, inteso come casa di appuntamenti. Come e più che in italiano, il vocabolo si è esteso al rumore (famme ridere accussì, pe’ nun senti’ ‘o burdello ca ce sta), alla folla (scinne ampress’ mamma mia, ce sta ‘a manifestazione: ‘o burdello, ‘a polizia, ‘o votta-votta, ‘o curdone), a situazioni pericolose (raggia e tarantelle, chello ca te fa caccia’ ‘o curtiello int’o burdello). A proposito di imprese sportive, anziani iperattivi e bordelli, c’è un passaggio che mi ha molto divertito in un bel romanzo di Steinbeck che ho letto quest’estate. Il libro racconta di una strana e dolce relazione tra un fresco reduce di guerra (Doc) e una impertinente ragazza (Suzy) temporaneamente impiegata come meretrice nel bordello tenuto dalla saggia Fauna, eminenza grigia dell’amore tra i due. Il passaggio ci insegna che non sempre fare del bene è una buona idea e che difficilmente, comunque, ce ne verranno accreditati i meriti. Un filantropo, un certo Deems, fece omaggio alla città di due campi da roque. […] Non si sarebbe mai detto che una cosa del genere facesse riscaldare gli animi, soprattutto perché i giocatori avevano quasi tutti passato la settantina. E invece fu proprio così. […] Due ottuagenari se ne andavano nella foresta e poi li trovavi impegnati in un combattimento mortale. […] Un Azzurro ebbe la casa bruciata, e un Verde fu trovato nella foresta bastonato a sangue con un bastone da roque. […] I vecchi cominciarono ad andare in giro con i mazzuoli legati al polso, come scuri in battaglia. La città era in preda a una confusione spaventosa. Le cose si erano talmente aggravate che il 30 giugno, giorno della gara, la gente se ne andava in giro con la pistola. […] Così, la notte del 29 luglio Mr. Deems mando in città una macchina escavatrice. La mattina dopo, dove prima c’erano i campi c’era solo un’enorme buca profonda. […] Lo espulsero a furor di popolo dalla città. Gli avrebbero fatto la cura del dottor Catrame e del dottor Piuma se avessero potuto mettergli le mani addosso, ma lui se ne rimase a Monterey. […] Ogni 30 luglio, ancora oggi, la cittadinanza si riunisce e brucia Mr. Deems in effigie. È una festa vera e propria, fanno un fantoccio di grandezza naturale e lo impiccano a un pino. Poi gli danno fuoco, marciano sotto l’albero con torce e la povera effigie inerme di Mr. Deems va in fumo. C’è gente che dirà che questo racconto è inventato di sana pianta, ma una cosa non è necessariamente una bugia, anche se non è necessariamente accaduta. (john steinbeck, quel fantastico giovedì) a cura di riccardo rosa PS: Per scongiurare ulteriore confusione, una precisazione: un paio di giorni dopo, sempre a In Onda, ho assistito a un penoso agguato a Rula Jebreal – altro soggetto su cui ci sarebbe da ridire, che però dal 2023 almeno dice le cose come stanno sulla barbarie israeliana in Palestina. Con quell’agguato, capitanato dalla figlia di Pino Aprile e da una storica molto in voga in televisione – tale Ponzani, una che ha fatto una tesi di dottorato dal titolo L’eredità della Resistenza nell’Italia repubblicana tra retorica celebrativa e contestazione di legittimità, e che non contenta ha pure fatto un film con Veltroni –, si accusava Jebreal di lesa maestà nei confronti di Liliana Segre, perché se lei, ebrea e sopravvissuta al genocidio nazista, dice che quello in atto in Palestina non si deve chiamare genocidio, non la si può pensare diversamente (racconto quest’episodio solo per dire che, dopo questa doppietta, io e g. – come me appassionata del middle-class watching – ci siamo imposti di non guardare mai più questa indecente trasmissione, nemmeno se ci serve come rumore bianco mentre apparecchiamo la tavola).
La parola della settimana. Accattone
(disegno di ottoeffe) Voglio mori’ co tutto l’oro addosso, come i faraoni (vittorio cataldi detto “accattone”, in accattone di pier paolo pasolini) (credits in nota1) Sul termine “accattone”, la maggior parte dei dizionari si esprime in maniera chiara:  è tale chi va elemosinando, spesso senza effettivo bisogno, più per vizio che per necessità. Si parla, negli atti, di “eversive degenerazioni in cui opera la Commissione per il paesaggio” con una “strumentalizzazione che ne fa la parte politica, principalmente l’assessore Tancredi, in sintonia con il sindaco Sala e il direttore generale Malangone (servendosi del faccendiere Marinoni), per portare avanti relazioni private con gruppi della finanza immobiliare attivi a Milano e la soddisfazione dei loro interessi”. Questo “nella cornice di un’azione amministrativa viziata da una corruzione circolare, edulcorata all’esterno”. […] Il sistema “deviato” si sarebbe basato su “varianti” ai piani regolatori, camuffate, secondo i pm, con l’interesse pubblico con richiami “all’edilizia residenziale sociale”, per aumentare volumetrie e altezze a vantaggio delle imprese. […] Tancredi sarebbe stato la “copertura” politica di Marinoni, nel “patto corruttivo”, per realizzare questo “Piano di governo del territorio (Pgt) ombra”. E quest’ultimo avrebbe incassato, coinvolgendo nel meccanismo società immobiliari e studi, “alte parcelle” dalla J+S di Pella. Scandurra sarebbe arrivato a prendere anche fino a 2,5 milioni di euro. (urbanistica di milano sotto accusa: indagato anche sala, chiesti sei arresti, ansa.it) Un po’ più a sud della capitale morale, intanto, Matteo Ricci, europarlamentare del Partito democratico ed ex sindaco di Pesaro, sembra prossimo a ritirare la sua candidatura alla presidenza della regione Marche. È indagato per corruzione per atti contrari a doveri d’ufficio. Secondo gli inquirenti avrebbe affidato indebitamente opere di manutenzione dal 2019 al 2024 per finanziare “interventi spot”. Tra questi l’installazione di un casco gigante di Valentino Rossi in piazza D’Annunzio, murales in onore delle vittime del Covid, o un altro dedicato a Liliana Segre, contabilizzato alla voce “manutenzione idrica”. Debiti al comune di Avellino, commissario chiede il cinque per mille ai cittadini: “Altrimenti servizi a rischio”. (repubblica.it, 23 luglio) Mazzetta da seimila euro, arrestato il sindaco di Sorrento. Massimo Coppola è stato sorpreso mentre intascava una sospetta tangente da seimila euro durante una cena con un imprenditore. (tg3, 21 maggio) Un imprenditore della provincia di Belluno è finito al centro di un’indagine […] per presunta malversazione ai danni dello Stato. […] L’inchiesta è partita da un’analisi sulle erogazioni pubbliche destinate a sostenere l’innovazione nel settore delle energie rinnovabili. I militari […] hanno ricostruito il percorso di un finanziamento da un milione di euro, concesso da Banca Progetto S.p.A. e garantito da Mediocredito Centrale – Banca del Mezzogiorno S.p.A., individuando un’anomalia significativa: circa 250 mila euro sarebbero stati distratti e utilizzati per fini personali, del tutto estranei agli obiettivi del progetto. Il finanziamento era stato concesso per realizzare un impianto di pirogassificazione – un sistema innovativo per produrre energia rinnovabile a partire da scarti agricoli e forestali. (lapiazzaweb.it, 16 luglio) Antonio Mancini è un noto personaggio della malavita romana. Ex membro della Banda della Magliana, poi collaboratore di giustizia dopo vent’anni di carcere, oggi è accompagnatore per persone con disabilità a Jesi. Accattone (era questo il suo soprannome) ha ricominciato da qualche tempo a parlare – l’ha fatto di recente in una puntata dell’insopportabile podcast condotto da Fedez e Mister Marra – dei suoi trascorsi criminali e, ovviamente, della scomparsa di Emanuela Orlandi.⁠ Ben pratico dello sport preferito da decine di altri accattoni, ovvero quello di millantare la conoscenza di elementi sensazionali sulla sparizione della Orlandi, alla fine Mancini non dice niente di concreto, né tantomeno, naturalmente, fa nulla per agevolare l’avanzamento sulla ricerca della verità; gli riesce benissimo invece riaprire ferite mai sanate a una famiglia distrutta da un intrigo più grande di lei, che ha coinvolto Stato, Vaticano, servizi segreti e chissà chi altri (approfondimento buono per neofiti della materia è Vatican Girl, documentario del 2022 che pure non sfugge a tentazioni voyer-complottistiche, ma ha almeno il merito di fare una onesta ricognizione di tutto quanto successo in questi anni). Dei tanti “misteri italiani” (svariate seconde serate della mia adolescenza sono state segnate dalla voce di Carlo Lucarelli) era grande appassionato un tizio che avevo conosciuto all’università nei miei primi anni all’Orientale, e che ho poi perso di vista da quando è andato a lavorare in una fabbrica, mi pare, in Veneto. Aveva una bizzarra teoria, vagamente latouchiana, sull’accumulazione dei beni, che francamente ho dimenticato. Ricordo bene invece che disprezzava gli scrocconi e propagandava la retorica secondo cui se non vuoi pagare due euro per andare a sentire un concerto in un centro sociale, ma ne hai in tasca dieci di fumo e cinque di sigarette, “puoi anche andartene a bere una Best Bräu da sessantasei a piazza San Domenico”. È il caso del minor riconoscimento assegnato dagli intervistati al danaro. Innanzitutto, il danaro è considerato “molto importante” dal 33,3 per cento degli operai e dal 17 per cento degli impiegati. Questi ultimi salgono al 61,4 (48,6 per cento gli operai) nella considerazione di un’importanza “media”, mentre rispettivamente il 16,4 per cento di operai e il 21,6 per cento di impiegati attribuisce “poca importanza” al danaro. […] Per gli operai la disponibilità è minore rispetto agli impiegati e quindi maggiormente ne sottolineano la rilevanza. Si consideri a riguardo che l’88,3 per cento del campione non supera la retribuzione mensile di un milione e mezzo e che la maggioranza (70 per cento circa) degli intervistati è costituita da operai. […] Resta comunque il fatto che la bassa posizionalità assunta dal danaro nella gerarchia dei valori espressi dal campione spinge ad affermare che il valore del danaro è più associato alla sua funzione estrinseca (il valore d’uso) che al suo carattere specificamente teleologico. (m. conte, g. di gennaro, d. pizzuti, l’acciaio dei caschi gialli. lavoro, conflitto, modelli culturali: il caso italsider di bagnoli) a cura di riccardo rosa  ___________________________ ¹ da: Sinite Parvulos, Nanni Loy; in: Signore e signori, buonanotte (1976) Nota a margine: con questa puntata la rubrica va in ferie, ci rileggiamo a fine agosto.
La parola della settimana. Ricordo
(disegno di ottoeffe) Remember when you were young / Ricorda quando eri giovane how the hero was never hung, / come l’eroe non finiva mai impiccato, always got away. / sempre riusciva a scappare. (john lennon, remember) Se n’è andato all’alba di venerdì, a ottantotto anni, Goffredo Fofi, “il Vecchio”, come lo chiamavano affettuosamente i miei amici più grandi, con alcuni dei quali pure negli anni se ne era detto di tutti i colori. Lucido, corrosivo, impietoso narratore e analista del mondo che ci circonda, è stato instancabile agitatore culturale e riferimento per quei pochi scrittori, autori cinematografici e teatrali, giornalisti e tutto il resto, che ancora possono più o meno dirsi degni di appartenere a queste categorie. Tutte le persone che valeva la pena conoscere, il Vecchio le conosceva e le metteva in contatto, e molte tra queste (e anche non tra queste) in questi giorni lo hanno celebrato sui giornali e sui social network. Parecchi ricordi si concludevano con aneddoti autoreferenziali del tipo “apprezzò molto il mio lavoro su…” o “avevamo spesso parlato di”. Io invece ricordo che nel 2020, dopo una presentazione di Baby Gang a cui partecipò, e a sua domanda sui miei progetti futuri, gli parlai con entusiasmo di un romanzo sulla città postindustriale a cui stavo lavorando, romanzo che forse anche grazie a lui non scriverò mai. Mi ascoltò con attenzione, mi diede un buffetto sul viso e lapidario mi disse: «Sarà sicuramente una cacata…» (qualche anno dopo, durante un pranzo con altre persone, all’improvviso mi guardò, e stupendomi perché si ricordava di quella conversazione mi disse, provocatorio: «Allora, l’hai scritto questo grande romanzo?»). Ma il bambino nel cortile si è fermato, si è stancato di seguire aquiloni. Si è seduto tra i ricordi vicini, i rumori lontani, guarda il muro e si guarda le mani. (fabrizio de andrè, le storie di ieri) In questi giorni si è molto parlato di alcuni studenti che, una volta raggiunto il punteggio minimo per superare l’esame di maturità, si sono rifiutati di sostenere il colloquio orale avendo già ufficialmente ottenuto la promozione grazie alla somma tra i crediti formativi ottenuti durante i cinque anni e i “punti” accumulati con le prove scritte. Gli studenti coinvolti hanno spiegato che la scelta è stata presa per protestare “contro i meccanismi di valutazione scolastici, l’eccessiva competitività, la mancanza di empatia del corpo docente” (il virgolettato è di Maddalena Bianchi, diciannove anni, di Belluno). Gli adulti ovviamente si sono rizelati e in molti (soprattutto docenti e dirigenti scolastici) hanno iniziato ad attaccare pubblicamente questi studenti, come se una scelta del genere non fosse coerente reazione al modello di formazione che loro stessi hanno creato, fatto di punteggi, crediti formativi, valutazioni aritmetiche per ogni scorreggia fatta dagli studenti e dalle studentesse. Raggiungo il punteggio? Sono “dentro”, arrivederci e grazie. Dio cane, dio cane, cominciava a fare quello, che era un torinese. Si chiamano barott, sono quelli della cintura torinese, dei contadini sono. Sono tuttora dei contadini, che c’hanno la terra e la moglie la lavora. Sono i pendolari, gente durissima, ottusi, senza un po’ di fantasia, pericolosi. Mica fascisti, ottusi proprio. PCI erano, pane e lavoro. […] Stavano qua a lavorare per anni, per tre anni, per dieci anni. Che uno invecchia subito e muore presto. Per quei quattro soldi che non ti bastano mai è solo un ottuso, un servo che può farlo. Restare per anni in questa prigione di merda e fare un lavoro che annienta la vita. Comunque questo qua ha il sospetto che voglio fargli il culo e allora abbandona il posto e ferma la linea. Arrivano i capi. Quando si ferma una linea si accende il rosso dove è stata fermata la linea e arrivano tutti i capi lí. Che succede? C’è questo che non vuole lavorare. Ma stai dicendo un’infamia, perché io sto lavorando, non ci riesco perché sto imparando. Mica sono intelligente come te, tu ci stai da dieci anni qua dentro è chiaro che uno come te impara tutto subito. […] Allora il capo mi dice: Senta a me sembra che lei vuole fare un po’ il lavativo. Invece deve mettersi in mente che alla Fiat si deve lavorare, non si deve fare il lavativo. Se vuole fare il lavativo vada a via Roma lí dove ci stanno gli amici suoi. Gli dico: Guardi io non lo so se a via Roma c’ho degli amici. Comunque io vengo qua perché c’ho bisogno dei soldi. Sto lavorando, non ho imparato ancora e quando imparo lavoro. Mi volete dare sei giorni di prova o no? Ma come sei giorni di prova, dice il capo, lei già sta da un mese qua. Sí, da un mese, ma stavo a quel posto là, non a questo qua. Adesso devo avere altri sei giorni di prova e lui il fuorilinea per sei giorni deve stare qua con me. Se no non faccio un cazzo. (nanni balestrini, vogliamo tutto) Al ministro Valditara, che annuncia una riforma perché questa contestazione non possa più ripetersi, verrebbe da dire che chi semina Invalsi raccoglie boicottaggi, e che siamo noi a non meritarci ragazzi che pensano con la loro testa e che si sottraggono al dogma della produttività in nome del minimo risultato utile. Personalmente, delle mie scuole superiori ho un ricordo pessimo: un edificio che assomigliava a un carcere, professori ignoranti come e più degli studenti (salvando la buona pace di un paio tra loro), competitività che fuoriusciva da ogni senga delle porte di legno scricchiolanti, incapacità dell’istituzione di fornire risposte adeguate a una platea molto eterogenea. Alla maturità presi 94/100 e se non mi venne in mente di non presentarmi all’orale è solo perché per prepararlo mi impegnai veramente poco, concentrandomi sul mio futuro. Chillu criaturo all’erta a destra, ‘o taglio a spazzolina: Vittorio Alfieri, terza C, foto ingiallita, tute d’a Lotto tutt’e juorne, niente Tod’s e Paciotti, Air Force 180 nera e blu cobalto, ‘o baffo bianco, ‘a scritta rossa ‘ncopp’o strappo identica e precisa ‘a scena ‘e Get rich or die trying, e io annanz’ ‘e vetrine ‘e Simon a Marano. ‘E 125 erano ‘a marce, sunnavo al massimo ‘a Leovinci sott’o motorino e ‘o gruppo Polini. “Chill’e Mani Pulite erano cchiù politici”, ma quanno maje nuje simm’ stati uniti… ‘E Stati Uniti e Porto Rico, è chello che vulesse ‘a Lega Nord: scennere ‘cca ‘a stagione, e sparagna’ ‘na cosa ‘e sorde. (patto mc ft. co’sang, da venti anni a mo’) (a cura di riccardo rosa)
La parola della settimana. Paternalismo
(disegno di ottoeffe) Giovedì il consiglio comunale di Napoli ha approvato una mozione che lo impegna alla rescissione di una serie di accordi con lo stato di Israele, nonché ad aprire una discussione con le università della città affinché anche i rapporti accademici tra gli atenei napoletani e quelli israeliani vengano interrotti. La mozione è stata approvata faticosamente dopo le pressioni della Rete Napoli per la Palestina, che aveva ottenuto la convocazione di un consiglio sul genocidio in corso, salvo poi scoprire che la seduta avrebbe avuto come oggetto una generica “crisi umanitaria a Gaza”. Ho trovato fastidioso il paternalismo con cui i giornali, ma anche le persone sui social, persino attivisti e militanti di vari gruppi, hanno commentato il discorso di G., una compagna del Centro culturale Handala Ali che ha fatto un ottimo intervento davanti al consiglio, simile alle dichiarazioni che si fanno in parlamento per spingere i membri dell’assemblea a un voto giusto. La cosa più rilevante è stata la capacità di G. di ri-bilanciare il rapporto tra la comunità cittadina – che aveva chiesto azioni concrete al Comune – e i suoi rappresentanti, a cui ha ricordato che se la città gli chiede di fare qualcosa, loro sono tenuti a (e pagati per) farlo. E invece è stato tutto un magnificare quanto questa ragazza fosse stata grintosa, decisa, chiara, “immensa”, “fantastica” e così via, tutti scioccati probabilmente dal fatto che G. sia giovane – ma nemmeno tanto: a cinque anni Mozart aveva già scritto il Minuetto e alla stessa età Torquato Tasso scriveva perfettamente in latino –, lucida, poco emozionata, e magari anche che parlasse bene l’italiano per quanto mezza palestinese (andrebbe spiegato che G. è palestinese ma anche napoletana, che fa già politica da un bel po’ di anni, è abituata a parlare in pubblico, a scrivere, e si fa un cu…ore così in giro per l’Italia per sostenere la Resistenza del suo popolo). Quando Macciocchi scrive il suo diario di campo, la rivolta delle nuove generazioni è in corso da mesi. Sulle bocche degli studenti sono rinate parole scomparse dal lessico del partito: rivoluzione, borghesia, proletariato. I giovani discutono della rivoluzione culturale cinese, di Che Guevara, del Vietnam, ma nel partito sono guardati con sospetto. […] I giovani rompono la burocratizzazione, le liturgie interne, i metodi antidemocratici. Se ne infischiano delle elezioni e della composizione delle liste. Per metterli in disparte si dice che sono immaturi, che devono fare esperienza. In federazione o nelle sezioni Macciocchi incontra ragazzi incuriositi da una donna che “parla come un uomo” e che rompe il vecchio schema della subordinazione femminile. Molte sezioni di periferia, annota Macciocchi, registrano in quei mesi una “secessione cinese”. Il partito si trincera dietro formule vuote – “la gioventù non è un fatto anagrafico”, “ci si trasforma restando uguali”, “rinnovamento nella continuità” –, slogan che rivelano solo una tenace resistenza al mutamento. (luca rossomando, le fragili alleanze) Alcuni tra quelli che posso considerare dei “maestri” mi hanno insegnato tempo fa, senza proclami ma facendomelo vedere giorno per giorno, che il modo migliore per non scivolare sulla buccia di banana del paternalismo è trattare alla pari il proprio interlocutore, indipendentemente dalla sua età, la sua condizione sociale, e tutto il resto. (credits in nota1) Quando ero alle medie, invece, avevo letto due o tre libri di Dickens. Mi erano piaciuti molto (mi piacciono tuttora) ma sentivo che c’era qualcosa che non andava e non riuscivo a capire. Anni dopo lessi un altro libro, di Orwell, che mi fece notare che il problema del paternalismo di Dickens nei confronti dei suoi personaggi poveri e sfruttati stava nel messaggio di fondo: tutti possono crescere e migliorare, anche (oppure solo?) da soli, comprendendo errori, modificando condotte, insomma dandosi da fare per uscire dalla propria condizione senza necessariamente sovvertire l’ordine delle cose. Ho discusso di Dickens in termini del suo “messaggio”, tenendo da parte le sue qualità letterarie. Ma ogni scrittore, soprattutto ogni romanziere, ha un “messaggio”, lo ammetta o no, e i più piccoli dettagli della sua opera ne sono influenzati. Tutta l’arte è propaganda. Né lo stesso Dickens né la maggior parte dei romanzieri vittoriani avrebbero pensato di negarlo. […] Ci viene detto che nella nostra epoca qualsiasi libro che abbia un genuino merito letterario avrà anche una tendenza più o meno “progressista”. Ciò ignora il fatto che nel corso della storia è stata infuriata una lotta tra progresso e reazione, e che i migliori libri di ogni epoca sono sempre stati scritti da diversi punti di vista, alcuni dei quali palesemente più falsi di altri. Nella misura in cui uno scrittore è un propagandista, il massimo che si può chiedere da lui è che creda sinceramente in ciò che dice, e che non sia qualcosa di incredibilmente sciocco. (george orwell, letteratura palestra di libertà) Il paternalismo di un uomo maturo che cerca di non farsi sedurre da una giovane di lui invaghita è un topos ricorrente della musica napoletana. Una bella canzone, seppur impregnata di questo paternalismo tendente a sminuire il sentimento (femminile), è Nun t’annammura’, cantata da Natale Galletta ed Emiliana Cantone: EC: Dimme pecché me ne cacce, pecché nun vuo’ chesti braccia… Nun me chiamma’ guagliuncella io so femmena già! […] NG: No, tu nun t’e ‘a ‘nnammura’ è colpa dell’età è solo n’attrazione che col tempo passerà…  L’ho riascoltata qualche giorno fa mentre ero al mare e pensavo a cosa scrivere in questa rubrica. L’algoritmo a quel punto si è attivato e mi ha proposto alcuni tra i pezzi cult della musica cittadina tra gli anni Novanta e Duemila. Mentre pensavo alla rubrica, però, pensavo anche, insieme ad alcuni colleghi dottorandi e dottorande, al testo di una dura mail che abbiamo poi scritto all’Orientale lamentando che per l’ennesima volta il bonifico con i soldi della borsa di ricerca che abbiamo vinto tre anni fa fosse in grosso ritardo. Pensavo, ascoltavo e mi appisolavo, e non so se sia stato sogno o realtà, mi sono trovato davanti il rettore Tottoli in costume da bagno, che mi dava una pacca sulla spalla canticchiando una vecchia canzone di Finizio che racconta di quanto all’amore faccia bene essere poveri (spoiler: non fa bene affatto). E chistu suonno t’o giuro m’ha fatto riflettere ca senza sorde l’ammore cchiù bello ‘o può vivere. Sulo ‘na sera te prego vestimmece a povere e senza machina a per’ te porto cu me: ‘na cammenata a Mergellina ‘nzieme a te senza nemmeno mille lire p’o cafè, dint’o pacchetto sulamente n’ati tre e me spartevo dint’ e vase ‘nzieme a te. (gigi finizio, ‘na cammenata a mergellina) a cura di riccardo rosa __________________________ ¹ Vittorio De Sica e Pierino Bilancione in: I giocatori / L’oro di Napoli, di Vittorio De Sica (1954)
La parola della settimana. Ingenuo
(disegno di ottoeffe) Credi davvero che sia sincero quando ti parlo di me?  Credi davvero  che mi spoglio di ogni orgoglio davanti a te?  Non credi di essere un po’ ingenuo? Non credi di essere rimasto un po’ indietro?  Non ti fidare mai: non sono gli uomini a tradire ma i loro guai.  (vasco rossi, credi davvero) “Quando ero più giovane e ingenuo” è uno dei miei incipit preferiti. Forse perché non mi dispiace invecchiare, né considerarmi sempre più furbo e scaltro con il passare del tempo (già a quindici anni, a dire il vero, pensavo di essere più sveglio degli altri). Quando ero più giovane e ingenuo, dicevo, pensavo che non potessero esistere persone omosessuali di destra. Credevo che se uno fa parte di un gruppo sociale, di una minoranza etnica, di una qualsiasi collettività che viene discriminata per il suo modo di essere, per la propria religione, per il proprio orientamento sessuale, subendo una limitazione di diritti da parte delle classi dominanti, non può che avere come obiettivo il rovesciamento della società che lo discrimina, l’abbattimento del potere, la costruzione di un mondo più giusto. Invece può accadere che neri d’America votino Trump; che i percettori di reddito di cittadinanza votino una che gli dice che glielo toglierà; che operai si astengano dal votare a un referendum che vuole abolire una parte delle leggi che ne limitano i diritti; che il gay pride venga sponsorizzato dalle multinazionali che fondano la propria ricchezza sulla divisione del mondo tra oppressori e oppressi; che il presidente dell’Arcigay e di una sezione dell’Associazione Partigiani (al secolo Antonello Sannino) partecipi a iniziative governative in un paese che sta sterminando una popolazione da quasi due anni, e che ci venga pure a dire di come gli israeliani sono bravi perché rispettano i diritti civili, o che alcuni di loro non condividono questo genocidio. Le recenti notizie relative alla partecipazione di esponenti del movimento LGBTQ+ italiano a iniziative promosse dallo stato d’Israele hanno scosso Arcigay Nazionale, che si è detta “non al corrente”, sottolineando come coloro che sono rimasti bloccati a Tel Aviv e che hanno preso parte a tali iniziative “lo hanno fatto a titolo personale”. Nel suo comunicato ha parlato di azioni “in contrasto con la linea politica di Arcigay su quanto sta accadendo in Medio Oriente”. Anche dalla più grande organizzazione LGTBIAQ+ italiana, dunque, giunge la condanna alla “sistematica strategia del rainbow washing” messa in atto dalle autorità israeliane, ribadendo la “narrazione tossica” fatta negli anni dal governo israeliano. “Arcigay rigetta con fermezza l’idea che la battaglia per i diritti LGBTQIA+ possa essere strumentalizzata per legittimare politiche belliche, aggressioni unilaterali o campagne di regime change”, stigmatizzando il coinvolgimento di attivisti e organizzazioni internazionali che prestano il fianco a tali narrazioni. (emanuela longo, gay.it) Conosco il presidente di Arcigay Napoli da molti anni. Non che l’abbia mai frequentato, ma incrociato spesso nell’ambito della sua carriera politica, sì. Ero già meno ingenuo, quando l’ho conosciuto, da potermi accorgere che si tratta di un uomo di destra, molto interessato al potere e alla legittimazione politica del potere. È stato un fedelissimo, e amico, dell’ex sindaco de Magistris, che ha celebrato il matrimonio tra Sannino e il suo compagno condendo l’iniziativa con la sua solita retorica populista (per tirare la volata al primo cittadino alle elezioni del 2016, tra l’altro, Sannino organizzò a pochi giorni dal voto un imbarazzante pride a Bagnoli, insieme al peggio del terzo settore cittadino, strumentalizzando le lotte territoriali e tutto quello che poteva strumentalizzare, raggranellando alla fine appena trecento voti). Attualmente è in fase di cambio casacca: ha ottimi rapporti con i pezzi grossi napoletani dei Cinque Stelle (su tutti la parlamentare Gilda Sportiello e il futuro presidente della regione Roberto Fico), con il sindaco e la segretaria del Pd Elly Schlein, e ha partecipato alla piazza per il riarmo dell’Europa il 15 marzo a Roma. È notoriamente insensibile, o cieco, rispetto alla politica coloniale e fascista dello stato di Israele, di cui è un esplicito supporter. “Ma se questo viene dalle favelas, perché sostiene un fascista che odia i neri e se potesse li sterminerebbe?”, mi chiedevo fino a un po’ di tempo fa ogni qual volta un Neymar, un Robinho o un Ronaldinho pronunciava un endorsement per l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Qualcosa di simile sta succedendo oggi in Argentina, dove un brutto colpo me l’aveva già rifilato el Titan Martin Palermo, sostenitore e amico del presidente Milei. Il governo sta infatti lavorando a una mega riforma del calcio nazionale, che prevede tra le altre cose l’eliminazione di ciò che resta dell’istituto giuridico per cui le società di calcio, anche professioniste, possono avere forma di una cooperativa popolare fortemente improntata ad attività sociali. Sponsor di questa operazione è Juan Sebastian Veron (ex Lazio, Inter, Chelsea e Manchester United), presidente dell’Estudiantes di La Plata e personaggio assai chiacchierato in patria, legato a grandi gruppi economici canadesi e statunitensi. Dall’altra parte, a tutelare quel che fu della mia ingenuità e a opporsi alla riforma, c’è Juan Ramon Riquelme, bandiera del Boca Juniors persino più di Maradona, attuale presidente che ha di recente fronteggiato la polizia in curva, durante una partita di campionato, per fermare gli scontri tra gli agenti e i suoi tifosi. Lasciatemi pensare che tutto questo c’entri col fatto che Veron è figlio di miliardari (il padre era un calciatore) e Riquelme nasce invece come un poveraccio, in una famiglia da undici figli in un sobborgo di Buenos Aires. Non è territorio per ingenui il processo penale, come è apparso evidente questa settimana, durante le udienze che hanno portato alla sbarra tre uomini palestinesi a L’Aquila (l’intera vicenda è ben ricostruita sull’ultimo numero de Lo stato delle città): il primo reo di supportare logisticamente un gruppo di partigiani che combatte conto l’occupante israeliano in Cisgiordania; gli altri solo, di fatto, di essere suoi amici. Eppure la cosa più divertente è quando gli avvocati fanno i finti ingenui per far dire le cose ai testimoni e gli imputati, come hanno fatto nel caso specifico i due della difesa – Rossi Albertini e Formoso – smascherando la superficialità delle indagini della polizia italiana, che (a un occhio poco ingenuo) sembra aver lavorato su commissione di una potenza straniera – lo stato di Israele, che di Anan Yaesh aveva chiesto invano l’estradizione. Avv.: Ispettore lei sa se in Cisgiordania ci sono altri gruppi armati? Silenzio. Avv.: Sa se ci sono formazioni che operano sul territorio, che posizioni politiche hanno, che rapporti con la popolazione? Silenzio. Avv.: Sa i nomi dei comandanti, su quanti militanti possono contare, quali sono le gerarchie? Teste: Non posso rispondere. Avv.: Non può rispondere o non lo sa? Teste: Il mio compito su questo materiale era quello di… Avv.: Non le ho chiesto quale era il suo compito, mi risponde sì o no? Teste: No. The less we say about it the better / Meno ne parliamo meglio è. Make it up as we go along: / Ce lo inventeremo strada facendo:  feet on the ground, head in the sky / piedi per terra, testa in aria. It’s okay, I know nothing’s wrong, nothing / Tutto ok, so che non c’è niente di male… niente. [talkin heads, this must be the place (naive melody) / deve essere questo il posto (motivetto ingenuo)] a cura di riccardo rosa
La parola della settimana. Tocco
(disegno di ottoeffe) Un’amica mi ha raccontato che nel piccolo paese da cui proviene è ancora molto in voga, pure tra i giovani, “Padrone e sotto”, antico gioco praticato in molte regioni meridionali. Funziona più o meno così: la prima parte è una partita a scopa a squadre, o una tirata a tocco; chi ha il punto di primiera più alto, o chi ha vinto il tocco, viene nominato “padrone”, mentre chi ha il secondo è il “sotto”; il sotto e il padrone decidono di volta in volta il giocatore che potrà bere dalla brocca o dalle bottiglie comuni, cercando di lasciare fuori qualcuno di non gradito. A volte, però, facendo finta di volergli offrire da bere a oltranza, i due cercano di mettere in mezzo uno dei partecipanti, concentrando su di lui le bevute per farlo ubriacare e denigrarlo. Non è detto che le alleanze portino al risultato prefissato, e in quel caso tanto vino sarà andato sprecato. Durante la prima presentazione di un libro che ho scritto molto tempo fa (La sfida. Storia del re della sceneggiata), alla Sala Assoli del Teatro Nuovo di Napoli, il maestro Pino Mauro, accompagnato da Franco Ricciardi, Carmine Paternoster e Marco Giusti, si mise a recitare Questione ‘e tuocco, di E.A. Mario, che parla di una vendetta all’arma bianca consumata durante una giocata a Padrone e sotto. Proprio accussì, tre anne carcerato pe ‘na quistione ‘e tuocco e mo’ so’ asciuto, maje s’è appurato ‘o fatto comm’è juto e ‘a chesta vocca maje se po’ appura’. Però nun fuje p’o vino, fuje pe’ ‘na parola ascette ‘mmiezo ‘o nomme ‘e ‘na figliola ca nun s’aveva proprio annumena’… – Meh, jammo’: a chi adda essere? Adda essere a vuje, ‘gnorsì cumpa’! […] Sbagliaje, curtellaje ‘nnucentemente a chi nun era ‘nfame comme a te, embè stasera ‘o vendico: chesta è pe’ isso, e chesta ‘cca è pe’ me! (pino mauro, questione ‘e tuocco) Si è ormai diffusa in diverse città d’Italia la pratica del Graduation day, durante il quale i neolaureati si ritrovano in una sede universitaria o in una piazza della città per celebrare il raggiungimento dell’obiettivo lanciando in aria il tocco, cappello che simboleggia la fine e il successo di un percorso di studio. A Novara in piazza dei Martiri erano, lo scorso weekend, in più di mille; a Macerata, in piazza Vittorio Veneto, diverse centinaia, provenienti da più di trenta paesi. Gli studenti sono stati salutati dal rettore McCourt, primo straniero a capo di un ateneo italiano, che ha esaltato la capacità dell’università nel formare i giovani “a capire, pensare, affrontare le complessità del presente”. Da più di un anno il rettore (membro del cda di UniItalia, ente che si occupa della cooperazione accademica internazionale) viene duramente contestato per gli accordi dell’università con atenei israeliani, accordi che non ha finora voluto rescindere, a differenza di quanto fatto con le università russe dopo l’invasione dell’Ucraina. (da: al jazeera) Dieci anni fa ricevetti in regalo per il mio compleanno un libro che riprende i migliori discorsi tenuti da Kurt Vonnegut ai laureandi, al termine dell’anno accademico. Il rettore voleva eliminare ogni forma di pensiero negativo dal suo discorso di saluto, e quindi mi ha chiesto di farvi quest’annuncio: “Tutti quelli che hanno ancora in sospeso il pagamento del parcheggio sono pregati saldare il conto prima di uscire da questo edificio, altrimenti si ritroveranno una sorpresina sul libretto”. Quando ero ragazzino a Indianapolis c’era uno scrittore umoristico di nome Kin Hubbard. Ogni giorno scriveva una freddura di qualche riga per l’Indianapolis News. […] Spesso era arguto quanto Oscar Wilde. Disse, per esempio, che era meglio avere il proibizionismo che stare senza alcool. O che chiunque sostenga che il sapore della birra analcolica si avvicina a quello della birra è incapace di misurare le distanze. Do per scontato che le cose veramente importanti vi siano già state insegnate nel corso dei quattro anni qui e non abbiate gran bisogno di sentire granché dal sottoscritto. Buon per me. Ho solo una cosa da dire: questa è la fine, questa è sicuramente la fine dell’infanzia. “Ci dispiace tanto”, come dicevano durante la guerra del Vietnam. (kurt vonnegut, fredonia college, new york, 20 maggio 1978) Ancora, a proposito di tocco e di università: gira su Youtube un video in cui padre Mike Schmitz, cappellano all’Università del Minnesota Duluth (una via di mezzo tra l’Hugh Grant di Nottingh Hill e lo Sturby di Marco Marzocca), spiega il rapporto tra sorte e Spirito Santo quando c’è da prendere qualche decisione importante. Nello specifico si parla di Conclave ed elezione del Papa: Una mia amica una volta mi ha detto: “Pensavo che tutto il processo fosse molto più… santo. Una cosa quasi mistica. Tipo, entri nella Cappella Sistina, ti metti in preghiera e chiedi allo Spirito Santo di guidare le decisioni”. Invece ha scoperto che i cardinali parlano, discutono, dibattono. Possono persino cercare consensi, cercare voti. E questo le sembrava… meno spirituale, diciamo così. Eppure, se torniamo alla Bibbia, vediamo che lo Spirito Santo agisce attraverso persone comuni, attraverso mezzi, eventi e circostanze che non ci aspetteremmo. Per esempio, negli Atti degli Apostoli, Giuda è morto, e gli apostoli si riuniscono per decidere chi prenderà il suo posto. Come scelgono tra Giuseppe il Giusto e Mattia? Tirano a sorte! È come se lanciassero i dadi per decidere chi sarà il prossimo apostolo. Non sembra molto santo, ma è proprio quello che fecero. E questi sono uomini che camminarono con Gesù, che furono istruiti e formati da lui. Eppure, dicono: “Non lo sappiamo. Tiriamo a sorte”. (fr. mike schmitz, da uccr online, davvero lo spirito santo elegge il nuovo papa?) https://napolimonitor.it/wp-content/uploads/2025/06/la-banda-tagliato.mp4 (credits in nota1) (a cura di riccardo rosa) __________________________ ¹ Totò e Peppino De Filippo in: La banda degli onesti, di Camillo Mastrocinque (1956)
La parola della settimana. Base
(disegno di ottoeffe) Ruinosa è senza la base del timor ogni clemenza. (torquato tasso, gerusalemme liberata; canto quinto) Sono giorni di attacchi missilistici incrociati tra Israele e Iran, attacchi che assai assomigliano a una guerra, e che un po’ di preoccupazione destano, considerando le potenze che ne sono protagoniste e il possibile innesco del sistema di alleanze internazionali. Israele ha presentato l’attacco come un’azione preventiva contro la minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano, sostenendo che l’Iran ha al momento troppo uranio arricchito, utilizzabile per quindici potenziali bombe (solo pochi mesi fa l’intelligence americana aveva escluso che l’Iran stesse allestendo un arsenale militare nucleare). L’attacco israeliano è partito da Teheran, e in particolare da una base segreta di droni costruita dal Mossad vicino la capitale. L’intelligence israeliana avrebbe sfruttato una rete logistica interna al paese per far entrare armi, veicoli e sistemi di comando. E già gli altri, insieme al glorioso Odisseo, stavano nella piazza di Troia, nascosti dentro il cavallo: gli stessi Troiani lo avevano tirato fin sull’acropoli. Così quello era lì: ed essi confusamente a lungo parlavano, seduti all’intorno: tre pareri piacevano loro, o infilzare il cavo legno con bronzo spietato, o gettarlo giù dalle rocce, trascinato fino a un dirupo, o lasciare che fosse un gran dono propiziatorio per gli dei. E proprio così poi doveva andare: infatti, era destino che essi perissero, appena la città avesse accolto il grande cavallo di legno, dove sedevano tutti i più forti degli Argivi, portando strage e rovina ai Troiani. E cantava come distrussero la città i figli degli Achei, calati giù dal cavallo, dopo aver lasciato la concava insidia. (omero, odissea VIII; vv. 485-522) Nelle ultime ore il governo iraniano ha annunciato che colpirà anche le basi degli alleati di Israele, facendo riferimento neppure troppo velatamente agli Stati Uniti. Proprio alcune mosse dell’imprevedibile Trump sono state, in realtà, secondo molti analisti, una delle cause indirette dell’accelerazione israeliana nell’avvio del conflitto: il criminale di guerra Netanyahu sarebbe stato parecchio indispettito dalla riapertura dei negoziati tra gli Usa e l’Iran sul nucleare, dalla tregua americana con i principali gruppi armati yemeniti e dall’apertura di un canale diplomatico e soprattutto commerciale (ovviamente si parla di armi…) con l’Arabia Saudita. Qualche giorno fa hanno dato in televisione Rain Man, film a dir poco sopravvalutato che si lascia guardare per la bellezza di Valeria Golino e per un paio di spunti indovinati. Il migliore, ma solo in lingua originale, è la ripresa di una vecchia gag di Abbott e Costello (in italiano Gianni e Pinotto), in cui i due discutono dei nomi dei giocatori di una squadra di baseball. Costello chiede al suo partner chi è il giocatore in prima base, e Abbott gli risponde che si chiama Who (che in inglese significa “chi”). “Who’s on first!”, continua a ripetergli, generando confusione nell’altro, il quale pensa che Abbott stia rispondendo alla sua domanda sulla posizione del giocatore (mi rendo conto che a spiegarla così non fa ridere, per cui meglio godersela in video e zitti): In chimica inorganica, si dicono “basi” quelle sostanze che in soluzione acquosa si scindono dando ioni idrossido OH-; oppure, parlando di sistemi acido-base, le sostanze in grado di acquistare uno o più protoni da un’altra sostanza (acido): hanno l’effetto di far divenire rossa una soluzione incolore di fenolftaleina, e azzurra una soluzione rossa di tornasole. In chimica organica, invece, le “basi” sono i derivati contenenti azoto, ottenuti sostituendo con radicali organici gli atomi d’idrogeno dell’ammoniaca o dell’idrossido d’ammonio. In riferimento agli stupefacenti, il termine indica la forma non-salificata di una sostanza che può essere vaporizzata o fumata (una forma che può avere un’assimilazione più rapida rispetto alla sua forma salificata, più comunemente usata per la somministrazione orale o endovenosa). Fra’, nun sì ‘e ccà, nun saje che ‘e a fa cu l’ammoniaca: scarfa a nuvanta grad’ int’a cucina, ‘e frate mieje so’ chef, io arap’ ‘e ristorant’. (luchè, ‘e cumpagne mie) In napoletano, “base” è anche una delle tante parole usate per indicare “la piazza” (di spaccio). Molti anni fa ascoltai a teatro un pezzo di Lanzetta che parlava della solitudine del “palo”, quello che fa la vedetta alla base per avvisare dell’eventuale arrivo della polizia, uno degli ultimi gradini della scala socio-criminale. Non di rado, in effetti, si tratta di poveracci a malapena organici al Sistema, che tirano fuori non pochi soldi per un lavoro che non sporca le mani e che forse proprio per questo, pur nella sua importanza strategica, è tenuto in poca o nulla considerazione. E guardie stanno ‘nculo, ormai se so’ ncullate vacce a spiega’ che ‘e a fa’ magna’ ‘e criature, biberon, ciuccio, pannuline e ‘n ce a faje cchiù a senti’ “pipì e puppù!”. Perciò staje abbascio all’edificio e cirche e te fa’ ricco, e si ce daje ‘o dentifricio sicc’ chill’ s’o pippa pure. Ma diciteme vuje: quale persona nun vulesse nu burzone ‘e Loui-V chin’ ‘e fasul’ e parti’ a luglio? ‘E a fa’ sule duje biglietti! Fitta ‘na vettura e vire comme te divierte, invece ‘e a bere latte Berna scaduto, si addeventato sgarrupo, t’adatti o fernisc’ int’a ‘na traversa vattutto cu tre ‘nfamune ca colpiscen’ a turno ‘a cavia d’a caccia notturna. Craccomani acrobati arrobbano ‘ncopp’ e balcune, perdono ‘o malloppo pe’ fujì d’e robocòp, Range Evoque, roba over’ io e Rocco! (nto ft. rocco hunt, quante cose) a cura di riccardo rosa
La parola della settimana. Livore
(disegno di ottoeffe) Una cosa che mi hanno insegnato molto tempo fa è che quando si scrive, o si interviene in un consesso pubblico, bisogna saper far emergere la rabbia ma occultare il livore. Rabbia: Irritazione violenta, spesso incontrollata, provocata da gravi offese, contrarietà o delusioni; oppure sorda e contenuta, dovuta a sdegno o dispetto, senso d’impotenza o anche di invidia. Livore: Astio o rancore astioso. (da: google.com) Una decina d’anni fa i redattori di Monitor mi fecero riscrivere più volte un pezzo-invettiva contro il gruppo comico dei Jackal, perché tracimava, appunto, livore da ogni parola. I video dei Jackal ammiccano caricando all’estremo i personaggi del cosiddetto “popolino”, enfatizzandone a dismisura il dialetto, le movenze, le abitudini più colorite, insomma tutto quanto si può reputare, a seconda della convenienza, ora pittoresco ora intollerabile. Anche quando non si dà addosso ai parcheggiatori abusivi o ci si fa beffe delle vrenzole (al limite della denuncia i video in cui due ragazzi discorrono tra loro, imitando male le donne dei quartieri popolari, con un accento taroccato quanto quello del poliziotto italo-americano dei Simpson), l’immagine della città è talmente stereotipata da risultare grottesca anche per il turista tedesco o americano. (riccardo rosa, the jackal, la napoli che viaggia in rete) Un giornalista molto bravo nel suo genere – quello di attaccare i potenti, in particolare quelli legati al mondo del giornalismo, con articoli al vetriolo ma lasciando sottoterra l’ascia del livore – è stato Nello Cozzolino, che per molti anni ha gestito un blog, dal nome Iustitia, interamente dedicato a questa funzione. Piccolo capolavoro è un pezzo del 2005 che smascherava l’ambiguo iter con cui il paladino della legalità Francesco Emilio Borrelli aveva ottenuto il tesserino di giornalista professionista. Il 25 novembre 2003 Borrelli comincia il praticantato giornalistico alla redazione di Lamezia Terme, un centro di settantamila abitanti della Calabria centrale affacciato sul Basso Tirreno. Lamezia ha l’aeroporto, ma non ci sono voli diretti con Napoli; per raggiungerla rimangono il treno, con tre ore e mezzo di Eurostar, se va bene, o 390 chilometri di autostrada. […] L’assunzione viene comunicata al neo-praticante dall’amministratore unico di Teleregione, Domenica Sarnataro, come il marito Giuseppe Giordano dal 21 ottobre agli arresti domiciliari. […] Ma torniamo a Borrelli e alle bizzarre modalità con cui viene assunto: teleradioreporter con contratto a contribuzione zero per l’editore […]; la precondizione per ottenere gli sgravi è lo stato di disoccupato di chi deve essere assunto. Anzi, la legge 407 è applicabile soltanto ai disoccupati di lunga durata, lavoratori che da almeno due anni sono in cassa integrazione o senza lavoro. Per ottenere gli sgravi, i dirigenti di Teleregione. […] Va infine segnalato che […] “non è possibile svolgere il praticantato quando si ha un contratto, anche di consulenza, in esclusiva con un ente pubblico (come il Comune o la Provincia di Napoli, ndr). Lo vietano gli articoli della legge 150 del 7 giugno 2000, che regola la comunicazione pubblica”. (nello cozzolino, un telereporter a lamezia terme) Col tempo credevo di aver imparato a distinguere anche io tra questi due nobili sentimenti, eppure in settimana, dopo la pubblicazione di questo articolo, una redattrice del giornale mi ha detto: «Ma alla vostra età scrivete ancora questi pezzi?» (in realtà il vero punto è che pezzi così non li scrivono i redattori e le redattrici più giovani, ma questa è un’altra storia). Mussolini è il più grande bluff d’Europa. Anche se domattina mi facesse arrestare e fucilare, continuerei a considerarlo un bluff. Sarebbe un bluff anche la fucilazione. Provate a prendere una buona foto del signor Mussolini ed esaminatela. Vedrete nella sua bocca quella debolezza che lo costringe ad accigliarsi nel famoso cipiglio mussoliniano imitato in Italia da ogni fascista diciannovenne. Studiate il suo passato. Studiate quella coalizione tra capitale e lavoro che è il fascismo e meditate sulla storia delle coalizioni passate. Studiate il suo genio nel rivestire piccole idee con paroloni. Studiate la sua predilezione per il duello. Gli uomini veramente coraggiosi non hanno nessun bisogno di battersi a duello, mentre molti vigliacchi duellano in continuazione per farsi credere coraggiosi. E guardate la sua camicia nera e le sue ghette bianche. C’è qualcosa che non va, anche sul piano istrionico, in un uomo che porta le ghette bianche con una camicia nera. (ernest hemingway, by-line) Lo scorso fine settimana è andato in scena a Roma il Cage Warriors 189, incontro di MMA tra l’irlandese Paddy McCorry e l’israeliano Shuki Farage. Dopo avere atterrato il suo avversario, il pugile irlandese lo ha bloccato a terra e mentre gli assestava altri colpi gli ha urlato più volte nelle orecchie di andare a fare in culo e, soprattutto, “Palestina libera!”. All’annuncio della vittoria, decretata all’unanimità dai giudici, McCorry ha alzato una bandiera palestinese e ha nuovamente gridato “Free Palestine!”, applaudito dal pubblico. Esattamente cinquant’anni fa usciva uno dei pezzi più belli e poetici di Joan Baez, scritto qualche mese prima, successivamente a una telefonata notturna del suo ex compagno Bob Dylan, che come sempre “lasciava vaghe le cose importanti”, ma la chiamava per capire se lei fosse ancora innamorata di lui. Con l’eleganza che la contraddistingue, Baez domina il livore e assesta due o tre colpi al suo vecchio amante (il più divertente è “unwashed phenomenon”, espressione con cui Dylan era stato definito anni prima da un portiere di un albergo nel quale avrebbe voluto prenotare una stanza, proprio insieme a Baez). La cantante alla fine scarica il suo poeta, dicendogli in sostanza che “ha già dato” e non ha intenzione di accettare più né i suoi diamanti né la sua ruggine. Qualche anno dopo, in un festival in Texas, Baez avrebbe cantato il pezzo cambiando le parole finali, e ricevendo un’ovazione al suo: “E se hai intenzione di offrirmi diamanti e ruggine… prendo solo i diamanti”. Now you’re telling me | E ora mi dici you’re not nostalgic | che non hai nostalgia then give me another word for it | e allora dammi un’altra parola per dirla you who are so good with words | tu che sei così bravo con le parole and at keeping things vague | e a lasciare le cose vaghe, ‘cause I need some of that vagueness now | perché ho bisogno di un po’ di quella vaghezza ora it’s all come back too clearly | che tutto mi torna così chiaro. Yes, I loved you dearly | Sì, ti ho amato dolcemente and if you’re offering me diamonds and rust | e se mi stai offrendo diamanti e ruggine I’ve already paid | ho già pagato. (joan baez, diamonds and rust) a cura di riccardo rosa