L’amore mio non muore: la scrittura invadente di Saviano e la memoria delle vittime dimenticate
DAL PALCOSCENICO DEL TEATRO AUGUSTEO DI NAPOLI, ROBERTO SAVIANO INTRECCIA POESIA
E CRONACA PER RESTITUIRE VOCE A ROSSELLA CASINI, GIOVANE UCCISA DALLA CAMORRA.
UN MONOLOGO CHE DIVENTA RIFLESSIONE CIVILE SULLA MEMORIA E SUL NUMERO ANCORA
DRAMMATICO DELLE VITTIME DELLE MAFIE.
Un teatro gremito, un silenzio sospeso, la voce di Roberto Saviano che scende
lenta, come un respiro trattenuto.
Così è iniziato L’amore mio non muore , in scena al Teatro Augusteo di Napoli:
un monologo che unisce fatti reali, poesia e memoria, restituendo presenza a una
giovane donna di cui si è parlato troppo poco.
Sul grande schermo compare il volto della protagonista, Rossella Casini ,
venticinque anni, studentessa fiorentina uccisa dalla camorra.
Saviano racconta che l’unica immagine rimasta di lei proviene da un vecchio
documento universitario, ritrovato molti anni dopo negli archivi dell’ateneo
dove studiava.
Un volto neutro, senza sorriso, come si usava all’epoca per le foto ufficiali.
Proprio per questo colpisce: è privo di posa e di difesa, e diventa un simbolo
di assenza, il ritratto di un giovane che la società ha dimenticato.
La sua storia è ricostruita attraverso frammenti, testimonianze, memorie
spezzate: il racconto di un cugino, le parole di un pentito, i pochi documenti
rimasti.
Saviano non ne fa un personaggio, ma una presenza viva. Dove i fatti non
bastano, chiede aiuto alla poesia.
Cita Apollinaire, Pavese, Rilke, Szymborska. A loro affidano le parti mancanti,
le domande senza risposta, le ferite che non hanno trovato voce.
All’inizio dello spettacolo, spiega con lucidità: «Non ho una scrittura evasiva,
ma invadente. Non voglio far evadere chi mi legge, voglio invaderlo di domande,
di dubbi, di inquietudini.»
È una definizione che rovescia l’idea di letteratura come fuga.
Saviano non cerca rifugio nella parola: la usa per entrare nella realtà, per
costringere lo spettatore a guardarla senza difese.
Sul palco alterna toni lirici e passaggi di analisi più dura.
Racconta la logica delle faide, la violenza come regola, la paura come
linguaggio.
E dentro quella spirale chiusa, Rossella appare come un gesto di libertà: una
giovane che credeva nell’amore più della vendetta, nella possibilità di rompere
le catene del potere criminale.
« Ho deciso di scrivere questo romanzo per raccontare la storia d’amore più
drammatica e potente in cui mi sia imbattuto.
Raccoglie tutti i colori dell’umano sentire: l’ingenuità e lo slancio, la
devozione e l’ossessione, l’amicizia, il desiderio, il coraggio, la delusione,
il fraintendimento, il tradimento e la tragedia.
Eppure la certezza che proprio nell’amare risieda l’unica possibilità di verità
e di senso non viene mai meno.
L’amore non muore. »
— Roberto Saviano , L’amore mio non muore (Einaudi, 2025)
Queste parole, lette o evocate sul palco, danno corpo al senso profondo
dell’opera: l’amore come atto di verità, come ultimo spazio di libertà
possibile.
Ma L’amore mio non muore non è soltanto una storia individuale.
È un invito a guardare più in profondità, a interrogarsi su quante altre vite
siano rimaste nell’ombra.
Secondo l’ Osservatorio Vittime Innocenti di Mafia , in Italia sono migliaia le
persone uccise dalla criminalità organizzata, spesso nel silenzio.
Molti erano cittadini comuni, giovani, donne, migranti, lavoratori.
Vite cancellate come se la loro morte non avesse peso, come se la violenza fosse
ormai una componente accettata del paesaggio sociale.
Saviano, con la sua “scrittura invadente”, riporta in superficie queste assenze.
Non come cronista, ma come testimone.
E nel farlo rinnova un gesto di resistenza che appartiene non solo al teatro, ma
alla coscienza civile di un Paese intero: opporsi alla normalità della violenza,
al tempo che cancella, al sonno delle coscienze.
Il messaggio che arriva da questo spettacolo supera i confini di una città o di
una nazione.
In ogni parte del mondo, la lotta contro l’indifferenza è la stessa: ridare voce
a chi l’ha perduta, riaccendere una memoria collettiva che unisca e non divida.
Perché l’amore, quello che resiste alla paura e alla morte, non muore davvero.
Muore solo il silenzio, quando qualcuno trova il coraggio di parlare.
Lucia Montanaro