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Moda etica e inclusione: a Brescia un progetto che cuce futuro e sostenibilità
In una delle province più produttive d’Italia, dove le fabbriche hanno fatto la storia del lavoro ma la disoccupazione femminile resta ancora una ferita aperta, un piccolo laboratorio sartoriale prova a cambiare il destino di molte donne. Si chiama Atelier Bebrél, e dietro a un semplice ago e filo si cela una rivoluzione silenziosa: un modello di inclusione sociale e sostenibilità che intreccia storie, competenze e nuove opportunità professionali. Dalla fragilità alla rinascita: la forza di un progetto Nato a Rodengo Saiano, nel cuore del bresciano, Atelier Bebrél è più di un laboratorio di sartoria creativa. È un luogo dove le donne in situazioni di fragilità – vittime di violenza, migranti, disoccupate di lunga durata – trovano una seconda possibilità attraverso la formazione e il lavoro. Il progetto prende forma grazie alla sinergia tra Punto Missione Onlus e Associazione Casa Betel 2000 Onlus, due realtà impegnate nell’accoglienza di donne sole e madri con figli. Qui la sartoria diventa strumento di autonomia, ma anche terapia, riscatto e comunità. «La consapevolezza che il lavoro è la chiave per costruire una nuova identità e un’integrazione sociale reale – spiega Silvia Daminelli, coordinatrice dell’Atelier – ci ha spinto a creare percorsi formativi aperti non solo alle nostre ospiti, ma anche alle donne del territorio, spesso escluse dal mercato del lavoro perché prive di competenze spendibili». Un modello formativo a cascata Oggi Atelier Bebrél ha compiuto un passo in più. Con il sostegno della Fondazione Marcegaglia e la consulenza di Mending for Good, ha avviato un innovativo percorso di formazione in moda sostenibile e upcycling. Il progetto è partito da un workshop intensivo rivolto a cinque professioniste dell’Atelier – una stilista e quattro sarte – che hanno acquisito competenze avanzate in riuso creativo e design circolare. Sono poi loro, in un modello “a cascata”, a formare oggi 15 donne in situazioni di vulnerabilità, moltiplicando così conoscenze, opportunità e autonomia. Non si tratta solo di corsi, ma di un percorso completo che include tirocini retribuiti e mentoring individuale, con l’obiettivo di un inserimento concreto nel settore della moda etica. «Vogliamo costruire un sistema di valore – spiega Alberto Fascetto, responsabile del progetto per la Fondazione Marcegaglia – dove la formazione diventa un trampolino per l’indipendenza economica e la dignità personale». Fotografia di Simona Duci Cucire per ricucire: il valore dell’upcycling Accanto al valore sociale, c’è una visione ambientale forte. Grazie alla collaborazione con Mending for Good, società specializzata in upcycling e design circolare, Atelier Bebrél impara a trasformare scarti tessili e materiali dimenticati in nuovi capi unici, di alta qualità e dal forte impatto etico. «Parliamo di rammendo nel senso più ampio del termine – spiegano Alessandra Favalli e Barbara Guarducci, fondatrici di Mending for Good –. Riparare un sistema significa considerare la responsabilità ambientale e sociale, rispettare le persone e il pianeta, creando circoli virtuosi tra artigianato e moda». Storie che diventano tessuti Dietro ogni cucitura, ci sono storie di vita. Come quella di Olga, arrivata a Brescia da Kiev nel marzo 2022, in fuga dalla guerra insieme alla nonna novantaduenne. A casa sua gestiva una sartoria, qui, grazie ad Atelier Bebrél, ha potuto ricominciare. Oggi coordina la linea creativa del laboratorio e guida altre donne nella produzione. «A Brescia ho trovato una nuova stabilità – racconta –. Lavorare di nuovo con ago e filo mi ha permesso di ricostruire la mia vita». O quella di Isabella, che dopo un lutto devastante ha ritrovato nel cucito una forma di rinascita: «Mi ha salvata. Lavorare in gruppo, creare qualcosa di bello insieme ad altre donne, mi ha ridato fiducia e voglia di vivere». Fotografia di Simona Duci   Simona Duci
Thailandia, le aziende di moda abbandonano le sarte
> Un imprenditore ruba lo stipendio alle sarte thailandesi. Ai suoi clienti, tra > cui Zalando e Otto, non sembra importare. Più di 900 sarte della società “Body-Fashion Thailand” attendono da oltre cinque anni salari, prestazioni sociali, bonus e indennità di licenziamento per un importo di sei milioni di euro. Le organizzazioni umanitarie parlano di uno dei più grandi «furti salariali» nell’industria tessile. Questo è ciò che Radio SRF ha recentemente reso pubblico. SENTENZE A FAVORE DELLE SARTE Le due fabbriche di “Body-Fashion Thailand” sono state chiuse durante la pandemia di coronavirus. I dipendenti sono stati licenziati senza preavviso. Nonostante diverse sentenze del tribunale a favore delle sarte nel 2022, le persone interessate non hanno ricevuto i pagamenti loro dovuti fino ad agosto di quest’anno. La sarta Prasit Koedphithak ha dichiarato al Worker-Rights-Consortium (WRC), specializzato in diritti dei lavoratori, che le spetta una somma di quasi 19.000 euro, interessi compresi. Non ha più un posto fisso e ha dovuto indebitarsi. IL PROPRIETARIO DELLA FABBRICA E GLI ACQUIRENTI “Body-Fashion Thailand” appartiene all’investitore malese Robert Ng. È proprietario di una rete mondiale di marchi e retailer. Tra le altre cose, è proprietario della Huber-Holding con sede in Austria, che oltre al marchio Huber comprende marchi di biancheria intima come Hanro, Sinky e Hom. Nel suo ruolo di proprietario di una fabbrica e di acquirente della merce, secondo la “Clean-Clothes-Campaign” è responsabile del furto dei salari. Non è in bancarotta e continua a lavorare nel settore. L’organizzazione umanitaria critica il fatto che lo Stato thailandese non chiami Ng a rispondere del suo operato da anni. MARCHI DI MODA E RIVENDITORI RIMANGONO PASSIVI Il WRC vede che anche i marchi di moda e i rivenditori hanno parte della responsabilità. Ng ha i mezzi finanziari per effettuare i pagamenti in sospeso. L’organizzazione statunitense critica il fatto che, nonostante il furto dei salari, i partner di vendita al dettaglio di tutto il mondo continuino a collaborare con Ng. Nei paesi di lingua tedesca, questi includono Otto, Kastner & Öhler, Peek & Cloppenburg, Zalando, Walmart e Amazon. Se i clienti condizionassero i loro rapporti commerciali con Robert Ng perché paghi i salari arretrati alle cucitrici “Body Fashion”, quasi certamente lo farebbe. Scrive WRC: “Sette milioni di dollari sono un prezzo relativamente piccolo da pagare per evitare la perdita permanente di fatturato derivante da queste relazioni commerciali.” Solo la rinuncia di questi marchi e rivenditori a ritenere Ng responsabile gli consente di arricchirsi, di violare la legge e di portare 900 famiglie alla rovina economica senza alcun costo per sé stesso o per le sue aziende.» La sarta Prasit Koedphithak ha espresso delusione per il fatto che i clienti di “Body-Fashion Thailand” non si siano impegnati per lei. Dopotutto, con il suo lavoro ha contribuito per molti anni anche ai loro profitti. “INCREDIBILE INDIFFERENZA MORALE” I clienti di Ng non hanno commentato le richieste delle organizzazioni umanitarie o hanno dichiarato di non essere responsabili della violazione dei diritti delle lavoratrici. Per Scott Nova, amministratore delegato del WRC, ciò è ipocrisia. In un settore in cui tutti i marchi e rivenditori affermano di preoccuparsi dei diritti dei dipendenti e dello stato di diritto, un ladro di salari come Ng dovrebbe essere messo al bando. Invece, è un partner commerciale ricercato. «L’indifferenza morale di queste aziende è incredibile». Le organizzazioni umanitarie hanno resi pubblici questi fatti per la prima volta alla fine del 2023 e già allora parlavano di “gigantesco furto di salari”. Nel frattempo è aumentato. -------------------------------------------------------------------------------- Traduzione dal tedesco di Filomena Santoro. Revisione di Thomas Schmid. INFOsperber