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David B. / Il grande male di vivere
P arliamo nuovamente di David B, ma questa volta provando a entrare nel mondo del fumettista francese attraverso l’adito del suo capolavoro più famoso.  Se ci sono infatti libri che con la loro apparizione segnano un prima e un dopo, non c’è dubbio che il nostro modo di intendere le graphic novel è cambiato per sempre dopo “Il grande male”, di cui Coconino propone ora una ristampa in edizione economica. La sua pubblicazione in Francia, in sei volumi a partire dal lontano 1999,  ci consegna infatti per la prima volta un autore di fumetti che prova, riuscendoci,  a mettersi completamente a nudo nell’autonarrazione della propria problematica adolescenza e della crescita come giovane adulto. Certo, il punto di vista autobiografico non è mai stato completamente estraneo al fumetto, e già artisti del calibro di Art Spiegelman e Robert Crunch, per fare due esempi illustri presi a caso,  non si erano tirati indietro quando si è trattato di “metterci la faccia”, comparendo all’interno di una propria opera.  Il caso di David B. è però sostanzialmente diverso, confrontabile, almeno in Europa, forse soltanto con Persepolis, l’autobiografia disegnata di Marjane Satrapi che vedrà la luce di lì a pochissimo. Se la durata è già di per sé un sintomo eloquente del processo creativo, va sottolineato che L’Ascension du Haut Mal è stato scritto nell’ arco di 20 anni, come una forma di interminabile autoterapia che vede Pierre-François crescere in conflitto con la grave malattia del fratello Jean-Christophe, un evento destinato a  sconvolgere  i Beauchard e a mutare radicalmente le loro vite. Si tratta di una strategia terapeutica che, ironicamente,  fa da contrappunto proprio alle varie terapie “alternative” e ai rispettivi guru, di volta in volta entusiasticamente appoggiati dalla madre, nell’incedere di una storia crudamente grottesca nei suoi risvolti umani. Siamo del resto nei primi anni ‘70 e la scia della cultura hippy, ormai riciclata come folklore mainstream, approda ora per disperazione anche nella borghese e acculturata famiglia Beauchard. La malattia,  il “grande male” del titolo, è infatti l’epilessia, un “male oscuro” che in forma grave è a fatica riconoscibile e, al tempo, incurabile per la medicina ufficiale. Anche il fumetto, tuttavia,  si rivela ben difficilmente prescrivibile come terapia di gruppo, e nessuno dei familiari di Pierre-François infatti si riconoscerà nella versione offerta dal libro (tanto meno la sorella, praticamente espunta dalla ricostruzione).  Qui David è un bambino combattivo e violento, che impara a crescere con i suoi mostri e a tradurre il suo furore nell’impeto della creatività. Perché Il grande male è,  soprattutto, questo:  l’evoluzione del suo sguardo sulla malattia del fratello.  E il conflitto tra i due esplode filtrato anche attraverso il grandangolo delle rispettive aspirazioni adolescenziali: quelle di  Pierre-François che alla fine assume il nom del plume di David B. per simpatia  con le vittime della Shoah, e quelle di un risentito Jean-Christophe che, privato di un infanzia,  si identifica con i peggiori autocrati del secolo scorso come Hitler e Stalin. Se si trattasse solo di questo,  faremmo però fatica a intendere la grandezza e l’originalità di quest’opera, oggi che quasi ogni graphic novel alza in pratica il sipario sui traumi giovanili del suo autore o della sua autrice,  riaffermando la regola fumettistica della autofiction.  La sua unicità consiste invece nel documentare, in parallelo al subbuglio esistenziale di  Pierre-François, l’avanzamento del mondo visionario di David B. Mentre assistiamo alla maturazione della sua vicenda umana, non possiamo infatti fare a meno di osservare come spettatori incantati un universo grafico in gestazione che sembra germinare direttamente dal quel composto di inquietudini e di esplorazioni giovanili che rendono Il grande male un grande romanzo di formazione. Un orizzonte artistico che,  tra demoni e fantasmi più o meno amichevoli, fonda la propria cosmologia attingendo da un crogiolo pressoché inestinguibile di stili, di culture e di epoche. Un mondo perturbante e notturno, ma non per questo meno familiare, impastato della stessa sostanza dei sogni o degli incubi,  dove le ombre delle figure che si allungano verso Pierre-François non rispettano  le leggi della prospettiva ma solo le proporzioni del suo inconscio.  Un mondo in bianco e nero che ad ogni tavola paga fino in fondo il  suo debito –  largamente riconosciuto dall’autore – con Hugo Pratt, Will Eisner, José Muñoz.     L'articolo David B. / Il grande male di vivere proviene da Pulp Magazine.
David B. – Éric Lambé / Agli Antipodi
il colonialismo come evidenza del paradosso umano, dell’incomunicabilità sostanziale fra culture e individui, delle false certezze – concrete e mistiche – basate sul fraintendimento e sul preconcetto. Antipodi, il romanzo grafico di David B. e Éric Lambé arrivato in Italia per Coconino Press, racconta il perenne conflitto fra familiarità culturale e comprensione del diverso. Lo fa attraverso dialoghi brillanti, disegni dai toni piatti a pastello e una chiara nota di ironia diffusa, che pervade l’intero racconto ambientato nel Brasile del XVI secolo. La storia segue lo scontro-incontro tra i coloni europei e la tribù Tupinamba, in particolare attraverso le avventure di Nicolas, francese cattolico inviato a vivere tra gli “indigeni” per impararne la lingua. Salvato da una morte per cannibalismo grazie alle sue capacità canore, il giovane si integra fra i nativi e impara a connettersi con quel mondo di usanze e credenze così distanti, soprattutto per un europeo di fede cattolica. Il ritmo è vivace e si segmenta fra discussioni concitate e momenti di riflessione, lotte all’arma bianca e rituali di danza, fughe in barca al chiaro di luna e quotidianità del villaggio. Antipodi è un libro abbastanza bizzarro e fuori dall’ordinario, non solo per la tematica al centro della narrazione – il colonialismo nel Sud America di cinque secoli fa – ma anche per la reinvenzione del segno grafico, che attinge al contemporaneo come alle incisioni del Cinquecento, alla xilografia come all’estetica delle miniature medievali. Le linee sono nette, le campiture sono piatte, creando spesso degli splendidi contrasti fra eleganza formale e aspetto naïf. La satira e il tono ai limiti del grottesco caratterizzano l’impostazione generale del volume, ma a colpire sono proprio i volti caricaturali dei personaggi, quasi maschere teatrali, che si stagliano in primo piano su tinte terrose e verdi smaglianti. Le tavole più belle restano però quelle di ambientazione notturna, dove la profonda intensità dei blu incornicia sia i momenti più romantici sia quelli più spirituali. Le violenze, sebbene presenti e addirittura ricorrenti, sono edulcorate dall’uso dei retini e delle texture, che vanno a sovrapporsi alle campiture e in qualche modo avvicinano il lettore alla comprensione del concetto di vita e di lotta per gli indigeni Una favola amara, dunque, ma soprattutto straniante, che segue le tendenze più interessanti del fumetto francofono contemporaneo per creare racconti a cavallo fra presente e passato. Un’opera ibrida che narra eventi realmente accaduti (la spedizione di Villegagnon in Brasile del 1555, documentata dai resoconti di Jean de Léry) ma li filtra attraverso il proprio interesse per il fantastico e il surreale. Per David B. e Éric Lambé si tratta soprattutto di una prova d’antitesi rispetto al loro passato autoriale, un’unione che dimostra la versatilità espressiva dell’illustratore belga e le capacità di esploratore storico del fumettista francese. Sfuggendo agli schemi commerciali – dato che Antipodi non può certo dirsi un fumetto dal potenziale pop – questa storia si apre tanto ai toni leggeri che alle questioni di drammatica importanza, creando un prodotto editoriale originale ma anche radicato nella tradizione della bande dessinée d’autore. L'articolo David B. – Éric Lambé / Agli Antipodi proviene da Pulp Magazine.