Festeggiate il cessate il fuoco, ma non dimenticate: Gaza è sopravvissuta con le proprie forze
di Ahmad Ibsais,
Al Jazeera, 9 ottobre 2025.
I leader occidentali ora rivendicano il merito della “pace”, ma la sopravvivenza
di Gaza appartiene solo al suo popolo.
I bambini palestinesi festeggiano a Khan Younis il 9 ottobre 2025, dopo la
notizia di un nuovo accordo di cessate il fuoco a Gaza. [AFP]
Il 7 novembre 2023, alcuni bambini si sono presentati davanti alle telecamere
dell’ospedale al-Shifa e hanno parlato in inglese, non nella loro lingua madre,
ma nella lingua di coloro che pensavano potessero salvarli. “Vogliamo vivere,
vogliamo la pace, vogliamo giudicare gli assassini dei bambini”, ha detto un
ragazzo. “Vogliamo medicine, cibo e istruzione. Vogliamo vivere come vivono gli
altri bambini“. Anche allora, a meno di un mese dall’inizio del genocidio, non
avevano acqua potabile, cibo né medicine. Hanno implorato nella lingua dei
colonizzatori perché pensavano che avrebbe reso comprensibile la loro umanità.
Mi chiedo quanti di quei bambini siano morti ora, quanti non siano mai arrivati
a questo momento di ”pace” e se siano morti continuando a credere che il mondo
avrebbe risposto alla loro richiesta.
Ora, quasi due anni dopo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump scrive di
essere “molto orgoglioso” della firma della prima fase del suo “piano di pace”.
Il presidente francese Emmanuel Macron loda e apprezza l’iniziativa di Trump,
mentre il leader israeliano Yair Lapid chiede al Comitato Nobel di assegnare a
Trump il premio per la pace. I leader si sono messi in fila per rivendicare il
merito di aver posto fine a un genocidio che hanno finanziato, armato e reso
possibile per due anni, e per i 77 precedenti.
Ma Gaza non aveva bisogno di essere salvata. Gaza aveva bisogno che il mondo
smettesse di ucciderla. Gaza aveva bisogno che il mondo permettesse
semplicemente alla sua gente di vivere sulla propria terra, libera
dall’occupazione, dall’apartheid e dal genocidio. Il popolo di Gaza aveva
semplicemente bisogno dello standard oggettivo, legale e morale generosamente
concesso a coloro che lo hanno ucciso. Il genocidio di Gaza ha messo a nudo un
mondo che predica la giustizia ma finanzia l’oppressione, e un popolo che ha
trasformato la sopravvivenza stessa in sfida.
Tutto questo per dire: gloria al popolo palestinese, alla sua fermezza e al suo
potere collettivo. I palestinesi hanno rifiutato di sottomettersi a una
narrativa imposta loro, quella di essere mendicanti in cerca di aiuto,
“terroristi” che dovevano pagare, o qualsiasi cosa meno di un popolo la cui
dignità meritava di essere difesa senza riserve o degradazioni.
Gaza non ha fallito. Noi sì. Gaza ha resistito quando il mondo si aspettava che
crollasse. Gaza è rimasta sola quando non sarebbe mai dovuto succedere. Gaza ha
resistito nonostante l’abbandono internazionale, nonostante i governi che hanno
finanziato la sua distruzione e ora si celebrano come artefici di pace.
Da uomo di fede, mi viene in mente questo:
“Quando viene loro detto: ‘Non seminate la corruzione sulla terra’, rispondono:
‘Noi siamo solo operatori di pace!’” (Corano 2:11).
Niente dice pace come due anni di fame, bombardamenti e fosse comuni, quando,
invece di consegnare cibo, hanno consegnato sudari.
E mentre Gaza sanguinava, i potenti perfezionavano l’arte della negazione. E
quando vedo la gente di Gaza festeggiare per le strade, so che questa festa
appartiene solo a loro, non a Donald Trump, che ha annunciato che visiterà la
regione per prendersi il merito di quella che definisce una “occasione storica”,
e non ai leader occidentali che hanno approfittato della devastazione di Gaza
fingendo neutralità. Le persone che si precipitano davanti alle telecamere per
prendersi il merito sono le stesse che hanno reso possibile il genocidio, che lo
hanno finanziato con miliardi di aiuti militari, lo hanno armato con missili a
guida di precisione e hanno fornito copertura diplomatica alle Nazioni Unite,
ponendo ripetutamente il veto alle risoluzioni di cessate il fuoco del Consiglio
di Sicurezza dell’ONU. Gli Stati Uniti hanno approvato ulteriori 14,3 miliardi
di dollari in aiuti militari durante il genocidio, aggirando più volte il
controllo del Congresso per fornire missili per elicotteri Apache, proiettili di
artiglieria da 155 mm, apparecchiature per la visione notturna e bombe bunker
buster che sono cadute sulle teste delle famiglie mentre dormivano.
Noi che viviamo nel comfort dell’Occidente dovremmo provare vergogna. Agli
americani piace immaginarsi dalla parte giusta della storia. Ci diciamo che se
avessimo vissuto durante il Jim Crow o l’Olocausto, avremmo fatto di tutto per
fermarlo. Ma in America ci sono 340 milioni di persone e non siamo riusciti a
impedire che le nostre tasse finanziassero lo sterminio. Non siamo nemmeno
riusciti a consegnare latte in polvere, mentre guardavamo i corpi dei bambini
deperire. Molti sono rimasti complici, hanno trovato scuse per l’inescusabile,
hanno incolpato i palestinesi della loro stessa morte e hanno voltato le spalle
all’orrore perché riconoscerlo avrebbe significato confrontarsi con il ruolo del
nostro governo nel finanziarlo. Il nostro fallimento non ha oscurato l’azione
dei palestinesi, ma l’ha resa più visibile.
L’unica pressione che contava proveniva dalle persone che Israele non poteva
zittire, i palestinesi che trasmettevano in diretta streaming la propria morte
affinché il mondo non potesse dichiararsi all’oscuro o accettare le falsità di
Israele come verità. Gaza è sopravvissuta grazie alla propria resistenza, una
resistenza a cui il suo popolo ha diritto. Il cessate il fuoco è arrivato perché
la fermezza palestinese ha spezzato qualcosa che le bombe non potevano toccare,
perché la facciata della vittimizzazione israeliana è crollata sotto il peso
delle atrocità trasmesse in diretta streaming e perché l’opinione pubblica
mondiale si è rivoltata contro Israele nonostante ogni sforzo per fabbricare il
consenso al genocidio. Ciò che è stato ottenuto è scritto nei registri delle
vittime civili, non nella sicurezza. Questo è ciò che ha costretto al cessate il
fuoco.
Il poeta più celebre della Palestina, Mahmoud Darwish, sapeva come sarebbe
andata a finire: «La guerra finirà. I leader si stringeranno la mano. La vecchia
continuerà ad aspettare il figlio martirizzato. Quella ragazza aspetterà il suo
amato marito. E quei bambini aspetteranno il loro eroico padre. Non so chi ha
venduto la nostra patria. Ma ho visto chi ha pagato il prezzo». Ora negoziano la
pace tra l’assassino e l’assassinato, il macellaio e l’ucciso, e lo chiamano
progresso. Il prezzo è stato pagato con il sangue palestinese. E da qualche
parte, una donna anziana, una giovane sposa o una figlia orfana stanno ancora
aspettando che i loro cari tornino a casa.
Ci deve essere piena responsabilità, non solo per Israele, ma per ogni governo e
ogni azienda che ha reso possibile questo genocidio. Ci deve essere
immediatamente un embargo totale sulle armi a Israele, sanzioni economiche fino
al completo ritiro dai territori occupati, libertà per gli oltre 10.000 ostaggi
palestinesi e risarcimenti per la ricostruzione determinati e distribuiti dagli
stessi palestinesi. I criminali di guerra devono essere perseguiti all’Aia,
indipendentemente da quale nazione si opponga. Questo è solo l’inizio. La
giustizia non è un’opzione diplomatica, è la misura minima della nostra comune
umanità.
La “pace” promessa dal piano di Trump è morta con ogni bambino di Gaza, ogni
famiglia sfollata e ogni giorno in cui il mondo ha definito il genocidio
“autodifesa”, ignorando la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del
2004 secondo cui un occupante non può invocare l’autodifesa contro gli occupati.
L’unico futuro giusto è la completa liberazione: uno stato democratico con pari
diritti per tutti, a cominciare dal diritto di Gaza di determinare il proprio
destino senza assedi, senza occupazione e senza il controllo straniero
mascherato da mantenimento della pace. Ma prima di tutto, il popolo di Gaza ha
guadagnato il diritto di piangere i propri morti, di contarli e seppellirli in
modo dignitoso e, soprattutto, di provare questo piccolo momento di gioia. I
palestinesi si sono guadagnati, attraverso sofferenze inimmaginabili, il diritto
di definire cosa sia la libertà. Il resto del mondo non ha il diritto di dire
loro il contrario.
Noi occidentali dobbiamo assicurarci che il mondo non torni alla normalità. Non
possiamo lasciarci cullare dalla temporanea cessazione dei bombardamenti aerei
mentre l’occupazione continua. Israele non può continuare come se non avesse
commesso il crimine più grave della nostra generazione. Le centinaia di migliaia
di palestinesi martirizzati e mutilati chiedono giustizia, che non può essere
negata.
Non possiamo riposare finché l’intero sistema di occupazione e apartheid non
sarà smantellato e sostituito dalla liberazione. Questo è solo l’inizio.
Palestina libera, dal fiume al mare.
Ahmad Ibsais è un palestinese americano di prima generazione e studente di
giurisprudenza che scrive State of Siege.
https://www.aljazeera.com/opinions/2025/10/9/celebrate-the-ceasefire-but-dont-forget-gaza-survived-on-its-own
Traduzione a cura di AssopacePalestina
Non sempre AssopacePalestina condivide gli articoli che pubblichiamo, ma
pensiamo che opinioni anche diverse possano essere utili per capire.