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Seán Binder rischia vent’anni di carcere per aver salvato vite
È possibile rischiare vent’anni di carcere per aver aiutato delle persone a non morire in mare? È quello che sta accadendo a Seán Binder, 31enne tedesco cresciuto in Irlanda, esperto di soccorso subacqueo. Tutto inizia nel 2018 a Lesbo, in Grecia, quando viene arrestato dalla polizia insieme alla rifugiata siriana Sarah Mardini e accusato di vari reati, alcuni dei quali molto gravi. Passa 106 giorni in carcere fino al dicembre 2018, quando esce su cauzione. Da allora si apre per lui un percorso fatto di indagini, perquisizioni, informazioni parziali quando non del tutto assenti. Le accuse legate a reati minori – falsificazione, spionaggio, uso illegale delle frequenze radio – vengono annullate nel gennaio 2023 per vizi procedurali, ossia la mancata traduzione degli atti. L’impianto accusatorio connesso ai reati più gravi è ancora in piedi. Il processo si apre il 4 dicembre. Seán deve difendersi dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, appartenenza a un’organizzazione criminale e riciclaggio e rischia fino a 20 anni di carcere. Oggi Seán vive a Londra e insieme a Valeria Solarino siamo andati a trovarlo per farci raccontare la sua storia. Valeria Solarino ha curato la regia del video; le riprese e il montaggio sono di Anna Coccoli e le musiche sono a cura dei Mokadelic. “Se vedi qualcuno annegare, lo aiuti” Seán Binder ha scelto di andare in Grecia nel 2016, quando aveva 23 anni. Di fronte ai blocchi, ai respingimenti, all’indifferenza dell’Europa nei confronti delle persone migranti e richiedenti asilo che perdevano la vita in mare, ha pensato che quell’Europa non lo rappresentava ed è andato a Lesbo per attivarsi con una Ong locale. Il caso di Seán rientra in una dinamica di criminalizzazione della migrazione e di chi opera in solidarietà con le persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate. Un approccio che si ritrova trasversalmente in tutta Europa e che, attraverso un uso distorto della normativa, colpisce singoli individui e Ong. Chi opera in solidarietà verso altre persone è in realtà un difensore dei diritti umani e, come sancito dall’omonimo Protocollo delle Nazioni Unite, il suo lavoro deve essere tutelato, non ostacolato. Siamo al fianco di Seán Binder e di tutte le persone criminalizzate solo per aver aiutato altri esseri umani. La solidarietà non è reato! Fai sentire la tua vicinanza a Seán, mandagli un messaggio e noi glielo consegneremo di persona. Cosa dice il diritto internazionale La lotta al traffico di esseri umani, su cui generalmente si basano i processi di criminalizzazione della solidarietà, dovrebbe al contrario incardinarsi nella creazione di percorsi di accesso regolari e sicuri, che tutelino i diritti delle persone in fuga. Le norme adottate dall’Unione Europea nel 2002 con l’obiettivo dichiarato di reprimere il traffico di esseri umani armonizzando la legislazione degli Stati membri in questo ambito – note come “pacchetto facilitatori” – e su cui attualmente sono in fase di negoziazione alcune proposte di riforma, devono essere in linea con il diritto internazionale: secondo il Protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, perché una condotta possa essere soggetta a criminalizzazione deve esserci l’intenzione “di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico o materiale di altro genere” (articolo 6). Il riferimento esplicito alla necessità che vi sia l’elemento del profitto affinché una persona possa essere perseguita penalmente è volto a tutelare le persone migranti, i loro familiari, le Ong e i difensori dei diritti, riconoscendo inoltre che l’attraversamento irregolare delle frontiere è spesso l’unica possibilità per le persone in pericolo. L’attuale quadro normativo europeo e dei Paesi membri ha invece consentito la criminalizzazione e il perseguimento penale di chi agisce in solidarietà. Approfondisci il nostro lavoro sul tema.   Amnesty International
Trieste, lo sgombero del diritto
In un contesto mondiale e nazionale che ha gettato in fondo al mare ogni residuo di diritto, arriva a Trieste la dichiarazione dello sgombero dagli edifici di Porto Vecchio dei migranti richiedenti asilo, bloccati nelle more burocratiche della Questura: trattati come il contenuto di bidoni di spazzatura da svuotare quotidianamente, nell’indifferenza complice dei molti. Mentre denuncia questo comportamento ‘illegale’ perché si tratta di persone aventi diritto, Linea d’Ombra continuerà quotidianamente in piazza e altrove la propria azione di solidarietà e di concreto sostegno a tutte le persone migranti. Se sgombero ci sarà, ribadisce l’urgenza di aprire i locali inutilizzati di Via Gioia cui osta solo un interesse elettorale…… Chiede inoltre ai cittadini di Trieste e a chiunque lo voglia di aiutarci nel quotidiano esercizio del diritto di vivere.   Redazione Friuli Venezia Giulia
Grecia: il tribunale assolve 11 richiedenti asilo accusati di traffico di esseri umani
Una sentenza destinata a segnare la giurisprudenza europea: il tribunale dell’isola di Samos ha assolto 11 richiedenti asilo dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sollevate contro di loro esclusivamente per aver assunto il controllo dell’imbarcazione che li ha condotti sulle coste greche. Si tratta di una decisione senza precedenti nel contesto delle politiche migratorie europee, da anni caratterizzate da una crescente criminalizzazione dei movimenti migratori autonomi. Una sentenza storica La Corte ha riconosciuto che il semplice atto di guidare una barca – in assenza di scopo di lucro o collegamenti con reti di traffico – non costituisce reato. È una pronuncia che conferma quanto denunciato da tempo da avvocati, attivisti e organizzazioni internazionali: cercare asilo non è un crimine, e guidare un’imbarcazione per salvare se stessi e altri dalla guerra o dalla persecuzione non può essere equiparato al traffico di esseri umani. L’organizzazione Human Rights Legal Project (HRLP), che ha rappresentato 9 degli 11 imputati, ha definito la sentenza “una pietra miliare” e “un passo necessario verso un futuro più giusto”. Gruppi come Aegean Migrant Solidarity e Community Peacemaker Teams che hanno seguito il processo da vicino, fornendo supporto legale, mediatico e umano ai richiedenti asilo coinvolti, hanno sottolineato come questa sentenza “è solo il minimo sindacale”: secondo il diritto internazionale, le persone non devono mai essere punite per essere state trafficate, che si tratti di richiedenti asilo o meno. La criminalizzazione in questi casi non è solo illegittima, ma profondamente immorale. Il principio di protezione: la Convenzione di Ginevra Fondamentale nella difesa è stato il richiamo all’articolo 31 della Convenzione di Ginevra del 1951, che stabilisce che una persona che entra irregolarmente in un paese per chiedere asilo non può essere penalizzata, a condizione che si presenti tempestivamente alle autorità e giustifichi la sua condotta. Nel contesto greco – e più in generale in Europa – questo principio è stato spesso ignorato, con la conseguenza che centinaia di richiedenti asilo sono stati accusati e incarcerati con pene durissime per il solo fatto di aver tenuto il timone durante la traversata del Mar Egeo. La pratica dei “boat drivers”: una strategia di sopravvivenza criminalizzata Negli ultimi anni, migliaia di persone sono state arrestate in Grecia con l’accusa di “traffico di migranti”, nonostante siano esse stesse persone in cerca di protezione. I “boat drivers” sono spesso coloro che, per disperazione o necessità, si offrono di guidare l’imbarcazione in cambio della gratuità del passaggio, oppure lo fanno in condizioni di emergenza, quando il timoniere designato non è in grado di continuare la traversata. Secondo i dati raccolti da Borderline Europe, Watch the Med – Alarm Phone e Refugee Support Aegean (RSA), la Grecia ha il più alto numero di detenuti per reati legati al traffico di migranti in tutta l’UE, con condanne che possono arrivare anche a 100 anni di carcere. La portata della sentenza di Samos è doppia: giuridica e simbolica. Giuridica, perché si tratta di 11 assoluzioni consecutive, un chiaro segnale di discontinuità rispetto alla prassi corrente. Simbolica, perché rappresenta un primo passo verso il riconoscimento ufficiale della non colpevolezza delle persone in movimento, sfidando una narrazione securitaria che vede nella migrazione irregolare un problema di ordine pubblico anziché una questione umanitaria. Ma la giustizia non è (ancora) uguale per tutti Dei dodici imputati iniziali, uno è stato condannato: si tratta dell’unico che non è riuscito a dimostrare la volontà o l’avvio di una procedura di richiesta d’asilo. Questo conferma quanto fragile e soggettivo sia, in molti contesti, il confine tra “migrante da proteggere” e “persona da punire”. Inoltre, tutti gli assolti avevano già trascorso tra i sei e i dieci mesi in detenzione preventiva, spesso in condizioni carcerarie difficili e con accesso limitato a interpreti e difesa legale qualificata. La detenzione preventiva viene spesso usata come forma di deterrenza e punizione anticipata, in violazione del principio di presunzione di innocenza. Verso un cambiamento sistemico? La sentenza di Samos apre la porta a nuove strategie di difesa legale e potrebbe essere usata come precedente giuridico in futuri casi simili. Tuttavia, serve un cambiamento più profondo: un’armonizzazione europea che impedisca l’uso punitivo del diritto penale nei confronti delle persone migranti. Il caso solleva domande cruciali per l’Unione Europea, in particolare sul rispetto dei diritti fondamentali, del principio di non discriminazione, e della proporzionalità della pena nei confronti di chi attraversa le frontiere per salvare la propria vita. Il verdetto di Samos non chiude un capitolo, ma ne apre molti altri. È una vittoria del diritto e della dignità, frutto della tenacia di avvocati, attivisti, osservatori, e delle stesse persone accusate ingiustamente. Ma è anche un promemoria amaro: la giustizia, spesso, va conquistata centimetro dopo centimetro. Guidare una barca per sopravvivere non è un crimine. La lotta per la libertà di movimento continua.  Fonti: @hrlpsamos @aegean_migrant_solidarity @cpt.ams Melting Pot Europa
Pistoia. Basta file disumane per ritirare permessi di soggiorno in Questura
È mai possibile che a Pistoia una persona immigrata per rinnovare o semplicemente ritirare il Permesso di Soggiorno debba mettersi in coda davanti all’Ufficio Immigrazione della Questura dalle 15.00 del giorno precedente? È mai possibile che debba trascorrere, nel … Leggi tutto L'articolo Pistoia. Basta file disumane per ritirare permessi di soggiorno in Questura sembra essere il primo su La Città invisibile | perUnaltracittà | Firenze.
Croce Rossa neutralmente complice
Fonte: No CPR Torino “Tutte le sue missioni la croce rossa la effettua mettendo in avanti il suo principio di neutralità. Ma la neutralità sceglie sempre il suo campo, quello del potere. Serve da garanzia agli stati per dare un … Continua a leggere→