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Dall’Amazzonia alla COP30: un docufilm per dar voce a chi resta inascoltato
Per dare spazio a giovani e comunità indigene nella crisi climatica globale, Change For Planet realizza HOPE, un documentario che racconterà la crisi climatica dal punto di vista di chi la vive ogni giorno: le realtà locali impegnate nella difesa dei territori, che la delegazione dell’associazione italiana incontrerà andando alla COP30 nel proprio viaggio da Manaus a Belém, attraverso l’Amazzonia. Mentre l’attenzione internazionale si concentra sulla COP30 di Belém, nel cuore dell’Amazzonia brasiliana, l’associazione italiana Change For Planet lancia HOPE, un documentario indipendente che racconta la crisi climatica dal punto di vista di chi la vive ogni giorno: comunità indigene, giovani e realtà locali impegnate nella difesa dei territori. HOPE nasce come un viaggio di ascolto e di incontro, in cui quattro giovani europei partono per il Brasile per attraversare l’Amazzonia e arrivare ai corridoi dei negoziati internazionali, portando con sé domande, storie e visioni di futuro condivise con le persone incontrate lungo il cammino. “Non vogliamo raccontare l’Amazzonia da lontano, vogliamo metterci in ascolto di chi la abita ogni giorno – spiega Roberta Bonacossa, presidente di Change For Planet ed executive producer del docufilm – HOPE nasce da qui: fare spazio alle voci che raramente arrivano nel dibattito pubblico, come quelle dei giovani sul clima, che invece rappresentano la spinta dal basso che abbiamo bisogno oggi per generare un cambiamento sociale e culturale a tutti i livelli ed in tutto il mondo”.   PERCHÉ HOPE, PERCHÉ ADESSO La scelta dell’Amazzonia non è casuale. La COP30 si terrà a Belém, nello Stato di Pará, una delle aree più colpite dalla deforestazione e dalle trasformazioni ambientali degli ultimi decenni. Qui la crisi climatica non è un concetto astratto, ma una realtà che tocca la vita quotidiana delle persone: significa terre sottratte, ecosistemi degradati, tradizioni e diritti messi sotto pressione. In questo contesto, HOPE sposta lo sguardo dai soli dati alle storie, raccogliendo testimonianze di chi resiste a modelli estrattivi, sperimenta pratiche di tutela e cerca di costruire forme di sviluppo più giuste e sostenibili. Il documentario seguirà il viaggio del team di Change For Planet a partire da Manaus, nel cuore dell’Amazzonia, dove i giovani attivisti incontreranno comunità indigene, comunidades ribeirinhas e realtà impegnate in percorsi di sviluppo sostenibile. Il percorso proseguirà poi verso Belém, dove il team parteciperà alla COP30 in qualità di Observer NGO. Accanto alle ferite lasciate da deforestazione e sfruttamento, HOPE vuole mostrare anche la capacità di immaginare nuove strade, di costruire alleanze e di affermare il diritto a un futuro giusto. Le immagini del viaggio, le parole delle comunità e lo sguardo dei giovani che arrivano dall’Europa compongono un racconto corale, umano e politico allo stesso tempo.   UNA PRODUZIONE INDIPENDENTE SOSTENUTA DAL BASSO Per garantire l’indipendenza del progetto e rendere possibile la produzione del documentario, Change For Planet ha avviato una campagna di crowdfunding dedicata. I contributi raccolti sosterranno le spese di viaggio e di ripresa in Brasile e il lavoro di montaggio e post-produzione. La campagna prevede anche alcune forme di ringraziamento per chi deciderà di sostenere il progetto, pensate per coinvolgere le persone non solo come donatrici, ma come parte della comunità che accompagna la nascita del documentario. “Chi sostiene HOPE non finanzia solo un film, ma contribuisce a costruire un racconto diverso sulla crisi climatica e sulla giustizia ambientale”, sottolinea Federico Fontana, regista di HOPE. La distribuzione di HOPE è prevista a partire da aprile 2026. Il documentario sarà presentato in festival e rassegne dedicate all’ambiente, ai diritti e al cinema, e sarà al centro di proiezioni con dibattito organizzate in collaborazione con scuole, università, associazioni e amministrazioni locali, enti e realtà sensibili ai temi del clima e dei diritti umani. L’obiettivo è usare HOPE come punto di partenza per aprire conversazioni su responsabilità, alleanze tra territori e ruolo delle nuove generazioni nella transizione ecologica.   PARTNERSHIP DI VALORE HOPE nasce all’interno di una rete di realtà che condividono l’urgenza di nuovi racconti sul clima. Il progetto è sostenuto dal main partner NATIVA, dai media partner Greencome e Materia Rinnovabile e dai community partner Smily, Ecoframes e Terralab, che aiuteranno a portare il documentario in percorsi educativi e momenti di attivazione sul territorio. “Dal clima al benessere umano: tutto è connesso – evidenzia Silvia Zanazzi, chief regeneration scientist di NATIVA – È tempo per le imprese di essere protagoniste della transizione e creare valore, adottando un approccio sistemico e andando oltre la carbon footprint, perché la perdita di biodiversità non ha un tasto ‘rewind’. Come NATIVA siamo entusiasti di partecipare e contribuire al progetto HOPE“. HOPE – Un documentario per dare voce all’Amazzonia Change For Planet è un’associazione di promozione sociale nata nel 2020 che lavora per l’empowerment giovanile sul clima e per la partecipazione attiva delle nuove generazioni nei processi decisionali. Attraverso percorsi formativi, progetti europei e attività di advocacy, promuove l’educazione climatica e il dialogo tra giovani, istituzioni e società civile. Dal 2021 partecipa alle Conferenze delle Parti sul clima come Observer NGO, portando nei negoziati la prospettiva dei giovani e contribuendo a rafforzare il legame tra spazi internazionali e territori. Redazione Italia
L’Italia torna in piazza per Gaza: migliaia alle manifestazioni di Roma, Milano, Bologna e Napoli
Dopo l’abbordaggio della seconda Freedom Flotilla da parte della Marina israeliana, la solidarietà con il popolo palestinese riempie ancora una volta le piazze italiane. A Napoli migliaia di persone da Piazza Municipio fino al Consolato Usa. Ci si abitua a tutto, anche alle piazze piene, anche alle bandiere che tornano a sventolare ogni settimana a Gaza. Ma non si dovrebbe. Perché dietro ogni corteo c’è un’urgenza che chiede ascolto. C’è una voce collettiva che non parla di lontananza, ma di responsabilità. Bisogna fermarsi un attimo, guardare davvero quei volti, ascoltare i cori gridati con forza e capire che in quelle parole c’è qualcosa che continua a volerci raggiungere. Non basta chi manifesta: serve anche chi ascolta, chi raccoglie quella traccia e la lascia andare lontano, come un battito d’ali, un piccolo effetto farfalla capace di cambiare qualcosa. LE PIAZZE ITALIANE PER LA FLOTTILLA 2 Dopo il rientro e la nuova partenza delle imbarcazioni della Freedom Flotilla, la cosiddetta Flotilla 2 , nuovamente intercettata nelle scorse ore dalla Marina israeliana, le piazze italiane hanno risposto all’appello con una mobilitazione diffusa da Nord a Sud. Roma, Milano, Bologna e Napoli, insieme a decine di altre città, sono tornate in strada per affiancare simbolicamente l’ultima missione umanitaria diretta verso Gaza e per chiedere la fine del blocco israeliano che da oltre diciassette anni isola la Striscia. Convocato con lo slogan “L’8 ottobre tutti in piazza!” , le manifestazioni hanno visto la partecipazione di migliaia di persone: una risposta corale alla nuova emergenza e all’arresto dei 145 attivisti, tra cui dieci italiani, fermati dalle IDF dopo l’abbordaggio delle nove imbarcazioni cariche di aiuti umanitari, tra cui medicinali, dispositivi respiratori e generi alimentari destinati agli ospedali di Gaza. Le organizzazioni promotrici, tra cui Freedom Flotilla Coalition, Giovani Palestinesi Italia, Movimento Studenti Palestinesi in Italia e Unione Democratica Arabo-Palestinese, hanno denunciato l’ennesima violazione del diritto internazionale e l’aggressione a una missione civile che portava aiuti e solidarietà al popolo palestinese. Da qui l’appello alla mobilitazione, rilanciato in poche ore sui social e accolto da centinaia di realtà solidali in tutta Italia. DA ROMA A MILANO: “BLOCCHIAMO TUTTO ANCORA” A Roma, il corteo partito dal Colosseo ha attraversato via di San Gregorio, piazza di Porta Capena e viale Aventino fino a piazza Ostiense, dove circa tremila persone hanno chiesto “Stop al genocidio”. A Milano, da piazzale Lodi a piazza Leonardo Da Vinci, gli attivisti hanno sfilato dietro lo striscione “Milano lo sa da che parte stare” , gridando “Palestina libera, dal fiume fino al mare” . A Bologna, piazza Maggiore si è riempita nel tardo pomeriggio, con centinaia di bandiere e cartelli a sostegno della Flottiglia. Manifestazioni e presidi si sono tenuti anche a Torino, Firenze, Genova, Palermo, Bari, Parma, Salerno e in decine di altre città, in un fronte unitario che ha unito studenti, sindacati, collettivi e reti per la pace. « Siamo pronti a bloccare tutto ancora », hanno scandito gli attivisti al megafono, richiamando lo spirito dello sciopero del 22 settembre e delle giornate di mobilitazione del 3 e 4 ottobre, quando portuali, studenti e lavoratori avevano dato vita a un’azione nazionale per chiedere la fine dell’assedio a Gaza e la rottura delle complicità italiane. NAPOLI LO SA DA CHE PARTE STARE A Napoli, centinaia di persone hanno risposto all’appello della Rete per la Palestina, radunandosi in piazza Municipio, di fronte all’ingresso del Comune. Dietro lo striscione “Blocchiamo tutto”, il corteo ha percorso via Caracciolo e via Santa Lucia, passando a pochi metri dalla Regione Campania, fino a raggiungere piazza della Repubblica, dove è stato fermato da un cordone di polizia davanti al Consolato degli Stati Uniti. Non si sono registrati incidenti, ma la partecipazione ha paralizzato per ore la viabilità cittadina tra via Acton, via Chiatamone e il lungomare. I manifestanti hanno sventolato bandiere palestinesi, intonato cori e mostrato cartelli con scritte come “La Palestina deve vivere” e “Napoli lo sa da che parte stare”. Il presidio, durato oltre tre ore, ha visto la presenza di numerosi sigle locali e attivisti indipendenti che hanno voluto testimoniare la propria vicinanza alla popolazione di Gaza e agli equipaggi della Flotilla. La mobilitazione è scaturita dal nuovo appello diffuso sui social dalle reti solidali e dai movimenti per la Palestina, che in poche ore hanno riportato la gente in piazza dopo la notizia del possibile intervento della Marina israeliana contro la seconda missione umanitaria, con a bordo anche nove cittadini italiani. “Stanno bene, ma sono stati espulsi immediatamente”, ha dichiarato il ministero degli Esteri israeliano, mentre la Freedom Flotilla Coalition ha denunciato “un’azione piratesca, un blitz a luci spente”. SOLIDARIETÀ E ASCOLTO Le piazze italiane tornano così a unirsi in una protesta che non si spegne. Dal primo abbordaggio della Global Sumud Flotilla il 1° ottobre fino a questa nuova operazione militare, cresce la consapevolezza di un legame diretto tra la società civile e la lotta per la libertà del popolo palestinese. Ancora una volta, da Napoli a Milano, da Roma a Bologna, migliaia di persone hanno scelto di esserci, con la voce, i corpi e le bandiere, per dire che il silenzio non è più un’opzione.     Lucia Montanaro