Tag - Università di Siena

La ministra Bernini trasforma la contestazione in “propaganda rozza e regressiva”
Nel pomeriggio del 7 ottobre si è svolta presso l’università di Siena una cerimonia di accoglienza per 5 studentesse e 1 studente palestinese. Alla cerimonia era presente la ministra Anna Maria Bernini che nel cortile del rettorato è stata contestata da studentesse, studenti, cittadine e cittadini con bandiere palestinesi. Nella serata la ministra ha diffuso un comunicato sui social (Instagram, Facebook, X) accompagnato da un un video accuratamente montato che potete vedere qui sotto. Il coordinamento del precariato dell’università di Siena ha diffuso un documento in cui il video è descritto come un “caso esemplare di propaganda istituzionale rozza e regressiva, costruita su una retorica oppositiva che divide da una parte gli studenti e le studentesse che contestano, additati come il “male” dell’università e, paradossalmente, come nemici della Palestina; dall’altra, il governo, autoproclamatosi difensore della libertà e dei diritti umani”. Pubblichiamo di seguito il video diffuso dalla ministra, il documento del coordinamento del precariato dell’università di Siena e, in coda, il video con il montaggio indipendente dei giornalisti di Fanpage che documenta in modo completo quanto accaduto e che si conclude con le studentesse palestinesi che dalle finestre del rettorato si uniscono ai cori “Free Palestine”. Questo il montaggio video diffuso sui social dalla Ministra Bernini. Comunicato del Coordinamento del Precariato Universitario di Siena Come ricercatrici e ricercatori precari dell’Università di Siena esprimiamo la nostra più ferma indignazione per il video diffuso dalla ministra Anna Maria Bernini in seguito alla sua visita al Rettorato. L’operazione comunicativa messa in atto – segnata da un linguaggio sensazionalistico, da una traccia sonora a effetto, emotivamente manipolatoria, e da un impianto visivo da spot governativo – rappresenta un caso esemplare di propaganda istituzionale rozza e regressiva, costruita su una retorica oppositiva che divide artificiosamente il campo in due: da una parte gli studenti e le studentesse che contestano, additati come il “male” dell’università e, paradossalmente, come nemici della Palestina; dall’altra, il governo, autoproclamatosi difensore della libertà e dei diritti umani. È un capovolgimento indegno e pericoloso. Un linguaggio che criminalizza il dissenso e tenta di legittimare moralmente un potere politico che, negli stessi due anni in cui gli studenti manifestano per la fine del massacro, ha firmato accordi militari e forniture d’armi a uno Stato responsabile del genocidio in corso a Gaza, e il cui presidente del Consiglio è stata denunciata alla Corte penale internazionale per complicità in genocidio. Ricordiamo alla ministra Bernini che è ministra di tutte e di tutti, non di una parte politica né del proprio partito. La funzione pubblica non si esercita attraverso la spettacolarizzazione del dolore, ma attraverso la tutela della verità, del rispetto e della misura istituzionale. Ancora più intollerabile è la strumentalizzazione della vita delle studentesse e degli studenti palestinesi, evocati nel video come simboli di successo ministeriale, mentre il loro arrivo a Siena è stato reso possibile non di certo dall’ostinazione o dalla pervicacia del governo, ma dalla tenacia delle lotte, dalla mobilitazione di chi non ha smesso di pretendere giustizia e dal lavoro costante degli uffici universitari. Come ricordato anche nella comunicazione del Rettore Di Pietra pervenuta ieri, il risultato è frutto del lavoro corretto e responsabile di molte e molti, fra cui: – il professor Federico Lenzerini, Delegato per studentesse e studenti e per ricercatrici e ricercatori provenienti da aree di crisi, che ha seguito con rigore gli aspetti diplomatici; – i Dipartimenti di Economia Politica e Statistica e di Filologia e Critica delle Letterature Antiche e Moderne, che hanno finanziato i bandi; – la Fondazione Monte dei Paschi di Siena, che ha garantito un contributo determinante; – l’Ufficio gender equality, human rights e politiche integrate – Sportello avanzato Just Peace, che ha gestito con professionalità e dedizione le procedure di selezione, accoglienza e tutoraggio. Un risultato doveroso, che arriva dopo mesi di ritardi e incertezze, e che non sarebbe stato possibile senza la pressione costante delle mobilitazioni studentesche e senza il lavoro concreto di chi, negli uffici e nei dipartimenti, ha operato con serietà e misura, adempiendo fino in fondo alla propria funzione pubblica. Riconoscerlo non significa esaltare l’istituzione, ma restituire la verità dei fatti e la dignità di chi ha lavorato con scrupolo, al di là e nonostante l’inerzia della politica. Ridurre tutto questo a una narrazione autocelebrativa, sostenuta da un montaggio patetico e da una retorica patriottica fuori luogo, è un atto di mistificazione e di vergogna. Offende la verità dei fatti, la dignità delle persone coinvolte e l’autonomia dell’università. L’università è, per sua natura, un luogo di libertà critica e di produzione condivisa del sapere: non può e non deve essere trasformata in strumento di consenso politico né in vetrina ministeriale. La ricerca nasce dal dubbio, non dalla propaganda; si fonda sulla responsabilità, non sull’obbedienza. La conoscenza, se vuole restare tale, deve opporsi a ogni tentativo di falsificazione e farsi strumento di verità, di solidarietà e di giustizia. Ci auguriamo che anche il personale strutturato e i vertici dell’Ateneo vogliano prendere posizione contro questa vergogna promozionale. Non si va nelle università per fare propaganda politica: si va nelle università per portare i fatti, per ascoltare chi le vive ogni giorno e per rispettarne l’autonomia, la verità e la funzione pubblica. La misura è colma. Questo il video diffuso da Fanpage. Qui potete leggere l’articolo di Lidia Ginestra Giufrida.