Indicatori matematici come strumenti di propaganda: la “dispersione implicita” INVALSI
Quando un fenomeno educativo viene descritto tramite un costrutto debole,
teoricamente infondato e scientificamente non validato ma espresso da un
indicatore numerico, quell’indicatore si trasformerà facilmente in un’arma di
distruzione matematica. È questo il caso dello pseudo-concetto di dispersione
implicita: introdotto nel 2019 dall’INVALSI e oggi diventato un indicatore
multiforme e assimilabile, a seconda delle circostanze, all’analfabetismo
funzionale, alla povertà educativa, al deficit di competenze, alla fragilità
degli apprendimenti degli studenti, fino a configurarsi come misura di un
presunto rischio individuale e sociale. Un costrutto tutto interno alla metrica
INVALSI e alle sue procedure di valutazione, oggi automatizzate e inaccessibili.
Gli esiti dei test INVALSI non sono verificabili, discutibili o falsificabili:
nemmeno dallo studente obbligato a svolgerli, e che oggi trova la
certificazione INVALSI direttamente nel suo curriculum digitale.
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Quando un fenomeno educativo viene descritto tramite un costrutto debole,
teoricamente infondato e scientificamente non validato ma espresso da un
indicatore numerico, quell’indicatore si trasformerà facilmente in un’arma di
distruzione matematica.
È questo il caso dello pseudo-concetto di dispersione implicita: introdotto nel
2019 dall’INVALSI e oggi diventato un indicatore multiforme e assimilabile, a
seconda delle circostanze, all’analfabetismo funzionale, alla povertà educativa,
al deficit di competenze, alla fragilità degli apprendimenti degli studenti,
fino a configurarsi come misura di un presunto rischio individuale e sociale.
Al Forum Ambrosetti di Cernobbio il Ministro Valditara ha prima messo in risalto
il calo del tasso di abbandono scolastico (che oggi si preferisce chiamare
dispersione esplicita: 8,3%, in anticipo sull’obiettivo europeo del 9%)
attribuendolo alle sue politiche nel quadro del PNRR (Agenda Sud e Decreto
Caivano). Ha poi richiamato l’attenzione sulla dispersione implicita,
dichiarando:
> “RISULTATI IMPRESSIONANTI; NON È UN CASO CHE L’OCSE MI ABBIA INVITATO IN
> COLLEGAMENTO CON PARIGI PER ILLUSTRARE QUESTO DATO [LA RIDUZIONE DELLA
> PERCENTUALE DI DISPERSIONE IMPLICITA DAL 2022 AL 2025 NELLE REGIONI
> MERIDIONALI], PERCHÉ È LA PRIMA VOLTA CHE UN PAESE RIESCE AD AFFRONTARE IN
> MODO COSÌ DRASTICO IL PROBLEMA DELLA DISPERSIONE IMPLICITA.”
Che l’OCSE chieda spiegazioni al Ministro suona alquanto incredibile,
innanzitutto perché questo indicatore non esiste nel dibattito internazionale,
anzi, non esiste al di fuori dei dati INVALSI.
Cos’è la dispersione implicita?
Il Presidente INVALSI la definisce “(quota di) studenti che non raggiungono il
livello di competenze minimo previsto. Coloro che, anche ottenendo il diploma,
non arrivano al livello 3 nelle prove di Italiano e Matematica e che non
raggiungono nemmeno il livello B1 nella lettura e nell’ascolto in Inglese”
(2019, invalsiopen).
Aggiunge poi che la dispersione implicita à “una misura a supporto
dell’individuazione della fragilità negli apprendimenti”, ovvero “un indicatore
di fragilità che permette di individuare precocemente studenti maggiormente
esposti ai rischi connessi all’insuccesso scolastico” (Tuttoscuola, 2022).
Si tratterebbe quindi della percentuale di studenti, misurata dall’INVALSI anno
dopo anno, che non raggiunge una soglia di adeguatezza nei test, soglia
stabilita dall’INVALSI stesso. Un costrutto tutto interno alla metrica INVALSI e
alle sue procedure di valutazione, oggi automatizzate.
E qui sorgono i problemi.
* Chi stabilisce quali lacune considerare accettabili, come e con quale grado
di legittimità e pubblicità, visto che le prove non sono accessibili e non
esistono standard di apprendimento minimo previsti nel nostro ordinamento
scolastico?
* Chi stabilisce le modalità di misurazione, i modelli probabilistici che
sintetizzano in punteggi numerici le risposte fornite per via digitale dagli
studenti e che qualificherebbero il loro “grado di competenza” ?
* Quali semplificazioni, quale livello di accuratezza ed errore, quale
riproducibilità?
* Infine, come verificare e controllare i dati, visto che oggi l’INVALSI
prevede l’uso di tecniche di machine learning per la correzione dei test?
Non a caso, è in attesa di riscontro un reclamo al Garante per la Protezione dei
Dati Personali, presentato da alcuni genitori con il supporto della FLC CGIL,
dopo che l’INVALSI ha negato loro l’accesso ai dati delle prove svolte dai
propri figli.
La “dispersione implicita” è un indicatore numerico privo di fondamento
scientifico. Il suo uso da parte di ISTAT, Save the Children, Fondazione Agnelli
o del Ministero del Merito non gli conferisce validità.
Basato su assunti non verificabili, serve più a legittimare un’ideologia:
presuppone che gli insegnanti non siano in grado di valutare correttamente e
attribuisce valore normativo e ora anche predittivo agli esiti delle prove
standardizzate. Lo studente “fragile” nei test INVALSI sarebbe potenzialmente a
rischio di marginalizzazione sociale e culturale. Davvero crediamo che le
risposte fornite da un ragazzo dai 7 ai 18 anni in qualche manciata di minuti
possa indicarci quale sarà il suo destino?
I test standardizzati sono “diseguali per costruzione” (Unequal by design, 2022)
ovvero progettati per produrre una certa percentuale di fallimenti: così li
definisce la letteratura critica internazionale, che da noi non trova voce nel
dibattito pubblico. Preferiamo non discutere della validità dello strumento, ma
solo della necessità di riformare continuamente ciò che quello strumento
pretende di misurare.
Questo articolo è stato ripreso da il Manifesto del 16.9.25.