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A chi vanno i soldi del taglio dell’Irpef?
La matematica è soltanto un’opinione. Evidentemente la pensa così il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, che – durante le audizioni del 6 novembre nelle Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato – ha risposto alle osservazioni dell’Istat, della Banca d’Italia, dell’Ufficio parlamentare di bilancio e della Corte dei Conti sul taglio dell’aliquota dal 35% al 33% del secondo scaglione dell’Irpef inserito dal governo nella manovra economica. Francesco Maria Chelli, presidente dell’Istat, ha detto chiaramente che a beneficiare del taglio dell’aliquota Irpef saranno i più ricchi: «Ordinando le famiglie in base al reddito disponibile equivalente e dividendole in cinque gruppi di uguale numerosità emerge come oltre l’85% delle risorse siano destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: sono infatti interessate dalla misura oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto. Il guadagno medio va dai 102 euro per le famiglie del primo quinto ai 411 delle famiglie dell’ultimo. Per tutte le classi di reddito il beneficio sul reddito familiare è inferiore all’1%». Fabrizio Balassone, vice capo Dipartimento Economia e Statistica della Banca d’Italia, ha evidenziato che il taglio dell’Irpef e le misure della manovra a sostegno dei redditi non comportano variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito. In particolare, «la riduzione dell’aliquota dell’Irpef per il secondo scaglione di reddito favorisce i nuclei dei due quinti più alti della distribuzione, ma con una variazione percentualmente modesta del reddito disponibile. Gli effetti dei principali interventi in materia di assistenza sociale si concentrano invece sui primi due quinti delle famiglie e sono anch’essi modesti». Ancora più netta la posizione dell’Upb, l’Ufficio parlamentare di bilancio, che sottolinea come la riduzione di due punti di aliquota Irpef «riguarderà poco più del 30% dei contribuenti (circa 13 milioni, che sono oltre i 28.000 euro di reddito), determinando a regime una riduzione di gettito Irpef di circa 2,7 miliardi». La presidente dell’Upb, Lilia Cavallari, ha evidenziato che «circa il 50% del risparmio di imposta va ai contribuenti con reddito superiore ai 48.000 euro, che rappresentano l’8% del totale», precisando che «il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati e 23 euro per gli operai; per i lavoratori autonomi è di 124 euro e per i pensionati di 55 euro». Sul taglio dell’Irpef è intervenuta in modo critico anche la Corte dei Conti. «Non si può tuttavia non osservare come oltre il 44% delle risorse a ciò destinate sia riferibile a contribuenti con reddito compreso tra 50 e 200 mila euro», ha detto Mauro Orefice, il presidente di coordinamento delle Sezioni riunite in sede di controllo della Corte dei Conti. Il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, dopo aver ascoltato tutte queste autorevoli valutazioni tendenzialmente negative, come se nulla fosse stato detto, ha comunque rivendicato la riduzione dell’aliquota dell’Irpef dal 35% al 33%, poiché «tutela i contribuenti con redditi medi, ed estendendo la platea di chi aveva beneficiato del cuneo fiscale coinvolge il 32% del totale dei contribuenti per un valore del beneficio medio atteso di 218 euro all’anno, che arriva a toccare per la fascia più alta interessata i 440 euro». Tutti i calcoli matematici e le istituzioni preposte smentiscono che l’intervento di riduzione dell’Irpef riguardi sostanzialmente il ceto medio. Persino il ministro Giorgetti di fatto ammette che il beneficio andrà soprattutto a favore della fascia più alta dei redditi, ma contemporaneamente – in modo palesemente contraddittorio – persiste nel sostenere che si tratta dei “redditi medi”. Sarebbe più onesto che il ministro dicesse con chiarezza che la propaganda è diversa dalla realtà. La propaganda è che si tagliano le tasse al ceto medio. La realtà che si regalano 2,7 miliardi ai redditi più elevati. Con quei soldi sicuramente si potrebbe fare qualcosa di più utile e necessario per questo Paese. Rocco Artifoni
Fisco: il ceto medio immaginario
C’era una volta la progressività fiscale. La scrissero nell’art. 53 della Costituzione come criterio per istituire il sistema tributario. Negli ultimi decenni – attraverso la riduzione degli scaglioni dei redditi, l’introduzione di tassazioni separate e l’ampliamento delle “flat tax” – di fatto è stata progressivamente tradita l’indicazione dei costituenti. Oggi siamo arrivati al paradosso di dichiarare che a pagare le imposte sono soltanto i ricchi. «Chi guadagna dai 60 mila euro in su, di fatto, finisce sempre per pagare per due: per sé e per chi resta totalmente a carico della collettività. È la trappola del ceto medio: molti ricevono senza dare, pochi danno senza ricevere». L’affermazione – in occasione della dodicesima edizione dell’Osservatorio sulle entrate fiscali, a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, presentata il 30 settembre alla Camera dei Deputati – è di Stefano Cuzzilla, presidente della Confederazione Italiana Dirigenti e Alte Professionalità. La maggior parte dei mezzi di comunicazione ha riportato la notizia con questo titolo: “L’IRPEF sulle spalle di pochi. Il ceto medio la paga per tutti”. Anche l’attuale Governo continua a promettere che nella prossima legge di bilancio ci sarà un intervento a favore del ceto medio, alleggerendo l’aliquota IRPEF intermedia dal 35% al 33%, possibilmente alzando il tetto dello scaglione fino a 60mila euro. Il risultato effettivo sarà che i contribuenti con redditi superiori a 60mila euro usufruiranno della maggiore diminuzione di imposta (1.440 euro). Peccato che tutti si scordino di segnalare che gli italiani con redditi sopra i 60mila euro sono 2,1 milioni e rappresentano soltanto il 5% del totale dei 42,5 milioni di contribuenti. È del tutto evidente che considerare “ceto medio” il 5% più ricco è ridicolo oltre che un insulto alla logica. In realtà, in Italia il reddito medio dei contribuenti è di 24mila euro annui, mentre il reddito mediano (cioè il reddito di chi si trova nel mezzo della classifica dei contribuenti) è soltanto di 20mila euro. “In medio stat virtus”, scriveva Aristotele. Il problema sta nel comprendere dove si trova il “medio”. Tanto più che il filosofo greco affermava che “la virtù sta nel mezzo” per esortare a cercare l’equilibrio e la moderazione, rifuggendo ogni esagerazione. Oggi invece dilagano gli estremisti camuffati da moderati, dimenticando che “tutti devono concorre alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art. 53 Costituzione). Se molti non contribuiscono, probabilmente significa che ci sono troppi poveri e anche troppi evasori fiscali. E sempre più spesso si dà la colpa ai primi, mentre si perdona i secondi, attraverso la “pace fiscale”, l’unica pace di cui abbiamo notizia. Come scriveva Francis Bacon: “Niente provoca più danno in uno Stato del fatto che i furbi passino per saggi”. Rocco Artifoni