Tag - Yom Kippur

Chi più può seguire l’ipocrisia delle leggi degli uomini e degli dei?
Quando norme e riti diventano maschere, resta solo il comandamento dell’amore. Nell’attualità, la contraddizione tra leggi umane e leggi divine si rivela con una chiarezza quasi dolorosa. Da un lato, i confini marittimi tracciati dalle norme internazionali autorizzano persino l’arresto di volontari che cercano solo di portare aiuto, come nel caso delle flottiglie dirette verso popoli assediati. Dall’altro lato, lo Yom Kippur, con la sua sacralità rituale, immobilizza un intero paese per invitare alla riflessione, al digiuno, al pentimento. Due forme di legge che sembrano opporsi: una che giustifica il potere e la forza, l’altra che richiama l’interiorità e la coscienza. Ma entrambe, se svuotate di verità, rischiano di diventare maschere. Le leggi umane si proclamano strumenti di ordine e di sicurezza, mentre spesso producono ingiustizie, guerre ed esclusione. I riti divini si proclamano vie di riconciliazione, ma se restano prigionieri della forma possono convivere con la violenza quotidiana, senza interrogarla davvero. È qui che l’ipocrisia diventa evidente: quando la norma o il rito si trasformano in alibi, invece che in strade di giustizia. Che crollino pure dunque! È arrivato il momento! Il Vangelo, invece, dice senza compromessi: “Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questo” (Mc 12,31). È questa la sola legge autentica, la sola che smaschera l’ipocrisia delle altre, la sola che non conosce confini né riti, ma chiede di essere incarnata ogni giorno, nel gesto umano della cura, dell’ascolto, della solidarietà. Chi non riconosce il volto del Buon Samaritano nella flottilla che attraversa il mare, chi non vede in quell’atto la legge dell’amore, allora si ritiri puro nel silenzio del nulla. Stefania De Giovanni
Saluti dalla Global Sumud Flotilla mentre ci avviciniamo definitivamente a Gaza
David Adler è un ragazzo ebreo a bordo della Global Sumud Flotilla… riporduciamo il messaggio che ha mandato su X. Oggi vi scrivo una lettera molto personale, una lettera su cosa significhi per me essere ebreo e intraprendere una missione che mi porterà nella “Zona Rossa” durante lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario ebraico. Non scrivo quasi mai “come ebreo”. Condivido la stanchezza di essere costretto a mettere al primo posto i sentimenti ebraici, quando un genocidio è stato commesso in nome dell'”interesse nazionale” sionista e quando gli attivisti sono stati arrestati, torturati e deportati in nome della nostra “sicurezza”. Ma oggi mi sono sentito in dovere di scrivere su quel registro, in quanto uno dei pochi ebrei impegnati in questa missione, che riunisce oltre 500 persone provenienti da più di 40 paesi in tutto il mondo. Credo che la scelta di questa flottiglia non sia casuale. Al contrario, ritengo sia una benedizione che l’intercettazione si avvicini all’inizio dello Yom Kippur, il nostro giorno annuale di espiazione, che ci invita a riflettere sui nostri peccati e su cosa possiamo fare per ripararli nello spirito del tikkun olam. Come possiamo espiare ciò che è stato commesso in nostro nome? Come possiamo chiedere perdono per i peccati che si moltiplicano di ora in ora, mentre bombe e proiettili piovono su Gaza? Come potremmo prendere sul serio il nostro mandato di “guarire il mondo” quando lo Stato di Israele è così determinato a distruggerlo? Se c’è una parte della Torah che ricordo ancora, è questo obbligo che ci impone: “Giustizia, giustizia perseguirai”. Come potremmo restare a guardare mentre lo Stato di Israele perverte questo sacro obbligo, sovrintendendo all’olocausto del popolo palestinese? Mi sono unito a questa flottiglia come qualsiasi altro delegato, per difendere l’umanità, prima che sia troppo tardi. Ma durante lo Yom Kippur, mi viene ricordato che sono qui anche perché la mia eredità ebraica lo richiede. Da adolescente, mio nonno Jacques Adler (nella foto) si unì alla resistenza parigina contro i nazisti, rischiando la vita per sabotare le loro operazioni, mentre i suoi amici e familiari venivano mandati a morire nei campi di concentramento. Questa è la tradizione alla quale sono chiamato e la definizione di “giustizia” che sento fedele alla mia identità ebraica, poiché la stessa rabbia genocida che ha preso di mira i miei antenati è ora assunta dalle sue principali vittime. Yom Kippur è un giorno di digiuno, un modo per manifestare la nostra espiazione in forma fisica. Ma negli ultimi due anni, la popolazione affamata di Gaza non ha avuto altra scelta che rinunciare al pane quotidiano. Se le forze israeliane ci intercettassero durante lo Yom Kippur, allora vediamo cosa significa la vera espiazione. Non digiunare in tutta comodità mentre si fanno morire di fame i propri vicini. Non pregare in sicurezza mentre si sganciano bombe sulle loro teste. Espiazione significa azione. Quindi, mentre stasera tramonta il sole e inizia il digiuno, spero che i miei confratelli ebrei si uniscano a me nel ridefinire il loro approccio all’espiazione, insieme alla preghiera silenziosa, e verso un’azione coraggiosa per porre fine a questo orribile genocidio. G’mar chatima tova. David Adler Redazione Italia