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Thomas Brussig / Adolescenza a Berlino Est
Sonnenallee, letteralmente il viale del sole, è il racconto delle vite collettive di una banda di giovanissimi, un potenziale, in quel piccolo pezzo di strada di Berlino est strappato alla Germania ovest, a ridosso della “striscia della morte” del Muro, permanentemente vigilata da militari che sparano a vista contro qualsiasi tentativo di fuga verso l’occidente. L’autore è Thomas Brussig, classe 1965, quindi praticamente quasi coetaneo di Lutz Seiler, anche lui nato (nel 1964) nella Repubblica Democratica Tedesca e autore di Stella 111, un vero e proprio romanzo di formazione a ridosso della caduta del Muro, recentemente tradotto in italiano per Utopia editrice, mentre qui siamo dalle parti di un breve romanzo di fantasmatiche memorie nella Berlino est, prima della caduta di quel Muro, ma scritto nel 1999 (già pubblicato da Mondadori nel 2001) e ora giunto a un tardivo successo globale: una seconda vita, grazie alla traduzione statunitense di Jonathan Franzen che qui scrive la postfazione e che aveva ambientato una parte di Purity (2015) proprio nella Berlino orientale degli anni Ottanta del Novecento. Il libro è allora una sorta di favoloso e favolistico racconto lungo suddiviso in quattordici brevi capitoli, sempre pronto a strappare sorrisi e risate a scena aperta, perché a tratti picaresco e spavaldo, ironico e malinconico al contempo, bonariamente corrosivo contro le ottusità del realismo socialista e anche incantato dalle vite narrate in soggettiva di questi adolescenti, in presa diretta, dentro e contro la Storia che si muove, apparentemente lenta e inesorabile. Anche se di lì a poco precipiterà con tutto il Muro. E si tratta proprio della Storia con la esse maiuscola. In apertura quella di Stalin che, in lotta con Truman e approfittando del mozzicone spento di Churchill, riesce a sottrarre quei sessanta metri dei restanti quattro chilometri di Sonnenallee a Berlino ovest. Mentre la conclusione delle avventure della banda è affidata alla miracolosa apparizione di quell’uomo dalla grande voglia rossa sulla fronte, ben riconoscibile, eppure rimasto senza nome, perché “il russo miracoloso, con una risata, era già risalito in macchina e ripartito”. In mezzo ecco questi gioiosi “ragazzi terribili” alle prese con le gabbie ideologiche e materiali che li circondano, ma decisi a farsene beffe, in qualsiasi imprevedibile modo. Una collettiva fuga sul posto, una fuga da fermi, agitati e intrappolati nei microscopici appartamenti a ridosso del Muro, e allora sempre in strada, in mezzo alla via, dove qualcosa di divertente, e certo anche pericoloso, può sempre succedere. Un’attitudine e una postura universale dell’adolescenza, ma lì il Partito è subito pronto a imporre un contributo al dibattito per qualsiasi banale sgarro, mentre i genitori sono ossessionati dai vicini, temuti agenti della Stasi oppure no? E allora il (co)protagonista Micha si perde nell’innamoramento di Miriam, la ragazza più clamorosamente bella della zona, l’evento di Sonnenallee, che si bacia con i ragazzi dell’Ovest, mentre lascia il nostro con una inappagata promessa, per combattere la tristezza, che pure serpeggia costantemente nelle loro vite:“visto che sai che prima o poi ti bacerò non potrai mai essere davvero triste”. Chi dice una frase così deve saperla lunga sull’attesa, il desiderio e la speranza, ovvero tutte quelle cose con cui passiamo la maggior parte del nostro tempo. Nel frattempo, basterà un odioso colpo di vento per far volare via, nella famigerata “striscia della morte”, una lettera d’amore indirizzata allo stesso Micha che le tenterà tutte per riprenderla. Aiutato da quella sconclusionata compagnia di compari, ognuno perso nelle proprie idiosincrasie. Il Talpa alla ricerca di un ambito di studi assolutamente non politico. Mario deciso a farsi espellere dalla scuola per perdersi nell’amore sconfinato della sua ventenne esistenzialista, tra un disco di Edith Piaf vietato e mandato in loop, Non, je ne regrette rien, e la promessa di mettere al momento giusto l’ancora più vietata Je t’aime. E l’obiettivo comune di sovvertire il sistema, in un modo o in un altro. O in un altro ancora. Poi il Trippa sempre pronto a cesellare risposte acuminate al tedioso poliziotto di quartiere. Tutti e tre iscritti al corso di ballo per sperare di danzare con la meravigliosa Miriam. Mentre Cespo è costretto a passare per una squinternata serie di spacciatori di LP dell’Ovest alla rocambolesca ricerca di Exile on Main Street dei Rolling Stones. Perché anche in queste pagine, in queste adolescenze, è ancora una volta la musica a creare mondi abitabili, saldare amicizie, tessere amori, salvare, letteralmente, la vita. Intorno a questa banda ruota anche il mondo dei “grandi”, a partire dalla famiglia di Micha, con Brend, il fratello militare che ha inventato una lingua incomprensibile, e la sorella Sabine, circondata da uno stuolo di innamorati, tra i quali un giovane che spiega come riuscire a fare il giro del mondo senza passaporto. Quindi lo zio Heinz di Berlino ovest, insicuro e improbabile contrabbandiere che troverà un modo definitivo per essere lui il contrabbandato. Sono storie narrate sempre con un pacificato sorriso sulle labbra: “ragazzi, quante ne abbiamo passate” – scrisse Micha più tardi – “Poteva andare così per sempre, ma poi successe qualcosa”. L’irruzione miracolosa nella storia del blocco sovietico di un uomo come Michail Gorbaciov che parlerà all’est e all’ovest della casa comune europea. In chiusura di questi racconti è solo un’apparizione fantasmatica. Nella storia che stiamo vivendo da quel 1989 è completamente dimenticato, rimosso da despoti autocrati a est come a ovest del nuovo Continente. Nonostante ancora una volta un tedesco, nella Germania riunificata, Werner Herzog, solo pochi anni fa abbia confezionato una struggente testimonianza di quella meravigliosa poesia di Michail Lermontov narrata a memoria dall’uomo con la voglia rossa sulla fronte in Herzog incontra Gorbaciov (2018): “Sulla strada esco solo. / Nella nebbia è chiaro il cammino sassoso. / Calma è la notte”. E via proseguendo, quasi fosse ancora possibile rintracciare quegli scalmanati ragazzini sul viale del sole dell’avvenire, che Thomas Brussig ha fissato per sempre in questo libro destinato a fare di noi lettori quelle persone felici che hanno una pessima memoria e ricordi ricchissimi.     L'articolo Thomas Brussig / Adolescenza a Berlino Est proviene da Pulp Magazine.
Stella 111: il grande romanzo europeo della caduta del Muro
Stella 111, Lutz Seiler, trad. it. Paola Slaviero, Utopia,  pp. 481, euro 22.00 Capita raramente di leggere un romanzo che appare immediatamente come uno spartiacque letterario tra un prima e un dopo. Un romanzo che ne contiene altri cento e che pure mantiene una sua intatta, coesa, potentissima, vena lirica e narrativa. Allora lasciamoci trasportare dalla poetica prosa, è il caso di dirlo, di Lutz Seiler, tra i più rilevanti poeti e romanzieri europei di lingua tedesca, classe 1963, che pubblica Stern 111 nel 2020, ora finalmente anche nella preziosa traduzione di Paola Slaviero, per l’altrettanto preziosa Utopia editore, che non finiremo mai di ringraziare abbastanza. TRIPLO MOVIMENTO ALLA FINE DEL MONDO Siamo intorno al 1989 del crollo del Muro di Berlino e del passaggio ai ‘90 della riunificazione tedesca. Carl Bischoff è un giovane studente universitario, nato il 1963 a Gera (Turingia, Repubblica Democratica Tedesca), come Lutz Seiler, richiamato alla sua piccola casa paterna, dai genitori che vogliono approfittare della caduta della cortina di ferro per abbandonare la Germania (orientale, ma non solo quella!), e fuggire verso occidente, l’Occidente estremo. Il momento storico sembra aver dato alla testa ai suoi genitori, che pure meritano una vita migliore. Il figlio Carl è chiamato a essere la retroguardia, nel nome del padre e della madre che sono l’avanguardia di un mondo a venire, fuggendo dal piccolo mondo antico che hanno operosamente contribuito a edificare e in cui sono rimasti disciplinatamente ingabbiati per tutta la loro vita, fino alla fine di quel mondo. Siamo dinanzi a una sovversione dei rapporti intergenerazionali. Che non può reggere, non può durare. Così Carl prende la mitica Zhiguli del padre – una Fiat 124 prodotta a Togliattigrad – e comincia anch’egli il suo personale viaggio verso ovest. Mentre la radio Stella 111 sarà una meravigliosa madeleine di un tempo incompreso. Ecco il doppio movimento verso occidente che smuove avanguardia e retroguardia. Un doppio movimento che diviene triplo, perché Carl è impegnato anche in una fuga da fermo, una fuga sul posto, un movimento introspettivo, in surplace, sul proprio mutamento esistenziale, affettivo, sociale, in definitiva poetico. Carl sarà uno zhiguliano a Berlino. L’aria della città rende liberi, ci ricorda sempre il motto medieval-weberiano, tanto più nei pressi dell’isola dei musei, al centro di un sottomondo di utopia pirata e muratoria, libera e comunarda. UNO ZHIGULIANO A BERLINO, A BERLINO! Qui di fatto comincia quello che mi sentirei di definire, con una certa dose di azzardo, mi rendo conto, come il Grande Romanzo Europeo del passaggio di secolo e millennio che ancora mancava. O forse il Grande Romanzo di formazione della Generazione X europea, ecco che cos’è Stella 111. Anche se, a rigor di logica, l’Autore è in bilico sulla soglia estrema della generazione precedente, quella dei Boomer. Poi lo si può definire a piacimento come romanzo storico, esistenziale, sociale, politico, urbanistico, d’amore. Tutto questo e molto di più, in una lettura entusiasmante, nella quale mi sono ritrovato, anche dal punto di vista esistenziale. Poiché tra il 1989 e il 1991, come quasi tutti i ventenni europei di quella rivoluzione europea in atto, a ridosso del bicentenario parigino 1789, passammo le nostre estati a Berlino, in quegli scantinati tracimanti di vita, musica, danze, alcool, fumo, soprattutto nella parte orientale. Come l’Assel, dove Carl troverà tutto quello di cui avrà bisogno: uno spazio sociale comune e accogliente, che è rifugio sotterraneo, sottomarino, un pontone tra l’era glaciale e la comune. Diverrà un caffè dei lavoratori, un bar e mescita, l’epicentro di una contro-città liberata, underground, ramificata, abitata dalla vita che ascolta le voci dei morti, seppelliti in una voragine ancora aperta, e che attrae esseri umani liberi e autonomi, dà loro ospitalità, assegna case, difende una solidarietà intergenerazionale. La libertà trova i suoi discepoli, sempre e ovunque, capisci cosa intendo? L’INVINCIBILE TRIPLICE A DELL’AGUERRILLA SOTTERRANEA È l’aguerrilla sotterranea, dell’invincibile triplice A dell’Assel, che poi deriva il suo nome dagli scarafaggi che vi pullulano. Anfang, le fatiche dell’inizio, dell’immaginare ancora una volta Sisifo felice, diremmo noi. Arbeit e la dignità del lavoro, del muratore e di quello letterario, della transizione verso l’esistenza poetica di Carl, un percorso di crescita, maturazione, superamento. L’Aguerrilla che sono gli abitanti, con la bandiera della A cerchiata, dell’azione autonoma evocata dalle radio libere, e accanto quella dei pirati. Ancora oggi, che diviene quella di One Piece con il teschio sorridente e il suo cappello di paglia, della rivoluzione globale della Generazione Z. Eccoci di nuovo qui, nei passaggi intergenerazionali! E l’intermediario verso questa esistenza collettiva di Carl, di nuove amorevoli amicizie è il Pastore Hoffi. Una sorta di pacificato e autorevole leader dell’Assel, che per via del suo poncho fa pensare al Peppino Garibaldi rivoluzionario di tutti i mondi possibili, per la Repubblica universale, al Michail Bakunin dalla anarchica capigliatura ammaliatrice, a un Don Letts, per l’andatura appena molleggiata, come a noi traspare da quella celebre copertina di Super Black Market Clash. Con accanto la sua amata capra Dodo, che ha al collo gli occhiali da saldatore donati da quelli del Tacheles, altro spazio sociale e artistico vicino, e capace tanto di produrre un miracoloso latte setoso, quanto di librarsi, liberarsi in volo, a mezz’aria e oltre. E Hoffi è talmente saggio che dispensa consigli tuttora validi. Le case e gli spazi sociali che la comune gestisce non sono occupati, sono abitati, appartengono a chi li abita. E, avendo letto questo romanzo nell’estate dell’infame sgombero del Leoncavallo di Milano, del Leo, del Leonka, che era già uno Spazio Pubblico Autogestito, mi verrebbe da consigliare di cambiare il nome dei CSOA – Centri Sociali Occupati e Autogestiti – in CASA – Centri Autogestiti Sociali e Abitati – oggi che il problema casa è il problema di queste nostre città da liberare. Giù le mani dalla città. Ancora una volta. Mentre seguiamo Carl perso tra l’amore silente per Ragna, col suo perenne colbacco e i suoi vestiti sovietici, di feltro, così come quello invece esplicitato per la luminosa e ombrosa Effi, fratturata dalla sua irreparabile tragedia di figlia, che per Carl comporterà anche una sorta di divenire padre altrui. Con l’Assel che diviene rifugio per le molte e i molti: naturalmente arrivavano anche relitti alla deriva, avventurieri, spacconi, scavezzacollo, adolescenti scappati di casa e tipi techno, buoni a nulla e fuochi fatui dei cosiddetti nuovi tempi. Facciata esterna del centro sociale Leoncavallo in via Antoine Watteau, 7, 20125 Milano fotografato nel gennaio 2025 da Marmolada48 Leo, Leonka, ti ricordi Fuoco Fatuo? Leo, è questo che siamo (diventati)? (in sottofondo i nostri Massimo Volume degli anni Novanta, sempre). D’altro canto i genitori di Carl si ricongiungono alla loro giovinezza musicale accantonata, sospesa, taciuta. Senza anticipare nulla, forse tutte e tutti finiranno con il concordare con un motto comune che comincia a trasparire: avevamo lo stesso senso del ritmo, direi, era la base. È la base di tutto, Carl. La musica e il ridere. E di musica, cinema, poesia e molto altro tracima questo romanzo, dal Nick Cave con i suoi Bad Seeds di the weeping song a Milva e Fassbinder, dagli amati poeti francesi, Baudelaire e Lautréamont, a Anna Seghers alla luce verde di Gatsby, da Mad Max ai Mutoid, da Sylvia Plath a Gaston Bachelard. Per concludere, se volessimo trovare dei paragoni possibili con questo testo meraviglioso, bisognerebbe abbandonare non solo l’Italia, ma anche il vecchio Continente, e spostarsi ancora una volta oltre Oceano, dalle parti di Jonathan Lethem, non tanto quello della Brooklyn di The Fortress of Solitude, quanto di quella mirabolante accolita di Chronic City, anche lì tra case occupate – abitate, pardon – critici musicali, artisti troppo post-moderni e una comparsata di Werner Herzog che tiene unito il filo contro-culturale euro-atlantico. Per questo servirebbero altre recensioni, altre letture di Stella 111. Le faremo, entrambe. Intanto diffondiamo il verbo di questo romanzo, andandocene in giro a zonzo, ma concentrati, per le nostre città, come sovversivi urbanisti situazionali, ora che sappiamo che al numero 21 della Oranienburger Strasse di Berlino si trova solo una sorta di acquario, svuotato di tutto, anche dei suoi sotterranei. Ma nell’underground l’aguerilla trama per tornare a liberare case, spazi sociali, città, vita in comune. PS: Mi permetto di aggiungere un ringraziamento a Roberta De Marchis che cura l’ufficio stampa anche di Utopia editore e conosco virtualmente da tempo, per avermi messo a conoscenza di questo capolavoro. Per aver pensato a me. Il prezioso, ancora una volta, e faticoso, autonomo, indipendente lavoro editoriale, “lavoro culturale”, necessita di essere riconosciuto, in adeguate forme materiali, che spesso esulano dalle possibilità di noialtri operatori “del settore”, per questo qui ci si limita a quelle immateriali, ancor più quando mette in moto amichevoli risonanze comuni, riallaccia fili dispersi di passioni e ragionamenti condivisi, rintraccia dimenticati sentieri battuti insieme e in definitiva mai interrotti. L'articolo Stella 111: il grande romanzo europeo della caduta del Muro proviene da Pulp Magazine.