Gli Ambulatori popolari gratuiti: una rete alternativa di cura e lotta per la salute
Pubblichiamo questo dossier con l’augurio che la sua preparazione sia una tappa
decisiva per la costituzione di un coordinamento nazionale degli APG italiani
già esistenti e in costruzione. Questo dossier è stato costruito grazie al
contributo dei seguenti APG (lista in ordine casuale): Clinica Popolare Azadî,
Padova; Laboratorio di Salute Popolare, Bologna; Ponticelli di cura, Napoli;
Ambulatorio Medico Popolare, Milano; Ambulatorio Popolare Caracol Olol Jackson,
Vicenza; Microclinica Fatih, Torino; Ambulatorio popolare Roma Est, Roma;
Ambulatorio di Quartiere BorgoVecchio, Palermo e del International Network of
Social Clinics (INoSC)_
> LA LOTTA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE. PERCHÉ UN AMBULATORIO POPOLARE?
Ambulatorio Popolare Roma Est
L’ambulatorio popolare Roma Est è uno spazio di cura nato durante il Covid che
ha trovato poi casa a Quarticciolo, uno dei quartieri investiti brutalmente dal
decreto Caivano e dalla militarizzazione statale. Qui ha saputo moltiplicarsi e
diventare uno sportello medico, pediatrico, psicologico, nutrizionale e di
ginnastica dolce. Integrato nel discorso collettivo di Quarticciolo Ribelle
prova a mettere al servizio delle lotte di quartiere personale sanitario,
convint* che non c’è lotta per un mondo migliore che non passi per il diritto
alla salute.
Non ci dilungheremo molto sulla situazione attuale del nostro Sistema Sanitario
Nazionale: la criminale aziendalizzazione, feroci tagli, la strisciante
privatizzazione stanno smantellando pezzo dopo pezzo un servizio invidiabile. Se
la situazione è così disastrosa perché non si massifica una rivendicazione dal
basso che imponga un diritto alla salute per tutti e tutte? Come viene percepito
dalla popolazione questo smantellamento? Come dalle operatrici e dagli operatori
sanitari? Quali sono gli elementi che impediscono l’accesso ad un sistema di
qualità?Prima di costruire il nostro ambulatorio popolare avremmo risposto in
una maniera ancor più parziale a queste domande. Perché non avevamo un punto di
vista collettivo sui bisogni di salute di un pezzo di periferia romana. Avevamo
solo punti di vista parcellizzati all’interno dei nostri posti di lavoro. Per
noi l’ambulatorio popolare in primo luogo è uno spazio di inchiesta per
rispondere a queste domande camminando e domandando insieme alla borgata che
viviamo.
Difficoltà e accesso
Nel nostro Paese aumentano ogni anno le persone che rinunciano alle cure per
motivi economici, ci sono differenze di tassi di mortalità del 25% tra un
quartiere povero e uno ricco, per pazienti con diabete o ipertensione questo
tasso arriva all’80%, le disuguaglianze in salute aumentano di anno in anno.
Sicuramente una parte importante di questo dato risiede nelle difficoltà di
accesso a prestazioni di cura. Queste ricalcano le profonde disuguaglianze
sociali presenti, rappresentando enormi barriere per molte fasce di popolazione,
tra cui le persone straniere senza tessera sanitaria, o le persone che vivono in
occupazione, le quali, dopo la legge Renzi-Lupi non hanno più la possibilità di
ottenere una residenza e di conseguenza avere un medico di base o un pediatra di
libera scelta. Ci sono poi motivi più subdoli come le liste d’attesa infinite:
spesso si è incastrati in un girone kafkiano che va da un medico di base che si
limita a ricettare una visita specialistica, difficile da ottenere in tempi
congrui se non ci si può permettere di pagare in intramoenia o privato puro, e a
cui normalmente seguono richieste di esami per cui si aspetta altrettanto tempo
se non si paga per eseguirli. Da qui ricomincia poi la caccia alla visita
specialistica di controllo, che non viene direttamente prenotata dal servizio in
questione. Il problema, dunque, non si limita alle liste d’attesa, ma sta anche
frequentemente nella mancata presa in carico del paziente. Entrambe le cose sono
illegali a livello giuridico, per questo abbiamo utilizzato l’ottima pratica
strategica di fare pressione tramite PEC reclamando il rimborso per una visita
privata se non viene offerta la prestazione nei tempi prevista dall’impegnativa
come è definito dal d.lgs. n.124/1998 o reclamando l’appuntamento quando ci
viene indebitamente risposto che le agende sono chiuse (tramite legge 23
dicembre 2005, n 266, articolo 1, comma 282).Altra barriera è quella della
distanza, che in contesti di provincia o di periferia diventa insormontabile,
soprattutto per una popolazione che va invecchiando, in territori con scadenti
servizi di trasporto pubblici. L’assenza di servizi pubblici di taxi sanitari fa
sì che molte persone debbano rinunciare a prestazioni anche indispensabili. In
alcuni campi della salute non si può parlare di difficoltà di accesso quanto più
di una vera e propria assenza del servizio. Nella nostra regione accedere a
psicoterapie pubbliche è praticamente impossibile, persino per chi ha ricevuto
una diagnosi psichiatrica ed è in carico presso il CSM di zona. Ciò rende ancora
più impensabile la possibilità d’accesso a persone con esigenze personali e
senza una sintomatologia psichica manifesta. Sono quasi del tutto assenti
percorsi di supporto socio-economico e abitativo, anche per i pazienti più
gravi, e in contesti marginalizzati se ne risente ancora di più. Il servizio di
nutrizione è solo appannaggio di grandi centri ospedalieri, per lo più per
nutrizioni enterali o parenterali, mentre nel campo della prevenzione o della
cura di sindromi metaboliche è praticamente inesistente. Le cure odontoiatriche
pubbliche si limitano al trattamento dell’urgenza e di pochi altri problemi
cronici. Si potrebbe parlare di molte altre terapie validate scientificamente ma
non offerte dal sistema pubblico, ma dovremmo parlare solo di questo.
Normalizzazione della privatizzazione
Di fronte alle difficoltà di accesso, di cui sopra, dilaga il privato, la spesa
out of pocket cresce di anno in anno, per la gioia di Angelucci – deputato e
milionario imprenditore della sanità privata, gruppo San Raffaele, oltre che
editore di vari giornali –, Chiesa Cattolica – proprietaria di centinaia di
cliniche e ospedali in Italia – e compagnie assicurative varie.Molti contratti
di dipendenti pubblici prevedono come integrazione salariale un’assicurazione
sanitaria privata per il dipendente e i suoi figli.L’intervento privato in
sanità viene rappresentato dai media conniventi come salvifico. Quando uno di
questi soggetti apre un centro in un quartiere di periferia le persone lo
salutano con gioia perché prevede prestazioni in offerta, in alcuni casi anche a
prezzi accessibili e in poco tempo. Appare efficace a differenza del pubblico.
Se si prova a volantinare contro l’apertura di un servizio del genere ci si
vedrà osteggiati dal quartiere. D’altronde come potrebbe essere altrimenti se di
fronte alla chiusura di centri pubblici, l’unica soluzione è sempre l’intervento
del capitale privato (vd esempio del Forlanini a Roma regalato alla fondazione
Gemelli).Spesso in ospedali pubblici vi sono cooperative private di personale
medico, infermieristico, oss, barellieri, personale di pulizia, gestione della
biancheria. Tutto è subappalto. Servizi dell’SSN come la riabilitazione
post-acuzie, sono pressoché al 100% appaltati a privati. A volte negli ospedali
pubblici solo le mura sono pubbliche.
Malfunzionamento cup
La prima interfaccia con il sistema pubblico, oltre i Pronto Soccorso, con
l’abbondante quota di disagio che comporta entrarvi, passa per i CUP. Dei
servizi telefonici per lo più assegnati alla gestione di «cooperative» o aziende
private. Per chiamarlo il paziente deve essere tale, potrebbe essere necessario
stare al telefono anche più di un’ora per riuscire a parlare con un operatore.
Ovviamente se la priorità è la massimizzazione dei profitti, il numero di
operatori e operatrici è ridotto all’osso, con contratti precari, sottopagati, a
volte pagati in ritardo: varie, infatti, sono le istanze sindacali mosse da
queste lavoratrici nella città di Roma.Gli stessi operatori e operatrici in
condizioni di precariato, inoltre, devono lavorare con agende incomplete, molte
delle società private pagate dal SSN per erogare prestazioni pubbliche non
comunicano le proprie agende al CUP. Quest’ultimo, si ritrova a lavorare con
agende ridotte e dunque ad assegnare appuntamenti anche a più di un anno dalla
chiamata.
Rinuncia alle cure
Oltre 2 milioni di cittadini tra i 18 e i 74 anni (pari al 5,3% della
popolazione) nel 2024 hanno rinviato visite mediche o cure dentistiche perché
non potevano permettersele. E la situazione è ancora più grave tra chi soffre di
malattie croniche, dove la percentuale sale al 9,2%. È quanto emerge dall’ultimo
report dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche),
basato sui dati dell’Indagine PLUS. Il fenomeno cresce anno dopo anno, la
soluzione sono le polizze integrative che aumentano di pari passo, che però non
tutti possono permettersi. Possiamo affermare che l’universalità del SSN non
esiste più.
Perché quindi creare ambulatori popolari?
Innanzitutto, come dicevamo poc’anzi, per comprendere le sfaccettature del
mancato accesso alle cure non bastano i dati, bisogna fare inchiesta, «camminare
domandando».Analizzare anche la sfiducia nei quartieri popolari verso il
pubblico, così come quella degli operatori e operatrici sanitarie. Le centrali
sindacali più rappresentative del personale sanitario richiedono, tutte, la
possibilità di più privato, che sia in forma di intramoenia o in forma di
privato puro. Su questa richiesta v’è sicuramente una motivazione economica, ma
crediamo ci sia anche la volontà di avere la possibilità di un’assistenza più
umana, associata a un ascolto e ad un tempo più consono al nostro lavoro.
Concentriamoci su questa richiesta, evidenziando la barbarie di lottare per
poterlo dare solo a chi se lo può permettere. Ci è capitato di organizzare
assemblee con abitanti del quartiere per difendere un centro pubblico in
chiusura, i primi commenti da parte loro erano: «Perché dovremmo difendere un
posto dove veniamo trattati male?». Durante i nostri circoli di salute sul
vissuto di malattie cardiovascolari abbiamo ascoltato come chi subisce un
infarto è grato di poter aver avuto uno stent in tempi rapidi, ma rimane scosso
dal non ascolto che ottiene nel processo, da un percorso diagnostico terapeutico
che non prevede assolutamente una personalizzazione dell’assistenza, ma anzi è
completamente spersonalizzato. Questa disumanizzazione allontana il paziente, ma
disamora anche il personale. Forse sta qui il nocciolo del problema delle
aggressioni al personale sanitario, altro che carenza di forze dell’ordine negli
ospedali!Creare un ambulatorio popolare per noi è provare a immaginare un modo
altro di creare salute, che passa dall’integrazione tra salute mentale e fisica,
dal dare importanza al cibo e a tutti gli aspetti della vita, a partire dalle
necessità abitative o lavorative. Per questo nei nostri sportelli si passa dalla
dottoressa, alla psicologa, al nutrizionista o allo sportello casa durante la
stessa visita. Impagabile per il paziente ma anche per l’operatore sanitario.
Fare advocacy su ogni prestazione negata rivendicandola nel pubblico, costruire
campagne di prevenzione con il fine di reclamarle dal SSN, evidenziare i bisogni
di salute mentale del territorio che non vengono nemmeno presi in considerazione
dal CSM, sottolineare come riusciamo a educare sull’alimentazione senza alcun
finanziamento mentre dal pubblico questo bisogno è praticamente inascoltato.
Studiare il territorio, aprire circoli di parola per capire i problemi, e poi
proporre soluzioni da rivendicare al settore pubblico e da costruire dal basso.
Organizzare circoli di autocoscienza del corpo, facendo ginnastica posturale,
perché la salute è ascoltare il nostro corpo, non solo leggere le analisi.
Queste sono alcune delle pratiche che mettiamo in campo.Alcuni dicono che questo
possa, soddisfacendo un bisogno, far abortire una conflittualità, ancora
latente, che invece potrebbe rivoluzionare l’istituzione pubblica. Per noi
questa critica rimane sterile per due ordini di motivi.Per prima cosa se mancano
prospettive di lotte tra operatori/operatrici sanitari e pazienti è perché manca
un orizzonte di immaginario comune. Difficile convincerci di lottare insieme per
questo sistema sanitario, assoggettato alle case farmaceutiche, sordo alle
richieste della popolazione, un mero prestazionificio. È più facile, al
contrario, convincerci di lottare per una cura diversa che iniziamo a
sperimentare qui e ora, da rivendicare poi in forma sistemica. In aggiunta, se
non ci sono istanze sindacali di massa non corporative, ci sembra l’unica strada
quella di partire da un territorio in una lotta fatta da pazienti e operatori
sanitari insieme. Fare advocacy su ogni prestazione negata, mentre costruiamo
campagne di prevenzione multidisciplinari, richiedere l’apertura o la non
chiusura di centri pubblici mentre si evidenzia come con pochi soldi si riesce
ad avere un’assistenza integrata, dimostrando nei fatti che il problema è
politico e non economico. Nei quartieri più che una conflittualità latente
riscontriamo persone isolate, disorientate, senza alcun riferimento
organizzativo. Un ambulatorio radicato in quartiere può evidenziare le necessità
di salute, coagulare il malcontento, dirigerlo verso rivendicazioni e azioni
vincenti.Senza alcuna convinzione di avere noi la risposta in tasca su come
potremmo riprenderci il diritto alla salute, apertissime a metterci in
discussione, per ora rimaniamo convint* che il processo debba partire unendo
sperimentazione dal basso a mobilitazione e che l’ambulatorio popolare possa
essere uno strumento per farlo.
Redazione Italia