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Politica contro Scienza
È indispensabile un’accelerazione della democratizzazione dell’informazione scientifica, per cui gli scienziati siano capaci di spiegare i contenuti e le prospettive delle loro ricerche, attraverso un’azione capillare diretta al largo pubblico. Sono necessarie campagne di controinformazione, che invadano le reti sociali e tutti i gli altri mezzi di comunicazione. Nelle scuole si sta armando la guerra contro il sapere per modificare e falsificare i contenuti dell’insegnamento. È in questo ambito che la difesa della verità scientifica, storica e civile deve essere più strenua. Le nuove generazioni si stanno confrontando ovunque con i problemi esistenziali ed etici legati alle politiche autoritarie e inique condotte dai governi in ogni parte del globo e particolarmente negli Stati Uniti. Troveremo la capacità e i mezzi per parlar loro?_ La Politica contro la Scienza? Non mi sarei mai immaginato di scrivere un articolo come questo, io che ho iniziato la maturazione politica nel 1968 denunciando l’uso della Scienza da parte del capitale. Allora si trattava di demistificare la «neutralità» della scienza, mostrando come la scienza fosse spesso usata e a volte diretta in funzione delle scelte politiche della classe dominante. Un esempio inoppugnabile dell’alleanza fra Capitale e Stato nell’uso della scienza fu il Progetto Manhattan realizzato dagli Stati Uniti fra il 1942 e il 1946 con l’appoggio della Gran Bretagna e il Canada. Il progetto riunì eminenti fisici e rappresentanti dell’industria bellica americana per produrre l’arma finale, la bomba atomica. Il potere politico ed economico hanno sempre influito sulle scelte strategiche della scienza, indirizzando la ricerca scientifica ai loro fini attraverso politiche di ricerca e finanziamenti mirati. Negli ultimi decenni, la scienza accademica, nei paesi detti occidentali, è riuscita a ottenere una certa autonomia, purché fosse all’interno delle scelte politiche strategiche degli Stati. Con lo sviluppo accelerato delle tecnologie, la scienza applicata ha preso il sopravvento nei piani nazionali di ricerca. C’è bisogno assoluto di una collaborazione stretta fra scienza fondamentale e scienza applicata, particolarmente nei campi della ricerca energetica e biologica. Tuttavia le scelte politiche dei paesi industrializzati, convinti che la tecnologia sia il motore di progresso economico e di profitti a breve termine per le aziende, hanno sbilanciato quest’equilibrio verso la ricerca applicata. Lo hanno fatto attraverso la definizione delle priorità strategiche, l’allocazione di fondi pubblici e la creazione di partenariati fra ricerca accademica e aziende private, a profitto di quest’ultime. Gli Stati Uniti, usciti indenni dal secondo conflitto mondiale, grazie alla loro ricchezza e al loro statuto di superpotenza, sono stati il paese che ha assicurato il più forte sviluppo della ricerca scientifica, seppure con attenzione privilegiata allo sviluppo tecnologico (Research and Developpement). Benché il fine di questi investimenti sia il profitto privato, i governi degli Stati Uniti avevano capito il valore strategico della ricerca accademica e avevano finora assicurato una larga autonomia alle sue istituzioni. È proprio da questo paese, gli Stati Uniti, che, sotto la presidenza Trump, la politica ha scatenato un’offensiva senza precedenti contro la scienza. Nel luglio di quest’anno, il Dipartimento dell’Energia ha pubblicato un rapporto che rimette in causa gli effetti nefasti del cambiamento climatico, in aperta contraddizione con il rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (GIEC), il più autorevole organismo internazionale per la valutazione dei cambiamenti climatici. Lo scopo è di invertire la politica federale attuale, basata sul riconoscimento che il riscaldamento per effetto serra rappresenta una minaccia per il benessere pubblico e così permettere il rilancio dell’industria delle energie fossili. Trump aveva già firmato il ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima pochi giorni dopo il suo insediamento alla presidenza e si appresta a tagliare i fondi alla National Oceanic and Atmospheric Administration, l’Agenzia Federale che si occupa delle previsioni meteorologiche, del monitoraggio del cambiamento climatico e dello studio del mare. Il suo Segretario alla Salute, Robert Kennedy Jr., ha annunciato il licenziamento di 10.000 persone impiegate nelle principali istituzioni di ricerca degli Stati Uniti, il National Institutes of Health, la Food and Drug Administration, e il Center for Disease Control and Prevention. A giugno Kennedy aveva licenziato tutti gli esperti della Commissione di consulenza sulle pratiche di immunizzazione. Ha in seguito cancellato il finanziamento di ventidue progetti vaccinali basati sulla tecnologia dell’acido ribonucleico messaggero (mRNA), bloccando di fatto lo sviluppo di questa tecnologia, considerata uno dei maggiori progressi nella ricerca vaccinale. La tecnologia del mRNA infatti permette una produzione rapida e adattabile all’evoluzione del patogeno, cruciale in caso di nuove pandemie. È stato valutato che i vaccini mRNA hanno salvato milioni di vite durante la pandemia di Covid. Kennedy Jr., sostenuto da Trump, vuole invece dirigere la ricerca scientifica sui presunti legami fra vaccini e autismo, non confermati dagli studi scientifici. I tagli complessivi dei fondi per la ricerca fondamentale previsti dall’amministrazione Trump vanno dal 34% al 50%. La National Science Foundation, nota per sostenere una ricerca fondamentale relativamente indipendente, si vedrà tagliare il budget del 56%. I criteri per decidere la riduzione di finanziamenti, la soppressione di agenzie di ricerca e di programmi scientifici non hanno nulla a che vedere con la scienza. Sono basati sulla volontà presidenziale di farla finita con i programmi che da lontano o da vicino siano in rapporto con i cosidetti « DEI » (Diversità, Equità, Inclusione). Per ritrovare nella storia esempi comparabili di un tentativo di asservimento della scienza all’ideologia, bisogna risalire all’Unione Sovietica di Stalin degli anni ’30-50 del secolo scorso. Secondo una dichiarazione del Comitato Centrale del Partito comunista nel 1950 la purezza delle dottrine marxiste-leniniste doveva essere difesa in tutti i campi della cultura e della scienza. In quell’epoca tutte le ricerche in cosmologia erano state bloccate, in quanto la teoria dell’espansione dell’Universo era considerata idealista e reazionaria. Peggio, la crociata contro la genetica mendeliana e l’evoluzionismo darwiniano (che ricorda la crociata attuale di Kennedy contro i vaccini), costò il lavoro e la libertà a migliaia di genetisti sovietici e a molti di loro la vita. Le teorie e le applicazioni del genetista ufficiale del regime, Trofim Denisovič Lysenko, causarono conseguenze disastrose per l’agricoltura sovietica, contribuendo all’insorgenza di carestie fatali per milioni di persone. Tuttavia la guerra dichiarata dall’amministrazione Trump alla scienza ha caratteri diversi dai tentativi storici del suo utilizzo per fini politici. Non solo perché la distorsione della scienza durante il periodo stalinista obbediva a ragioni ideologiche, mentre la crociata di Kennedy contro i vaccini deriva solo dalle sue opinioni cospirazioniste. Non è solo l’asservimento della scienza che cercano Trump e il Trumpismo. È un attacco contro il sapere scientifico nel suo insieme. Il vicepresidente degli Stati Uniti, James David Vance l’ha detto chiaramente: «Le università sono il nemico» e l’amministrazione Trump ha tagliato i fondi destinati all’insegnamento e alla ricerca nelle università americane. Il nemico sono il sapere e il metodo scientifico, perché essi si basano non su illazioni ma su fatti. Il metodo scientifico è fondato sull’osservazione, sulla conduzione di esperimenti e sull’analisi dei dati ottenuti. Le ipotesi iniziali sono così sottomesse a verifica per formulare conclusioni affidabili. L’obiettivo delle campagne attuali contro il sapere è di seminare il dubbio. Mettere in discussione l’obiettività della scienza permette di proporre altre fonti di conoscenza e ciò è consono alla nuova era informatica che ha cambiato profondamente i processi d’informazione. Le nuove fonti di conoscenza, estranee non solo al mondo accademico, ma anche ai settori classici dell’informazione, giornali, riviste, libri e canali televisivi pubblici, sono costituite dalle reti sociali. Alla validazione dei risultati da parte della comunità scientifica, attraverso l’esame di esperti indipendenti (peer review), si sostituisce il parere soggettivo, la notizia, lo scoop. Esempi che sarebbero ridicoli, se non avessero causato drammatiche conseguenze, sono i suggerimenti di Trump, durante il suo primo mandato, di usare come rimedi contro il Covid iniezioni di varechina, o ancora farmaci di cui l’efficacia era dubbia o inesistente, come l’idrossiclorochina o l’antiparassitario ivermectina. Le più sfacciate controverità sono state affermate senza scrupoli, come l’asserzione del rapporto del Dipartimento dell’Energia che «il riscaldamento atmosferico porta un beneficio netto per l’agricoltura americana». Conclusioni contrarie a quelle del rapporto del GIEC, secondo cui il cambiamento climatico ha ridotto la produttività agricola negli Stati Uniti del 12,5 % rispetto al 1961. D’altra parte non è lo stesso presidente degli Stati Uniti, che, davanti all’assemblea delle Nazioni Unite, ha definito il riscaldamento climatico come «il più grande imbroglio giammai perpretato al mondo («the greatest con job ever perpetrated on the world»)? Le campagne lobbistiche sostenute dei grandi gruppi privati e il dubbio portato sull’oggettività della ricerca scientifica tendono a sostituire a una ricerca volta al servizio di tutti una pseudo-ricerca al servizio di pochi privati. I movimenti anti-Vax durante la pandemia di Covid-19 negli Stati Uniti e in Europa hanno costituito un test a grande scala della capacità di influenzare l’opinione pubblica attraverso le reti da parte di cospirazionisti e cialtroni che si spacciavano come esperti. L’interesse politico dei movimenti anti-Vax non è passato inosservato alle formazioni di estrema destra negli Stati Uniti e in paesi d’Europa, come l’Italia, la Germania, l’Austria, l’Ungheria e anche la Francia, che si sono impossessate dei contenuti anti-scienza di queste campagne. All’attivismo anti-Vax si sono gradualmente sovrapposti  gli attacchi contro altre tematiche sociali invise all’estrema destra: interruzione volontaria di gravidanza, suicidio assistito, educazione sessuale nelle scuole, per non parlare della violenta campagna anti LGBT+. Discreditare la scienza e speculare sulle differenze di opinioni fra scientifici (differenze normali, dato che la scienza è un processo verso la conoscenza e non una fede dogmatica) per sollevare dubbi sulla loro validità permette al potere, sia esso incarnato dallo Stato o proprio dei grandi gruppi privati, di introdurre e consolidare nuove «verità», consone ai loro interessi. La politica energetica dell’amministrazione Trump avrà gravi conseguenze per la popolazione mondiale, favorendo lo sviluppo delle energie fossili e aggravando i problemi, già critici, legati al cambiamento climatico. La campagna anti-vaccini danneggerà innanzitutto la popolazione degli Stati Uniti. La diminuzione della copertura vaccinale contro il morbillo sta già facendo sentire i suoi effetti, con un picco epidemico in Texas. Gli effetti deleteri non si limiteranno tuttavia agli Stati Uniti. Lo smantellamento del CDC e l’indebolimento della sorveglianza sull’epidemia di Influenza aviaria fra i bovini e altri mammiferi domestici ostacolerà la prevenzione di una possibile pandemia e metterà a rischio l’intera popolazione mondiale (vedi ahidaonline.com). La soppressione dell’USAID (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale), creata nel 1961 da John Kennedy, ha causato la chiusura di migliaia di programmi umanitari nel mondo. Tra le conseguenze più gravi, la prevenzione e la cura dell’AIDS e i programmi di aiuto contro la fame e la violenza nei paesi poveri sono stati brutalmente interrotti e migliaia di persone stanno già morendo. Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite, più di sei milioni di persone sono a rischio di morte nei prossimi quattro anni. Contro questa marea dilagante di disinformazione e di mistificazione non è sufficiente curvare la schiena e resistere. Sono necessarie campagne di controinformazione, che invadano le reti sociali e tutti i gli altri mezzi di comunicazione, è indispensabile un’accelerazione della democratizzazione dell’informazione scientifica, per cui gli scienziati siano capaci di spiegare i contenuti e le prospettive delle loro ricerche, attraverso un’azione capillare diretta al largo pubblico. Nelle scuole si sta armando la guerra contro il sapere per modificare e falsificare i contenuti dell’insegnamento. È in questo ambito che la difesa della verità scientifica, storica e civile deve essere più strenua. Le nuove generazioni si stanno confrontando ovunque con i problemi esistenziali ed etici legati alle politiche autoritarie e inique condotte dai governi in ogni parte del globo e particolarmente negli Stati Uniti. Troveremo la capacità e i mezzi per parlar loro? *RINGRAZIO GIUSEPPE BERTONI PER LA RILETTURA E I SUGGERIMENTI Redazione Italia
Gli Ambulatori popolari gratuiti: una rete alternativa di cura e lotta per la salute
Pubblichiamo questo dossier con l’augurio che la sua preparazione sia una tappa decisiva per la costituzione di un coordinamento nazionale degli APG italiani già esistenti e in costruzione. Questo dossier è stato costruito grazie al contributo dei seguenti APG (lista in ordine casuale): Clinica Popolare Azadî, Padova; Laboratorio di Salute Popolare, Bologna; Ponticelli di cura, Napoli; Ambulatorio Medico Popolare, Milano; Ambulatorio Popolare Caracol Olol Jackson, Vicenza; Microclinica Fatih, Torino; Ambulatorio popolare Roma Est, Roma; Ambulatorio di Quartiere BorgoVecchio, Palermo e del International Network of Social Clinics (INoSC)_   > LA LOTTA PER IL DIRITTO ALLA SALUTE. PERCHÉ UN AMBULATORIO POPOLARE?  Ambulatorio Popolare Roma Est L’ambulatorio popolare Roma Est è uno spazio di cura nato durante il Covid che ha trovato poi casa a Quarticciolo, uno dei quartieri investiti brutalmente dal decreto Caivano e dalla militarizzazione statale. Qui ha saputo moltiplicarsi e diventare uno sportello medico, pediatrico, psicologico, nutrizionale e di ginnastica dolce. Integrato nel discorso collettivo di Quarticciolo Ribelle prova a mettere al servizio delle lotte di quartiere personale sanitario, convint* che non c’è lotta per un mondo migliore che non passi per il diritto alla salute. Non ci dilungheremo molto sulla situazione attuale del nostro Sistema Sanitario Nazionale: la criminale aziendalizzazione, feroci tagli, la strisciante privatizzazione stanno smantellando pezzo dopo pezzo un servizio invidiabile. Se la situazione è così disastrosa perché non si massifica una rivendicazione dal basso che imponga un diritto alla salute per tutti e tutte? Come viene percepito dalla popolazione questo smantellamento? Come dalle operatrici e dagli operatori sanitari? Quali sono gli elementi che impediscono l’accesso ad un sistema di qualità?Prima di costruire il nostro ambulatorio popolare avremmo risposto in una maniera ancor più parziale a queste domande. Perché non avevamo un punto di vista collettivo sui bisogni di salute di un pezzo di periferia romana. Avevamo solo punti di vista parcellizzati all’interno dei nostri posti di lavoro. Per noi l’ambulatorio popolare in primo luogo è uno spazio di inchiesta per rispondere a queste domande camminando e domandando insieme alla borgata che viviamo.   Difficoltà e accesso  Nel nostro Paese aumentano ogni anno le persone che rinunciano alle cure per motivi economici, ci sono differenze di tassi di mortalità del 25% tra un quartiere povero e uno ricco, per pazienti con diabete o ipertensione questo tasso arriva all’80%, le disuguaglianze in salute aumentano di anno in anno. Sicuramente una parte importante di questo dato risiede nelle difficoltà di accesso a prestazioni di cura. Queste ricalcano le profonde disuguaglianze sociali presenti, rappresentando enormi barriere per molte fasce di popolazione, tra cui le persone straniere senza tessera sanitaria, o le persone che vivono in occupazione, le quali, dopo la legge Renzi-Lupi non hanno più la possibilità di ottenere una residenza e di conseguenza avere un medico di base o un pediatra di libera scelta.  Ci sono poi motivi più subdoli come le liste d’attesa infinite: spesso si è incastrati in un girone kafkiano che va da un medico di base che si limita a ricettare una visita specialistica, difficile da ottenere in tempi congrui se non ci si può permettere di pagare in intramoenia o privato puro, e a cui normalmente seguono richieste di esami per cui si aspetta altrettanto tempo se non si paga per eseguirli. Da qui ricomincia poi la caccia alla visita specialistica di controllo, che non viene direttamente prenotata dal servizio in questione. Il problema, dunque, non si limita alle liste d’attesa, ma sta anche frequentemente nella mancata presa in carico del paziente. Entrambe le cose sono illegali a livello giuridico, per questo abbiamo utilizzato l’ottima pratica strategica di fare pressione tramite PEC reclamando il rimborso per una visita privata se non viene offerta la prestazione nei tempi prevista dall’impegnativa come è definito dal d.lgs. n.124/1998 o reclamando l’appuntamento quando ci viene indebitamente risposto che le agende sono chiuse (tramite legge 23 dicembre 2005, n 266, articolo 1, comma 282).Altra barriera è quella della distanza, che in contesti di provincia o di periferia diventa insormontabile, soprattutto per una popolazione che va invecchiando, in territori con scadenti servizi di trasporto pubblici. L’assenza di servizi pubblici di taxi sanitari fa sì che molte persone debbano rinunciare a prestazioni anche indispensabili. In alcuni campi della salute non si può parlare di difficoltà di accesso quanto più di una vera e propria assenza del servizio. Nella nostra regione accedere a psicoterapie pubbliche è praticamente impossibile, persino per chi ha ricevuto una diagnosi psichiatrica ed è in carico presso il CSM di zona. Ciò rende ancora più impensabile la possibilità d’accesso a persone con esigenze personali e senza una sintomatologia psichica manifesta. Sono quasi del tutto assenti percorsi di supporto socio-economico e abitativo, anche per i pazienti più gravi, e in contesti marginalizzati se ne risente ancora di più. Il servizio di nutrizione è solo appannaggio di grandi centri ospedalieri, per lo più per nutrizioni enterali o parenterali, mentre nel campo della prevenzione o della cura di sindromi metaboliche è praticamente inesistente. Le cure odontoiatriche pubbliche si limitano al trattamento dell’urgenza e di pochi altri problemi cronici. Si potrebbe parlare di molte altre terapie validate scientificamente ma non offerte dal sistema pubblico, ma dovremmo parlare solo di questo. Normalizzazione della privatizzazione Di fronte alle difficoltà di accesso, di cui sopra, dilaga il privato, la spesa out of pocket cresce di anno in anno, per la gioia di Angelucci – deputato e milionario imprenditore della sanità privata, gruppo San Raffaele, oltre che editore di vari giornali –, Chiesa Cattolica – proprietaria di centinaia di cliniche e ospedali in Italia – e compagnie assicurative varie.Molti contratti di dipendenti pubblici prevedono come integrazione salariale un’assicurazione sanitaria privata per il dipendente e i suoi figli.L’intervento privato in sanità viene rappresentato dai media conniventi come salvifico. Quando uno di questi soggetti apre un centro in un quartiere di periferia le persone lo salutano con gioia perché prevede prestazioni in offerta, in alcuni casi anche a prezzi accessibili e in poco tempo. Appare efficace a differenza del pubblico. Se si prova a volantinare contro l’apertura di un servizio del genere ci si vedrà osteggiati dal quartiere. D’altronde come potrebbe essere altrimenti se di fronte alla chiusura di centri pubblici, l’unica soluzione è sempre l’intervento del capitale privato (vd esempio del Forlanini a Roma regalato alla fondazione Gemelli).Spesso in ospedali pubblici vi sono cooperative private di personale medico, infermieristico, oss, barellieri, personale di pulizia, gestione della biancheria. Tutto è subappalto. Servizi dell’SSN come la riabilitazione post-acuzie, sono pressoché al 100% appaltati a privati.  A volte negli ospedali pubblici solo le mura sono pubbliche. Malfunzionamento cup La prima interfaccia con il sistema pubblico, oltre i Pronto Soccorso, con l’abbondante quota di disagio che comporta entrarvi, passa per i CUP. Dei servizi telefonici per lo più assegnati alla gestione di «cooperative» o aziende private. Per chiamarlo il paziente deve essere tale, potrebbe essere necessario stare al telefono anche più di un’ora per riuscire a parlare con un operatore. Ovviamente se la priorità è la massimizzazione dei profitti, il numero di operatori e operatrici è ridotto all’osso, con contratti precari, sottopagati, a volte pagati in ritardo: varie, infatti, sono le istanze sindacali mosse da queste lavoratrici nella città di Roma.Gli stessi operatori e operatrici in condizioni di precariato, inoltre, devono lavorare con agende incomplete, molte delle società private pagate dal SSN per erogare prestazioni pubbliche non comunicano le proprie agende al CUP. Quest’ultimo, si ritrova a lavorare con agende ridotte e dunque ad assegnare appuntamenti anche a più di un anno dalla chiamata. Rinuncia alle cure Oltre 2 milioni di cittadini tra i 18 e i 74 anni (pari al 5,3% della popolazione) nel 2024 hanno rinviato visite mediche o cure dentistiche perché non potevano permettersele. E la situazione è ancora più grave tra chi soffre di malattie croniche, dove la percentuale sale al 9,2%. È quanto emerge dall’ultimo report dell’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche), basato sui dati dell’Indagine PLUS. Il fenomeno cresce anno dopo anno, la soluzione sono le polizze integrative che aumentano di pari passo, che però non tutti possono permettersi. Possiamo affermare che l’universalità del SSN non esiste più. Perché quindi creare ambulatori popolari? Innanzitutto, come dicevamo poc’anzi, per comprendere le sfaccettature del mancato accesso alle cure non bastano i dati, bisogna fare inchiesta, «camminare domandando».Analizzare anche la sfiducia nei quartieri popolari verso il pubblico, così come quella degli operatori e operatrici sanitarie. Le centrali sindacali più rappresentative del personale sanitario richiedono, tutte, la possibilità di più privato, che sia in forma di intramoenia o in forma di privato puro. Su questa richiesta v’è sicuramente una motivazione economica, ma crediamo ci sia anche la volontà di avere la possibilità di un’assistenza più umana, associata a un ascolto e ad un tempo più consono al nostro lavoro. Concentriamoci su questa richiesta, evidenziando la barbarie di lottare per poterlo dare solo a chi se lo può permettere. Ci è capitato di organizzare assemblee con abitanti del quartiere per difendere un centro pubblico in chiusura, i primi commenti da parte loro erano: «Perché dovremmo difendere un posto dove veniamo trattati male?». Durante i nostri circoli di salute sul vissuto di malattie cardiovascolari abbiamo ascoltato come chi subisce un infarto è grato di poter aver avuto uno stent in tempi rapidi, ma rimane scosso dal non ascolto che ottiene nel processo, da un percorso diagnostico terapeutico che non prevede assolutamente una personalizzazione dell’assistenza, ma anzi è completamente spersonalizzato. Questa disumanizzazione allontana il paziente, ma disamora anche il personale. Forse sta qui il nocciolo del problema delle aggressioni al personale sanitario, altro che carenza di forze dell’ordine negli ospedali!Creare un ambulatorio popolare per noi è provare a immaginare un modo altro di creare salute, che passa dall’integrazione tra salute mentale e fisica, dal dare importanza al cibo e a tutti gli aspetti della vita, a partire dalle necessità abitative o lavorative. Per questo nei nostri sportelli si passa dalla dottoressa, alla psicologa, al nutrizionista o allo sportello casa durante la stessa visita. Impagabile per il paziente ma anche per l’operatore sanitario. Fare advocacy su ogni prestazione negata rivendicandola nel pubblico, costruire campagne di prevenzione con il fine di reclamarle dal SSN, evidenziare i bisogni di salute mentale del territorio che non vengono nemmeno presi in considerazione dal CSM, sottolineare come riusciamo a educare sull’alimentazione senza alcun finanziamento mentre dal pubblico questo bisogno è praticamente inascoltato. Studiare il territorio, aprire circoli di parola per capire i problemi, e poi proporre soluzioni da rivendicare al settore pubblico e da costruire dal basso. Organizzare circoli di autocoscienza del corpo, facendo ginnastica posturale, perché la salute è ascoltare il nostro corpo, non solo leggere le analisi. Queste sono alcune delle pratiche che mettiamo in campo.Alcuni dicono che questo possa, soddisfacendo un bisogno, far abortire una conflittualità, ancora latente, che invece potrebbe rivoluzionare l’istituzione pubblica. Per noi questa critica rimane sterile per due ordini di motivi.Per prima cosa se mancano prospettive di lotte tra operatori/operatrici sanitari e pazienti è perché manca un orizzonte di immaginario comune. Difficile convincerci di lottare insieme per questo sistema sanitario, assoggettato alle case farmaceutiche, sordo alle richieste della popolazione, un mero prestazionificio. È più facile, al contrario, convincerci di lottare per una cura diversa che iniziamo a sperimentare qui e ora, da rivendicare poi in forma sistemica. In aggiunta, se non ci sono istanze sindacali di massa non corporative, ci sembra l’unica strada quella di partire da un territorio in una lotta fatta da pazienti e operatori sanitari insieme. Fare advocacy su ogni prestazione negata, mentre costruiamo campagne di prevenzione multidisciplinari, richiedere l’apertura o la non chiusura di centri pubblici mentre si evidenzia come con pochi soldi si riesce ad avere un’assistenza integrata, dimostrando nei fatti che il problema è politico e non economico. Nei quartieri più che una conflittualità latente riscontriamo persone isolate, disorientate, senza alcun riferimento organizzativo. Un ambulatorio radicato in quartiere può evidenziare le necessità di salute, coagulare il malcontento, dirigerlo verso rivendicazioni e azioni vincenti.Senza alcuna convinzione di avere noi la risposta in tasca su come potremmo riprenderci il diritto alla salute, apertissime a metterci in discussione, per ora rimaniamo convint* che il processo debba partire unendo sperimentazione dal basso a mobilitazione e che l’ambulatorio popolare possa essere uno strumento per farlo.   Redazione Italia