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“Ciao Yuri,” “Ciao Steve”
Sono emersi nuovi dettagli su come Washington e Mosca hanno condotto la trattativa che ha portato alla proposta statunitense — o “statunitense”? — per mettere fine alla guerra in Ucraina. Bloomberg ha pubblicato la trascrizione di una telefonata tra Steve Witkoff, l’inviato presidenziale statunitense che più di ogni altro in questo momento sembra di avere la fiducia di Trump, e Yuri Ouchakov, il consigliere di Esteri più di lungo corso al Cremlino. La telefonata, datata 14 ottobre, di cui i giornalisti di Bloomberg hanno potuto ascoltare una registrazione, non contiene retroscena esplosivi — se non il fatto che fin dall’inizio Washington aveva messo in chiaro che sapeva che Mosca avrebbe chiesto come minimo il controllo del Doneck — ma mette in luce come Witkoff abbia costruito un rapporto quasi amicale con Ouchakov, arrivando a dirgli che “grande rispetto” per Putin. Il consigliere di Trump non si è limitato a coordinare il colloquio telefonico tra Trump e Putin, ma ha suggerito al Cremlino come condurre la trattativa con il presidente statunitense, senza concentrarsi sui singoli obiettivi della trattativa, ma portando avanti il negoziato in modo “speranzoso.” Questa conversazione sarebbe stata quella che avrebbe poi portato alla telefonata tra Trump e Putin che avrebbe deragliato la visita a Washington di Zelenskyj per ottenere i missili cruise Tomahawk. (Bloomberg / BBC News, 17/10/2025) Il retroscena di Bloomberg fa il paio con un nuovo retroscena di Reuters, secondo cui il piano di 28 punti della Casa bianca si sarebbe basato in modo significativo su un “non-paper” redatto dal Cremlino e condiviso dai funzionari russi con la Casa bianca. Il documento elencava le condizioni di Mosca per terminare il conflitto, comprese appunto le concessioni territoriali — che fino a questo momento Kyiv ha sempre respinto. Niente di tutto questo, ovviamente, è particolarmente strano nell’ottica di far procedere una trattativa — ai compromessi si arriva così — ma si tratta di un cambio di passo drastico rispetto alle posizioni dell’Unione europea e anche di Trump stesso quando ha usato parole più forti contro la Russia, che sostanzialmente prevedevano una sconfitta russa quando parlavano di come arrivare a un accordo per una tregua in Ucraina. (Reuters) Trump ora sostiene che il suo piano è stato ben “messo a punto” grazie al confronto con l’Ucraina. Ora Steve Witkoff farà visita a Putin a Mosca, e il segretario dell’Esercito Daniel Driscoll si incontrerà con la leadership ucraina. Parlando con i giornalisti sull’Air Force One, Trump ha minimizzato sulle concessioni territoriali che l’Ucraina dovrebbe fare, dicendo che, anche a lasciar continuare la guerra “le cose si stavano muovendo in una direzione sola,” e quei territori sarebbero stati occupati dalla Russia “in un paio di mesi.” Da parte ucraina c’è ovviamente meno entusiasmo, e il delegato di Kyiv inviato a Ginevra Oleksandr Bevz ha dichiarato che è ancora “prematuro” dire che si arriverà a un accordo. (Associated Press) 
Cosa c’è nel piano di Trump per mettere fine alla guerra in Ucraina
Associated Press ha pubblicato in modo integrale il piano — finora rimasto segreto — a cui la diplomazia di Washington ha lavorato, più o meno in concerto con Mosca, per mettere fine alla guerra in Ucraina. I contenuti della bozza sono simili a quanto avevano riferito i retroscena nei giorni scorsi. A livello militare l’Ucraina deve rinunciare all’adesione alla NATO e deve limitare le proprie forze armate a 600 mila effettivi. Sul piano territoriale, le conquiste dell’esercito russo verrebbero confermate come territori de facto russi, con tanto di riconoscimento da parte degli Stati Uniti. Washington, d’altro canto, si porrebbe come garante della pace, pronto a fare scattare di nuovo forti sanzioni in caso la Russia invada di nuovo il paese. Da parte sua, Mosca dovrebbe rinunciare a 100 miliardi di beni congelati, che verrebbero impiegati nella ricostruzione dell’Ucraina, ma in cambio avrebbe un percorso di reintegrazione graduale nell’economia globale, compreso il rientro nel G8. Il piano contiene punti specifici — come la necessità di dividere fifty fifty la produzione energetica della centrale nucleare di Zaporižžja — e altri punti che sono evidenti richieste della politica russa, tra cui la proibizione di “tutte le attività e le ideologie naziste.” (Associated Press) Le autorità europee e ucraine hanno inizialmente reagito in modo nervoso alla proposta — che richiede ingentissimi sacrifici per Kyiv: le autorità europee e ucraine in questi anni hanno sempre parlato di “pace” in Ucraina come funzionale sinonimo della sconfitta dell’esercito russo. Infatti, il ministro degli Affari esteri ucraino Andrij Sybiha ha dichiarato che “alla fine qualsiasi piano di pace non è realizzabile se si basa sull'appeasement dell'aggressore.” Kaja Kallas ha detto più o meno la stessa cosa, adombrando ulteriori scontri: “La pressione deve essere rivolta all'aggressore, non alla vittima. Premiare l'aggressività non farà altro che invitarne ancora di più.” Dopo aver parlato con un funzionario dell’esercito statunitense, però, nel proprio discorso quotidiano ai cittadini ucraini Zelenskyj ha dichiarato di essere pronto a lavorare in modo “onesto” e “costruttivo” al piano statunitense. Riferendosi ai propri alleati europei, Zelenskyj ha dichiarato che “siamo pienamente consapevoli che la forza e il sostegno dell'America possono davvero avvicinare la pace, e non vogliamo perderli.” Nell’immediato Zelenskyj ha preso un impegno che rivela abbastanza chiaramente le dinamiche del rapporto con Trump: “Non faremo dichiarazioni taglienti.” (POLITICO / Telegram) La proposta di pace arriva in un momento particolarmente delicato per Zelenskyj: POLITICO ha pubblicato un editoriale di Adrian Karatnycky, ricercatore senior dell’Atlantic Council, che evidenzia come la sua leadership sia compromessa, in patria e all’estero, dall’ultimo grande scandalo di corruzione, il Mіndіčgate, che prende il nome proprio dal suo ex socio Timur Mіndіč. Secondo Karatnycky la fiducia interna verso Zelenskyj, eletto per “ripulire” la politica, è crollata: secondo i dati citati dall’opposizione, attualmente una ricandidatura di Zelenskyj sarebbe sostenuta solo dal 25% dei cittadini ucraini, effettivamente compromettendone l’autorità — e anche la forza con cui può trattare con Stati Uniti e Russia. Secondo Karatnycky l’unica soluzione per Zelenskyj in questo momento sarebbe approvare una serie di riforme per ridurre in modo sensibile i poteri della presidenza. (POLITICO)
Ucraina: logoramento militare sul fronte orientale, esodo di giovani sul fronte interno
La situazione sul campo in Ucraina è sempre più difficile per le truppe di Kiev. A Pokrovsk, città chiave del Donbass, le forze ucraine rischiano l’accerchiamento: Mosca continua ad avanzare approfittando di una sproporzione numerica ormai schiacciante – oltre 5 a 1 tra i due eserciti, e fino a 8-9 a 1 nelle aree di combattimento più attivo. Una guerra di logoramento in cui la Russia mobilita 25-30mila uomini al mese, mentre Kiev fatica a sostituire le perdite. Sul fronte interno, intanto, si apre un’altra linea di crisi: circa 100mila giovani ucraini tra i 18 e i 22 anni hanno lasciato il Paese verso la Polonia da agosto a oggi. Una fuga dettata dalla paura del richiamo, dall’assenza di prospettive e dal peso di quattro anni di guerra totale. A fine estate Zelensky ha firmato un decreto che consente ai giovani di lasciare l’Ucraina, pur mantenendo l’obbligo di leva dai 25 ai 60 anni: un tentativo di non distruggere completamente la generazione che domani dovrebbe ricostruire il Paese, mantenere un peso comunicativo in Europa e prevenire rivolte familiari. Ma la domanda incombe: quanti di questi giovani torneranno in un’Ucraina segnata da lutti, amputazioni, traumi, comunità sradicate? Chi potrà davvero ricostruire ciò per cui ci si batte al fronte? Con Sabato Angieri de Il Manifesto proveremo a leggere insieme le due facce della stessa guerra: da un lato il terreno militare, sempre più difficile; dall’altro la società ucraina, logorata da anni di conflitto senza riuscire ad immaginarne una fine.
Come rubare legalmente (?) i soldi alla Russia
Le autorità europee continuano a essere in tensione — e confusione — su come utilizzare i beni russi congelati, molti fin dall’invasione dell’Ucraina, per assistere Kyiv. Durante il vertice di Bruxelles di venerdì, è stato eliminato il passaggio in cui il Consiglio europeo invitava la Commissione europea a presentare un piano per l’“utilizzo graduale dei saldi di cassa collegati ai beni russi congelati.” Il testo è stato stralciato perché nonostante si proseguisse in modo sereno, ovvero che l’operazione sarebbe “in conformità del diritto UE e internazionale,” in realtà ci sono molti dubbi su come effettivamente realizzare l’operazione. A monte c’è il problema che si vorrebbe arrivare a soluzioni per l’Ucraina che siano economiche e rapide — pretese impossibili dopo anni di guerra, a tratti anche intensa. Ma a prescindere dal caso specifico — e dai possibili ricorsi di Mosca — l’Europa è pronta a un mondo in cui i beni all’estero possono essere congelati e a rischio di essere confiscati da qualunque autorità internazionale? Concludiamo la puntata su un tema più leggero, per modo di dire: il progressivo ma inesorabile avvicinamento di Calenda e del suo partito alle forze di governo; avvicinamento che anche Meloni sembra guardare con molto interesse. Con: Stefano Colombo, Arianna Bettin, Alessandro Massone Scusate i problemi tecnici al microfono di Stefano. Stiamo lavorando perché non si ripetano The Submarine racconta il mondo dalla parte molti. Sostieni la nostra informazione indipendente, ricevi tutti i giorni tutte le informazioni che ti servono Iscriviti gratis per 7 giorni