Allarme università: è ora di mobilitarsi
Sono molto grato a Roars per la pubblicazione di questo mio intervento, che va
inteso come un segnale di allarme rivolto a tutta la comunità universitaria
italiana.
I processi che avevo tratteggiato in Libera università (uscito nello scorso
febbraio) sono puntualmente partiti, e le prossime settimane saranno decisive:
la ‘riforma’ dell’università per la quale il governo aveva avuto delega
parlamentare sarà approvata entro l’anno come collegato alla legge di stabilità.
Dunque, se c’è un momento in cui mobilitarsi, quel momento è ora.
Il progetto è molto chiaro: svuotare l’articolo 33 della Costituzione, mettendo
quanto più possibile l’università sotto il controllo del potere esecutivo. Il
modello è l’Ungheria di Orbán, già adottato come tale negli USA di Trump e
Vance. E l’università non è ovviamente l’unico bersaglio: manifestazioni di
piazza, libera stampa, magistratura sono egualmente nel mirino. Il potere
esecutivo deve poter tutto controllare, in un disegno illiberale che torce la
nostra democrazia in una forma autoritaria.
Gli strumenti sono sul tavolo: a partire dalla progettata presenza del governo
nei CdA degli atenei (dove oggi siedono già ben due revisori dei conti nominati
da Mur e Mef: ma qua si vuole una presenza ‘politica’, con diritto di voto), e
dal controllo governativo della valutazione di università e ricerca (attraverso
la ‘riforma’ dell’Anvur). In ‘cambio’ il governo offre un sostanziale arbitrio
locale nel reclutamento, il prolungamento dei mandati rettorali attuali (cioè
due mali) e forse un piano straordinario di qualche generosità. Un piatto di
lenticchie, avvelenate.
In un Paese normale, a reagire dovrebbe essere in primo luogo la Crui, la
conferenza dei rettori: visto che se passa la riforma del CdA, i rettori
taglieranno nastri, e poco di più (e come insegna Orbán, questo sarebbe solo
l’inizio…). Ecco, questa reazione non ci sarà.
La nuova presidenza Crui (salutata con entusiasmo mai visto dalla stampa di
estrema destra) ha chiarito che ‘non farà politica’. Quando mi sono accorto che
all’audizione parlamentare sulla riforma Anvur del 21 ottobre, Crui risultava
rappresentata da due colleghi uno dei quali siede al tavolo della riforma 240 (e
non per indicazione Crui, ma per scelta del governo) ho chiesto spiegazioni
sulla chat delle rettrici e dei rettori, domandando anche notizie circa la linea
che avremmo espresso: ebbene, la reazione è stata la chiusura in diretta della
chat stessa, che sarà trasformata in un canale broadcast in cui parli solo la
presidenza. L’asilo Mariuccia al tempo di Salò si sarebbe regolato meglio. Ed è
evidente che a questo punto il dibattito si sposta, per quanto mi riguarda,
anche fuori da Crui, visto il clima di intimidazione ed evidente collateralismo
al governo (i lettori di Roars già conoscono la vicenda della mia lettera
relativa alle borse Iupals e alla circolare Mancini inoltrata sulla chat, e
subito messa alla berlina su «Libero» e «il Giornale»…).
Poi la presidenza ha finalmente comunicato la linea Crui per l’audizione:
> «In relazione al d.p.r. Anvur e [sic] condivisibile l’obiettivo generale di
> rafforzare la proiezione internazionale dell’Agenzia semplificandone al
> contempo parte delle procedure operative. Alcune previsioni specifiche
> dell’articolato contrastano però con questo obiettivo laddove prevedono una
> limitazione del grado di autonomia dell’Anvur che ne metterebbe seriamente a
> rischio l’appartenenza alle organizzazioni ed europee e internazionali di
> valutazione della ricerca, e vanno conseguentemente modificate. Tale adesione
> è presupposto indispensabile per l’accreditamento dei corsi di
> specializzazione in medicina, per la partecipazione a titoli congiunti a
> livello europeo e per permettere che ad Anvur vengano affidati compiti di
> valutazione d parte di sistemi universitari di altri paesi».
Tralasciamo la forma italiana: per carità di patria, e perché è il contenuto che
preoccupa. Bene sottolineare che la conseguenza sarà l’uscita di Anvur dalle
organizzazioni di valutazione internazionali: ma questo è solo uno degli effetti
di una causa che non si ha nemmeno il coraggio di nominare. Questo elefante
nella stanza è il controllo del governo, dell’esecutivo, della maggioranza
politica, sulla valutazione dell’università. Un dispositivo di disciplinamento
politico – sia chiaro – che sarebbe egualmente grave se opposto fosse il segno
politico del governo: l’università deve essere libera dal governo in quanto
tale, da qualunque governo. Per i prossimi giorni è stata anche convocata una
assemblea straordinaria Crui sul tema: «Revisione L. 240/2010 – Governance:
Senato, CdA, ruolo del Rettore e Direttore Generale». Un tema come si vede
limitato e marginale (!) per una assemblea telematica programmata per ben un’ora
(!!), e senza che possiamo discutere nessun articolato (!!!). Una linea che
definire inadeguata è un benevolo eufemismo.
Naturalmente, un gruppo di rettrici e rettori consapevoli dei rischi del momento
si sta organizzando in chat e consultazioni indipendenti, attrezzandosi per
difendere l’autonomia. Ma spero che le comunità dei vari atenei inducano proprio
tutti i miei colleghi e tutte le mie colleghe della Crui a cambiare velocemente
passo. Difendere l’autonomia dell’università non significa ‘fare politica’ in
senso deteriore, significa invece permettere che l’università conservi la
libertà garantita dalla Costituzione. Senza libertà, non c’è università. Al
giuramento imposto dal governo nel 1931 disse ‘no’ solo una quindicina di
professori (il numero canonico è 12) su 1251: oggi come andrà a finire?