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Francesca Albanese all’ONU: “l’Italia rischia l’accusa di complicità”
Il 28 ottobre 2025, Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, presenta all’ONU il suo nuovo rapporto sul genocidio a Gaza. Nella conferenza stampa a New York, Albanese denuncia la complicità internazionale e avverte: “L’Italia rischia l’accusa di complicità nei crimini di Israele”. Qui il video su youtube doppiato da Frontezero da cui è ricavato questo testo Francesca Albanese: “Grazie mille. Buongiorno o buon pomeriggio a tutti coloro che si trovano a New York e buonasera a chi è a Città del Capo. Devo dire che sono felice, onorata e commossa di essere in Sud Africa, anche se mi rammarico profondamente di non poter presentare la mia relazione di persona a New York, presso la sede delle Nazioni Unite, come Relatrice Speciale delle Nazioni Unite tutelata dallo Statuto dell’ONU e dalle Convenzioni sulle Prerogative e Immunità delle Nazioni Unite, a causa delle sanzioni illegali imposte contro di me semplicemente per aver adempiuto al mio mandato. Sono qui per discutere e presentare alla stampa il mio ultimo rapporto. Il genocidio a Gaza, un crimine collettivo. In questo rapporto sostengo che il genocidio commesso da Israele a Gaza fa parte di un sistema internazionale di complicità. Il diritto internazionale è molto chiaro. Gli Stati non devono né assistere né contribuire agli atti illeciti internazionali di altri Stati. Al contrario, devono prevenirli, fermarli e punirli. Questi non sono atti di carità, ma obblighi giuridici derivanti dalla violazione di norme imperative del diritto internazionale. Essi impongono la sospensione immediata dei legami militari, economici e diplomatici con Israele fino a quando i suoi crimini non cessino e la ricerca della giustizia per i sopravvissuti attraverso la punizione dei responsabili e dei loro complici. Il mio rapporto mostra invece come alcuni stati influenti, con l’acquiescenza di molti altri, abbiano fornito a Israele sostegno diplomatico, militare, economico e ideologico, rafforzando, anziché smantellare, il suo sistema coloniale di insediamento e di apartheid che negli ultimi due anni ha assunto una dimensione genocidaria. Ritengo che nessuno Stato possa credibilmente sostenere di difendere il diritto internazionale mentre arma, sostiene e protegge un regime genocida. Gli Stati terzi, comportandosi in questo modo, violano il loro dovere di prevenire il genocidio, l’apartheid e, ancora di più, la conquista territoriale, continuando a fornire a Israele aiuti, armi e copertura politica, nonostante le crescenti prove del suo intento genocidario. La Corte Internazionale di Giustizia si è già espressa tre volte sul rischio di genocidio, a gennaio, a marzo e a maggio 2024, e ciò ha fatto scattare l’obbligo per gli Stati di prevenire, fermare e punire gli atti di genocidio e l’incitamento al genocidio. Eppure, gli Stati continuano a oscurare, ignorare e perfino trarre profitto dalle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. La cooperazione militare è probabilmente la forma più significativa di complicità, perché attraverso il commercio di armi e la condivisione di intelligence, alcuni Stati, più di altri, hanno alimentato la macchina bellica israeliana. Gli Stati Uniti e la Germania da soli hanno fornito il 90% delle importazioni di armi di Israele, ma almeno 26 Stati, tra cui l’Italia, il mio paese, figurano tra quelli che hanno fornito o facilitato il trasferimento di componenti d’arma a Israele, mentre molti altri continuano a comprare armi testate sui palestinesi. Commercio e investimenti hanno sostenuto e tratto profitto dall’economia israeliana. Le esportazioni di elettronica, prodotti farmaceutici, energia, minerali e beni a duplice uso hanno raggiunto un totale di 474 miliardi di dollari statunitensi, aiutando Israele a finanziare le proprie operazioni militari. E mentre l’Unione Europea è stata così rapida nell’imporre sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, continua ancora oggi a essere il principale partner commerciale di Israele. Nel frattempo, il Nord America e diversi Stati Arabi continuano ad approfondire i propri legami economici con Israele, e solo pochi Stati hanno ridotto marginalmente il commercio durante il genocidio, mentre i flussi commerciali indiretti persistono. Devo dire che uno degli aspetti più sadici di questo genocidio è la strumentalizzazione degli aiuti umanitari. Ciò che è iniziato con il blocco illegale e con gli attacchi contro l’UNRWA si è trasformato in una completa sottomissione degli aiuti alla volontà di Israele e degli Stati Uniti, privandoli del loro ruolo protettivo. Queste misure, sostenute o approvate dagli stati membri, hanno ovviamente aggravato le condizioni di vita a Gaza. Il problema, purtroppo, è profondamente ideologico, poiché i leader occidentali hanno ripetuto la propaganda israeliana, riproponendo il mantra della legittima difesa e rispolverando tropi coloniali che descrivono i palestinesi come esseri inferiori, come terroristi per definizione e inquadrando la distruzione di Gaza come una battaglia della civiltà contro la barbarie, eliminando così la distinzione tra civili e combattenti. Concludendo queste osservazioni iniziali, desidero sottolineare, parlando dalle radici della Madre Africa, quanto mi sorprenda vedere quanto poco abbiano fatto molti Stati appartenenti alla maggioranza globale o cosiddetto Sud Globale, inclusi quelli del continente africano, una volta liberatisi dell’oppressione coloniale per affrontare questo genocidio. Solo 14 Stati hanno aderito all’importante decisione del Sud Africa di avviare la storica causa per genocidio contro Israele dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. E vedete, non si tratta solo della Palestina, si tratta della sopravvivenza stessa delle Nazioni Unite, dei loro valori e principi fondamentali. Dalle rovine dell’oppressione dobbiamo forgiare un nuovo multilateralismo, non a servizio dei pochi, ma dei molti, fondato sulla dignità umana, l’uguaglianza dei diritti e la giustizia”. Stefano Vaccara ITALPRESS New York: “Durante la sua presentazione, non a noi giornalisti, ma agli Stati membri, ci sono state reazioni molto dure da parte dell’ambasciatore israeliano, ma anche da parte dell’Italia, il suo Paese. La mia domanda è: che messaggio vuole mandare al suo governo e al suo popolo riguardo a ciò che le è accaduto. E poi un’altra domanda molto importante di cui si è discusso anche qui oggi. Ritiene che il Segretario Generale abbia fatto tutto ciò che era in suo potere per difenderla, o avrebbe dovuto fare di più”? Francesca Albanese: “Ho ricevuto dall’Assemblea Generale molto sostegno e apprezzamento per le mie conclusioni, anche da parte di Stati membri che sono citati nel rapporto. Tra questi vi sono Paesi arabi, ma anche Stati come il Sudafrica o la Colombia. Ci sono anche Stati menzionati e messi in evidenza nel rapporto che non hanno preso la parola, e considero questo un segnale positivo. C’è poi stata una folla di Stati membri che normalmente non partecipano ai miei dialoghi interattivi, tra cui l’Italia, l’Ungheria e la Romania, che invece si sono presentati per sostenere le parole di Israele. E sa, io accolgo le critiche in modo costruttivo. Come ho detto a Ungheria e Italia: va bene. Mi accusate di fare affermazioni politiche, per esempio, così potrò correggermi. Perché ciò che sto dicendo non è politico, sto rispondendo alle risultanze del mio rapporto. Il fatto è che voi state sostenendo diplomaticamente, politicamente, militarmente ed economicamente uno stato che oggi è davanti a due corti internazionali per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E questo vi espone, voi e i vostri funzionari di governo, al rischio di essere considerati complici di genocidio, e saranno i tribunali nazionali e forse anche la Corte Penale internazionale, a giudicarvi. Mi sembra che tutto questo clamore serva soltanto a distogliere l’attenzione dalle conclusioni del mio rapporto. E dopo tre anni di continue esposizioni e attacchi, devo dire che ormai non sento quasi più quelli personali. Ciò che sento più forte è il grido che arriva da Gaza, che chiede la fine della brutalità e del genocidio. Il grido che viene dalla Cisgiordania, che chiede la fine della pulizia etnica. E il grido della gente, anche nel mio stesso paese, stanca e disgustata da questo genocidio in corso. Il governo deve rispondere alle centinaia di migliaia di persone che scendono in piazza, ai lavoratori che scioperano, alle persone e soprattutto ai giovani, per i quali questo genocidio è una memoria che si sta formando ora. Devono rispondere a loro sul perché continuano a fornire armi a Israele, non a me, a loro. Io qui parlo come relatrice speciale delle Nazioni Unite, quindi non importa se le critiche vengono dal mio governo o da un altro, sono loro che devono rispondere alle accuse contenute nel mio rapporto. E riguardo al segretario generale: non ho alcun commento. Nessun commento”. Evelyn Leopold: “Che bello vederla. Pensi che il 7 ottobre sia stato un punto di svolta? Intendo dire, credi che ciò che è accaduto al 7 ottobre sia stato un punto di svolta”? Francesca Albanese: “Credo che ciò che è accaduto al 7 ottobre debba essere raccontato agli israeliani e al mondo per ciò che realmente è stato. Penso che nessuno di noi abbia avuto il tempo di comprendere pienamente cosa sia accaduto, perché sono state attaccate basi militari e in parte l’attacco ha colpito obiettivi militari israeliani. Tuttavia, gli attacchi diretti contro i civili israeliani sono stati crimini, crimini commessi da gruppi armati palestinesi, ma, come dimostrano crescenti prove, anche dall’esercito israeliano stesso. C’è la commissione d’inchiesta che ha indagato su questi eventi al meglio delle sue capacità e che ha già pubblicato un rapporto un anno e mezzo fa. Ciò che invece io considero davvero un punto di svolta è stato l’intento genocidario che ha trasformato un regime coloniale di insediamento e di apartheid in un genocidio. Questo è iniziato il 9 ottobre, quando è stato espresso chiaramente l’intento di tagliare cibo, acqua, medicine, carburante ai palestinesi, definiti animali umani, trattando un intero popolo come il nemico naturale degli israeliani. Per me, dunque, il 9 ottobre 2023 è stato il vero punto di svolta. Giornalista: “Vorrei farle due domande. La prima, ci può dire se ha subito restrizioni di viaggio quando ha cercato di ottenere i documenti per recarsi a New York? Credo che ci sia un po’ di confusione sul fatto se le sanzioni imposte contro di lei includano o meno il divieto di viaggio negli Stati Uniti. La seconda domanda è questo è il suo ultimo rapporto e anche diversi altri commissari che hanno lavorato con lei stanno lasciando il loro incarico. Le chiedo, teme che quanto accaduto a lei e ai suoi colleghi, considerando gli attacchi personali e le minacce alla sua sicurezza fisica, possa scoraggiare in futuro altre persone dal volere affrontare o denunciare questioni come questa e dall’assumere ruoli di esperti ONU su temi così delicati”? Francesca Albanese: “Sì, giusto per chiarire perché mi sembra che oggi ci sia un po’ di confusione. La commissione d’inchiesta presieduta da Navanethem Pillay ha presentato il suo ultimo rapporto, ma il mio mandato prosegue ancora per due anni e mezzo quindi a meno che non accada qualcosa di significativo dovrei restare in carica fino al 2028. Per rispondere alla sua domanda sono stata la prima esperta delle Nazioni Unite anzi la prima persona legata all’ONU a essere sanzionata da uno Stato e per di più da uno degli stati più potenti della comunità internazionale. Come ho detto oggi agli stati membri ciò rappresenta un affronto alle Nazioni Unite stesse ai loro principi alla loro essenza più profonda. Sono sorpresa che da luglio non siano stati compiuti stati concreti al di là di dichiarazioni e condanne che naturalmente apprezzo molto ma che non risolvono il problema. Le sanzioni non sono state revocate e continuano a limitarmi in modo gravissimo sia dal punto di vista finanziario che pratico. Le difficoltà per me sono molte ma preferisco discuterne con gli stati membri e non con i media perché non voglio distogliere l’attenzione dal contenuto che riguarda il genocidio in Palestina. Per quanto riguarda le restrizioni di viaggio il divieto d’ingresso è una conseguenza diretta delle sanzioni che sono illegali in quanto contrario allo Statuto delle Nazioni Unite e alla Convenzione ONU sui privilegi e le immunità. Come esperta ONU lavoro a titolo gratuito, con grande sacrificio e disciplina perché sono costantemente sotto osservazione. Per questo presto la massima attenzione affinché i dati e le conclusioni dei miei rapporti siano solidi, verificati e comprovati. A tutti gli stati membri più di 60 il mio rapporto è stato inviato una settimana prima della presentazione per permettere di inviare osservazioni. Capisco che alcuni si siano lamentati di non aver avuto abbastanza tempo, ma vorrei invitarli a trascorrere anche solo un giorno della mia vita dovendo gestire le sanzioni il genocidio in corso e tutto il resto. Facessero il loro lavoro mentre io continuo a fare il mio con diligenza. Io opero in spirito di fiducia ho fiducia nelle Nazioni Unite e mi aspetto che esse difendano la Convenzione sui privilegi e le immunità. Come dicevo le sanzioni includono un divieto di viaggio e sanzioni economiche imposte non solo a me ma anche a chiunque abbia rapporti economici con me compresa la mia famiglia. Avevo fatto domanda per recarmi negli Stati Uniti ma sinceramente il processo è stato talmente complicato e lungo che alla fine ho pensato che non valeva la pena entrare in conflitto con gli Stati Uniti solo per la mia presenza a Ney York. Sono felice di essere in Sud Africa, fra persone che meritano la mia presenza”. Abudullah Midsayem del quotidiano arabo Al-Quds: “Grazie Francesca. Ho due domande e forse un breve seguito. La prima riguarda la Corte Penale Internazionale. Come sappiamo la CPI persegue i crimini commessi da individui non da Stati. La Corte ha emesso due mandati di arresto nei confronti di due persone, il primo ministro e il ministro della difesa israeliani. La prima volta se ne è parlato il 20 maggio ma i mandati sono stati emessi il 21 novembre, se non erro. Dall’ora dal 20 maggio a oggi nessun altro individuo è stato incriminato, nonostante i continui crimini di guerra crimini contro l’umanità e atti di genocidio, come la distruzione di ospedali, cliniche, depositi di cibo e così via. Eppure la CPI non ha emesso nemmeno un nuovo mandato di arresto dopo quei due. Cosa ne pensa? Perché la Corte Penale Internazionale non sta svolgendo adeguatamente il proprio compito? La seconda domanda riguarda invece il contesto del 7 ottobre. Sembra che Israele e i suoi alleati vogliano che la storia inizi il 7 ottobre, senza nulla prima e senza nulla dopo. Vogliono che si guardi solo alle persone uccise in Israele o a ciò che accade in Cisgiordania a partire dal 7 ottobre, come se fosse un nuovo 11 settembre. Ma come lei sa il genocidio del popolo palestinese non è cominciato il 7 ottobre 2023, né il 6, ma nel 1948. Come mai allora molti funzionari delle Nazioni Unite non riescono a collegare i puntini, a mettere in relazione quanto accaduto ai palestinesi da allora quando furono sradicati dalle loro case costretti alla fuga trasformati in rifugiati attraverso guerre su guerre, 1956, 1967, 1973,  1982 e poi 5 guerre solo su Gaza! Perché secondo lei non si ricostruisce il quadro completo collegando ciò che è accaduto prima del 7 ottobre a ciò che sta accadendo oggi? Grazie”! Francesca Albanese: “Guardi è vero, La Corte Penale Internazionale ha emesso soltanto due mandati di arresto e la domanda che io porrei rispondere è perché ha dovuto aspettare fino all’autunno del 2024 per farlo dal momento che il colonialismo di insediamento era già in corso da tempo e quindi anche le aggressioni contro il popolo palestinese, gli sfollamenti forzati, l’uso sistematico della tortura contro i detenuti palestinesi, la detenzione arbitraria. Ma vorrei spostare l’attenzione su un altro aspetto che non è marginale e che si è manifestato negli ultimi mesi. La Corte Penale Internazionale è stata sottoposta a pressioni senza precedenti. Ricordo che diversi stati hanno violato il loro obbligo di cooperare con la Corte e di arrestare le persone oggetto di mandato, consentendo ad esempio al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ricercato dalla CPI, di utilizzare il proprio spazio aereo. L’Ungheria, per esempio, si è di fatto sottratta allo statuto di Roma dichiarando che non arresterà Netanyahu e lo stesso ha fatto la Polonia. Una realtà in cui certe critiche legittime alla CPI trovano effettivamente fondamento, ma dove allo stesso tempo il diritto internazionale compreso quello penale internazionale può esistere solo se gli stati lo applicano. La Corte Penale Internazionale non ha una propria polizia, ecco perché la Corte è di fatto strangolata. Mi chiedo se di questo passo, tra 5 o 10 anni, la Corte Penale Internazionale esisterà ancora. E non stiamo parlando di un futuro distopico, stiamo già vivendo in un presente distopico in cui stati influenti non rispettano più le regole, dichiarano apertamente di non avere più bisogno di un sistema internazionale, agiscono secondo il principio la forza fa il diritto. E c’è una sola forza capace di fermare questa realtà aberrante e distopica: noi, cittadini comuni! Negli Stati Uniti, in Europa e anche in questo continente e però di fronte ai crimini commessi contro i palestinesi restiamo sempre più in silenzio e per me la Palestina è la prova decisiva! Dunque, ripeto, il problema non riguarda singoli individui o la Corte Penale Internazionale in sé, ma è sistemico e generalizzato. Per quanto riguarda la seconda domanda, sono d’accordo con lei la storia non è iniziata il 7 ottobre, la violenza in Palestina o in Israele e Palestina non è certo cominciata quel giorno: non ho bisogno di esserne convinta, ho già scritto sette rapporti su questo. Mi chiede perché i funzionari delle nazioni Unite non prendano una posizione più ferma! Lei è a New York perché non lo chiede direttamente a loro? Io non posso rispondere al loro posto”! Giornalista: “Onestamente sì, glielo ho chiesto molte volte anche al Segretario Generale che lo aveva menzionato una volta e non lo ha mai più ripetuto, questo perché dopo quella dichiarazione gli fu chiesto di dimettersi e venne attaccato duramente, proprio come attaccano lei ora da allora non ha più ripetuto che il 7 ottobre non è venuto dal nulla”. Afra Kousagi di Arab News Daily: “Grazie, grazie mille è un piacere vederla signora Albanese! Lei ha detto che tutto questo riguarda anche la sopravvivenza delle Nazioni Unite, in base ai loro principi e valori fondamentali.  Può approfondire questo concetto? Quali sono le sue preoccupazioni per il futuro di questa organizzazione considerando che molti dei paesi citati nel suo rapporto, in particolare quelli occidentali, si vantano di difendere il diritto internazionale i diritti umani e le convenzioni internazionali. Alla luce di tutto questo che significato ha oggi il diritto internazionale, anche dal punto di vista di una giurista come lei”. Francesca Albanese: “No, credo che gli stati membri, come lei dice, non possano più dirsi fieri di difendere il diritto internazionale. Non lo fanno più non ne sentono il bisogno. E l’ipocrisia di molti è ormai talmente evidente che capisco perché non fingono più di volerlo difendere. In certi contesti sì, invocano il diritto internazionale contro la Russia per porre fine alla guerra in Ucraina e penso che questo sia giusto.  Ma i doppi standard sono talmente clamorosi da risultare patetici. E poi penso a tutti gli altri popoli che stanno morendo mentre gran parte della comunità internazionale distoglie lo sguardo: pensiamo al Sudan, al Congo. Ci sono oltre 50 conflitti in corso e non c’è alcuna vera attenzione, alcuna cura, solo parole sporadiche, superficiali e prive di conseguenze. Credo che questo momento storico sia, come ho spesso detto, apocalittico, nel senso che mostra l’apocalisse fisica di Gaza, ma rivela anche chi siamo come individui, come comunità come stati e come organizzazioni.  Le Nazioni Unite sono state create per proteggere la pace e la stabilità, per prevenire i conflitti e per molto tempo ci sono riuscite, almeno evitando una guerra nucleare. Ma a Gaza hanno fallito miseramente. Hanno fallito nel far rispettare il diritto internazionale che per me, come giurista, rappresenta la responsabilità più grave. L’ho detto sin dal 10 ottobre 2023: Israele non può invocare la legittima difesa, l’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, non si applica in un contesto di occupazione permanente, si applica solo nei conflitti tra stati. Se Israele o i suoi alleati sono convinti che Hamas, o qualsiasi gruppo armato palestinese privo di un esercito, di carri armati o di caccia F-35, costituisca una minaccia alla sicurezza di Israele tale da giustificare l’uso della forza, allora dovrebbero rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia e chiedere un nuovo parere consultivo. Perché fino ad oggi il diritto internazionale impedisce a Israele di invocare la legittima difesa, mentre occupa illegalmente un territorio che non gli appartiene. Israele deve ritirare le sue truppe, smantellare le colonie, smettere di sfruttare le risorse palestinesi e di praticare un sistema di apartheid e segregazione razziale nei confronti dei palestinesi. Questa funzione, quella di promuovere, ospitare e favorire un dialogo volto a fermare la brutalità e le violazioni del diritto umanitario internazionale, ha fallito. Come ho detto nelle mie osservazioni iniziali, ciò che trovo più deprimente è quanto è accaduto alla funzione umanitaria delle Nazioni Unite, anche essa ha fallito. Le Nazioni Unite nel loro insieme hanno permesso lo smantellamento quasi completo della loro funzione umanitaria a Gaza, a seguito del durissimo colpo subito dall’URWA. Il fatto è che gli stati membri, perché in fin dei conti le Nazioni Unite sono un’organizzazione intergovernativa, una coalizione, una famiglia di stati, non sono stati in grado di isolare e contenere i due stati che oggi rappresentano una minaccia per la pace e la sicurezza nella regione araba e oltre, Israele e gli Stati Uniti. E tutto questo continua. Dall’11 ottobre in poi, gli stati membri continuano a parlare di pace, di cessate il fuoco, ma la mediocrità e l’ipocrisia di questo dibattito mi lasciano senza parole. Non so più cosa dire, quasi 100 palestinesi sono stati uccisi e circa 350 feriti, eppure si continua a fingere che la situazione stia migliorando. Continuano a essere affamati, gli aiuti non entrano. Gli ostaggi israeliani, fortunatamente, sono stati liberati e hanno potuto tornare sani e salvi nelle loro case, mentre i palestinesi no. I corpi dei palestinesi trattenuti sono stati restituiti profanati, con segni di tortura, e questo mostra l’arroganza di Israele, che ormai non conosce vergogna. I prigionieri palestinesi o, meglio, gli ostaggi palestinesi, che sono stati rilasciati, raccontano le torture subite. Ci sono ancora 10.000 palestinesi detenuti nelle carceri israeliani, e nulla cambia. Mi chiedo cosa tutto questo significhi per le nuove generazioni. Perché la mia generazione è cresciuta con un ideale, un senso di fiducia nelle Nazioni Unite, che oggi hanno miseramente fallito nel sostenere la propria carta. E cosa dice questo del diritto internazionale? Beh, penso che il diritto internazionale abbia una storia diversa, perché è un sistema di norme che serve a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Oggi il diritto internazionale viene invocato dalle persone comuni, dalle masse, contro il genocidio, contro l’apartheid, contro i crimini di Israele. Forse gli stati membri, i diplomatici e i funzionari non se ne rendono ancora conto, ma stiamo vivendo una fase di accelerazione. Siamo già nel futuro, un futuro in cui, mi dispiace dirlo, le Nazioni Unite stanno diventando sempre più irrilevanti. E lo dico con rammarico, perché vorrei invece vedere le Nazioni Unite rialzarsi, raddrizzare la schiena, restare salde e fedeli ai propri principi. Ma, temo, non è questa la direzione verso cui stiamo andando”. Paolo  Mastrolilli, del quotidiano La Repubblica. “Grazie mille. Vorrei tornare a ciò che lei ha detto sull’Italia nel suo rapporto. Cosa dovrebbe fare concretamente l’Italia per conformarsi alle raccomandazioni contenute nel suo rapporto? Smettere di vendere armi? Interrompere i rapporti commerciali con Israele? Quali sono, in pratica, i passi concreti che lei si aspetta dall’Italia”? Francesca Albanese: “Una cosa positiva sarebbe che il governo italiano leggesse i miei rapporti e si confrontasse seriamente con i loro contenuti e con le conclusioni, invece di diffondere accuse infondate che servono solo a distogliere l’attenzione dal cuore della questione. L’Italia sta mostrando un livello di immaturità politica che non ho riscontrato in nessun altro paese. Ho avuto il privilegio, o forse la sfortuna, di assistere all’intervento dell’ambasciatore italiano, e devo dire che verrà ricordato come ridicolo, perché non ha toccato nemmeno uno dei punti concreti del mio rapporto. Avrebbe potuto dire, no, ciò che lei afferma sull’Italia non è vero e le spiego perché, ma non l’ha fatto, si è limitato ad accusarmi di fare dichiarazioni politiche. E questo, ancora una volta, mostra una mancanza di maturità politica che non riconosco nel paese in cui sono cresciuta, un paese che un tempo aveva una rispettabile tradizione diplomatica. Per quanto riguarda ciò che l’Italia dovrebbe fare, la risposta è semplice, rispettare il diritto internazionale, smettere di difendere Israele come se fosse un proprio ufficiale in comando, interrompere i rapporti commerciali ed economici, in particolare la vendita di armi e componenti d’arma. Fare ciò che chiedono i portuali e i cittadini italiani che stanno scioperando, ovvero che i porti italiani non siano più utilizzati come punti di transito per le merci israeliane dirette al mercato europeo, né per il passaggio di armi o componenti militari provenienti da altri paesi europei verso Israele. Così facendo, oggi l’Italia sta violando le proprie stesse leggi, perché la normativa italiana prevede controlli sui carichi diretti verso paesi extra-UE e tali controlli non vengono effettuati. Viola anche la Costituzione, che proibisce di partecipare a guerre e viola gli obblighi internazionali, inclusi quelli di prevenire il genocidio. Non si tratta di un’opinione personale e non solo di quanto affermo io, o la Commissione d’Inchiesta ONU, o il Comitato Speciale ONU sulle Pratiche Israeliane, o gli studiosi di genocidio, ma è la stessa Corte Internazionale di Giustizia ad averlo stabilito. Nel gennaio 2024 la Corte ha riconosciuto il rischio di genocidio. Questo ha attivato l’obbligo per l’Italia e per tutti gli altri Stati interessati di interrompere immediatamente il commercio con Israele, in particolare quello di armi. Finché l’Italia non lo farà, continuerà a violare il diritto internazionale e rischierà di essere considerata complice dei crimini commessi da Israele. E proprio per questo il Governo italiano è stato denunciato da un’organizzazione composta da avvocati italiani che ha presentato un ricorso alla Corte Penale Internazionale. È una questione molto seria”. Mu dell’Agenzia giapponese Kyoto News. “Grazie per la conferenza stampa. Vorrei fare una domanda di approfondimento riguarda le sanzioni imposte contro di lei dagli Stati Uniti per chiarirne meglio i dettagli. Dopo l’imposizione delle sanzioni, ha mai avuto un dialogo con il governo statunitense in merito? E inoltre, ha ricevuto qualche consiglio o commento da parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite riguardo a queste sanzioni? Grazie”. Francesca Albanese: “Non ho avuto alcun contatto con gli Stati Uniti. Per quanto riguarda il sostegno ricevuto finora dalle Nazioni Unite, preferisco non commentare. Giornalista: “Ho due domande. La prima è un approfondimento su quanto ha detto riguarda l’Italia, o meglio, riguarda il ruolo dei Paesi Terzi. Lei ne ha parlato ampiamente, anche nel suo rapporto, ma vorrei capire perché, secondo lei, questi Paesi Terzi ignorano il diritto internazionale, ignorano le proprie stesse leggi e accettano persino il rischio di essere ritenuti legalmente responsabili. La seconda domanda riguarda i media e la costruzione del consenso. Lei ha accennato al ruolo dei media, ma potrebbe approfondire, inserendo la questione in un contesto più ampio? In particolare, come vede il comportamento dei grandi media occidentali di fronte a questo genocidio? E, in generale, il modo in cui trattano le guerre, come ad esempio l’invasione dell’Iraq”? Francesca Albanese: “Guardi, alla domanda sul perché così tanti Stati preferiscano violare il diritto internazionale piuttosto che rispettarlo, direi che, da un lato, non temono conseguenze, perché il diritto internazionale si fonda sul principio di reciprocità. Io rispetto la legge sapendo che anche gli altri, in buona fede, la rispetteranno. Ma, naturalmente, le conseguenze delle violazioni dipendono dall’efficacia del sistema nel reagire e oggi questa efficacia è quasi nulla. In passato, come dimostra la storia del Sudafrica e dell’Apartheid, molti stati membri inizialmente proteggevano il regime sudafricano, ma poi furono spinti e costretti ad agire, grazie alla solidarietà globale e anche alla pressione di altri Stati membri all’interno dell’Assemblea Generale. All’epoca, membri chiave del Consiglio di Sicurezza, gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme a Israele, al di fuori del Consiglio, erano tra i principali alleati del Sudafrica. Ma ciò che allora fece la differenza fu l’unità del movimento dei paesi non allineati, il cosiddetto Sud globale o maggioranza globale. Oggi quell’unità si è sgretolata. Israele è riuscita a costruire un’influenza politica, economica e militare in molte aree della maggioranza globale, in Africa, in America Latina, in Asia. Poi c’è un secondo elemento, l’ideologia. Nel Nord globale o minoranza globale, esiste una forte affinità ideologica con Israele, almeno tra coloro che detengono il potere. In parte questo deriva anche da pregiudizi antimusulmani. I palestinesi vengono percepiti come meno degni di protezione. E questo, per quanto indicibile, è un dato di realtà. Un altro aspetto ideologico spesso ignorato è la penetrazione del sionismo cristiano, che sta rendendo molte società del Sud globale meno sensibili alla questione palestinese. Lo vedo chiaramente attraverso il mio dialogo con stati, ONG e gruppi religiosi in Asia, Africa e America Latina. Si tratta di un problema crescente che manipola la percezione di ciò che accade in Palestina e distorce la narrazione. Poi naturalmente c’è il fattore economico, il profitto. Molti stati collaborano con Israele, testando armi e tecnologie di sorveglianza sulla pelle dei palestinesi. E tragicamente anche paesi che non hanno relazioni diplomatiche dirette con Israele continuano a comprare queste tecnologie, queste armi sempre più micidiali. E viene da chiedersi contro chi pensano di usarle. Droni, sistemi ibridi, armi e tecnologie non convenzionali. È una realtà molto seria. Infine, ma non meno importante, c’è un problema di sovranità: tendiamo a pensare agli stati come a entità autonome, ma molti non esercitano più un potere decisionale effettivo, perché il potere reale risiede nelle multinazionali che operano nei loro territori. Stiamo ancora vivendo l’eredità del colonialismo di insediamento del secolo scorso, che oggi ha assunto una forma economica e corporativa. Non ci sono più colonizzatori con gli stivali sul terreno, ma interessi economici che traggono profitto da tutto questo. Per quanto riguarda i media, non voglio pontificare, ma posso dire che ho fatto delle indagini che non sono ancora sfociate in un rapporto e sì, confermo che i media mainstream occidentali hanno mostrato gravi carenze. Un linguaggio distorto, assenza di contesto e copertura squilibrata tra ciò che accade agli israeliani e ciò che accade ai palestinesi. La situazione è leggermente cambiata dopo la rottura del cessato il fuoco nel marzo 2025 e con l’inasprirsi della crisi umanitaria. Ma nel complesso la narrazione resta profondamente sbilanciata. Ecco perché continuo a dire che appena ne avrò il tempo, vorrei approfondire e indagare il ruolo dei media, perché merita un’attenzione e un controllo accurati. Tuttavia, sono costantemente impegnata nel monitorare le continue violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, che proseguono su vasta scala, mentre gli stati membri continuano a parlare di pace e di cessato il fuoco. Ma diciamolo chiaramente: a Gaza non c’è nessun cessato il fuoco. La gente continua a morire, a soffrire la fame e a essere sradicata con la forza. È semplice e terribilmente reale”. Giornalista: “Grazie, signora Albanese, per questo briefing. Ho un paio di domande per lei. La prima, poco fa, ha parlato di sionismo cristiano. Negli Stati Uniti ci sono due gruppi cristiani che l’hanno citata in giudizio per diffamazione. Vorrei sapere se ha un commento su questa causa e perché, secondo quanto si dice, si starebbe avvalendo del governo sudafricano per schermarsi da questa causa e sottrarsi al procedimento. La seconda domanda riguarda un’intervista che lei ha rilasciato a Vanity Fair all’inizio di quest’anno, di non aver sostenuto l’esame di abilitazione forense e ha detto di aver chiesto alle Nazioni Unite di fornire la prova che lei non fosse stata finanziata da organizzazioni legate ad Hamas durante alcuni viaggi di qualche anno fa, poiché, a quanto risulta, l’ONU non ha ancora prodotto tale documentazione e le chiedo, è disposta lei stessa a renderla pubblica, visto che immagino disponga di quei registri”? Francesca Albanese: “Max, ti sfido, te e chiunque altro davvero, come può l’ONU provare qualcosa che non è mai accaduto? È probabilmente la decima volta che ripeto questa cosa. Il viaggio in Australia è stato finanziato dalle Nazioni Unite. Puoi sostenere che l’ONU non avrebbe dovuto pagarmi quel viaggio o che non dovrebbe finanziare il mio viaggio in Sudafrica e va bene. Ma ti dico chiaramente, mi piacerebbe poter usare i fondi delle Nazioni Unite per recarmi nei territori palestinesi occupati, ma Israele non me lo consente. Quindi ti sfido, fornisci una sola prova che Hamas mi abbia pagato qualcosa, anche solo un pasto e io smetterò di essere relatrice speciale domani stesso. Passiamo allora alla seconda domanda. Sì, so che ci sono gruppi di sionisti cristiani che, invece di smettere di finanziare e coprire i crimini di Israele, hanno deciso di fare causa a me, ma io sono tutelata dalle prerogative di immunità previste per il mio incarico a ONU e ritengo che sia esattamente questo che il Governo sudafricano ha difeso. Non ho ulteriori informazioni in merito. Per qualsiasi chiarimento su questo punto, il suo governo sarà felice di risponderle”. Giornalista: “Ha parlato delle difficoltà del sistema giuridico internazionale nel rispondere adeguatamente e in effetti ne abbiamo viste chiaramente anche noi, i limiti del diritto internazionale nell’affrontare situazioni come questa. Le chiedo, il suo rapporto apre forse nuove possibilità per i tribunali nazionali dei paesi terzi di intervenire su questi temi? Può approfondire questo aspetto, ossia se il suo rapporto offre maggiori strumenti o incentivi giuridici per i cittadini che vogliano chiamare in causa i propri stati davanti ai tribunali nazionali per non aver adempiuto ai loro obblighi internazionali e, se sì, potrebbe spiegare quali forme concrete potrebbe assumere questo percorso legale. Ad esempio, associazioni o gruppi di cittadini nel Regno Unito, in Belgio o in altri paesi, potrebbero ricorrere alla giustizia nazionale per denunciare la mancata osservanza di tali obblighi”? Francesca Albanese: “Risponderò a questa domanda. Sì, come ho già detto, gli stati membri hanno una serie di obblighi. Devono interrompere il commercio, fermare il trasferimento di armi, ma anche indagare e perseguire chiunque possa essere responsabile di crimini o complice di crimini. Questo può riguardare anche autorità statali. In alcuni paesi sono già stati avviati procedimenti legali contro funzionari governativi per complicità nei crimini commessi da Israele, ma gli stati membri hanno anche l’obbligo di regolare e controllare le imprese registrate nei propri territori e su questo fronte è stato fatto pochissimo, praticamente nulla. Ci sono tuttavia alcune cause già avviate in diversi paesi contro ad esempio Airbnb, Booking.com e, se non sbaglio, anche contro una piattaforma di turismo online, di cui non so se la causa sia pubblica o meno, nonché contro compagnie petrolifere e produttrici di armi. E naturalmente ci sono casi molto importanti che dovrebbero partire proprio a livello nazionale, nei tribunali interni. Lo spero perché, come ho già detto, la Corte Penale Internazionale sta affrontando grandi difficoltà. Ma esistono giurisdizioni nazionali competenti, soprattutto nei confronti dei propri cittadini, che hanno combattuto nell’esercito israeliano. Quindi, ad esempio, cittadini sudafricani, britannici o italiani che hanno prestato servizio nell’esercito israeliano dovrebbero essere considerati sospetti e quindi oggetto di indagine e, se le prove raccolte lo giustificano, perseguiti penalmente per i crimini a cui potrebbero aver partecipato. C’è poi il caso di israeliani che si trovano in altri paesi e che non hanno un legame di nazionalità con lo stato in cui si trovano. Anche la loro semplice presenza può far scattare un’indagine, poiché si tratta di reati di diritto internazionale perseguibili in base alla giurisdizione universale. Per questo motivo, alcune organizzazioni e gruppi di avvocati stanno lavorando in questa direzione. Sarà un processo lungo, ma credo che alla fine avrà successo. Non siamo ancora riusciti a prevenire e fermare il genocidio, ma spero che il principio di responsabilità penale cominci finalmente a colmare questo vuoto”. Marvin Charlson di News24. “Salve Francesca, ho due domande per lei. Da quando ha presentato il suo rapporto, che cosa è cambiato, se qualcosa è cambiato? E sul piano personale, quale sarebbe per lei la soluzione ideale per Gaza”? Francesca Albanese: “Non so ancora cosa sia cambiato, perché il mio rapporto è stato presentato solo poche settimane fa e pubblicato appena la settimana scorsa. Vorrei poter dire che ha già prodotto degli effetti, ma al momento non ne vedo di concreti. Ciò che ho visto, però, è che molti stati membri si sono mostrati irritati e questo, devo dire, mi fa piacere, perché non sono qui per metterli al loro agio. Naturalmente vedo anche che continuano gli attacchi personali e trovo questo vergognoso, perché io vorrei soltanto che gli stati si confrontassero con i fatti, non con ciò che pensano della mia persona o del modo in cui esercito il mio mandato. Mi aspetto che gli stati affrontino nel merito le accuse che rivolgo loro. Israele e tutti gli altri stati coinvolti devono prendere sul serio le accuse, non per ciò che dico io, ma per la gravità delle questioni stesse che oggi sono oggetto di indagine davanti alla Corte Internazionale di Giustizia per genocidio e davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, ci sono già mandati di arresto emessi e molti altri casi sono stati presentati presso tribunali nazionali. Quindi questo è davvero un momento di svolta. O si sceglie la giustizia o il suo opposto. È un momento estremamente serio e temo che gli stati membri non ne stiano cogliendo la gravità, accecati dai propri interessi politici. Cito spesso, e lo faccio anche per chi ci segue online o da New York, alcune righe manoscritte di Nelson Mandela, che mi hanno profondamente colpita. Scriveva che nel corso dei secoli uomini e donne vanno e vengono. Alcuni non lasciano traccia, altri sono ricordati per il male che hanno fatto e altri ancora per il loro tentativo di portare giustizia attraverso le proprie azioni in questa vita. Ecco, credo che anche i diplomatici e funzionari pubblici debbano chiedersi quale ruolo vogliono giocare in questa pagina triste e tragica della nostra storia, perché stiamo vivendo su un futuro preso in prestito e molti sembrano non rendersene conto. Paolo Mazzinghi
“Ardono” le coscienze e l’impegno delle streghe in Piazza Signoria a difesa di Francesca Albanese
Ieri, in Piazza della Signoria a Firenze alle ore 21, un gruppo di attiviste e attivisti si è radunato in silenzio, indossando cappelli da strega, le bandiere della pace e della palestina, per esprimere solidarietà a Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori palestinesi. Un gesto ironico e potente insieme: trasformare in simbolo di libertà quella parola “strega” che il rappresentante israeliano all’ONU aveva usato come insulto, nel tentativo di delegittimare la sua voce. Ma “strega” non è un insulto, può essere un titolo d’onore. Così ha risposto Francesca Albanese alle accuse: «È delirante che uno Stato genocida non possa rispondere alla sostanza delle mie scoperte e la cosa migliore a cui ricorre è accusarmi di stregoneria» … «Se la cosa peggiore di cui mi può accusare è la stregoneria, la accetto. Ma stia certo che, se avessi il potere di fare incantesimi, lo userei non per vendetta ma per fermare i vostri crimini una volta per tutte e per assicurarmi che i responsabili finiscano dietro le sbarre». Le streghe sono sempre state donne libere, che hanno sfidato le convenzioni e messo in dubbio lo status quo, grazie alla conoscenza e a poteri speciali: la capacità di curare, di leggere i segni, di vedere oltre. In epoche di oscurità, le streghe portavano luce. Per questo facevano paura. La storia ci insegna che dietro ogni rogo non c’era la magia, ma il potere ferito: la Chiesa, gli Stati, le gerarchie maschili, il potere economico che non tolleravano una parola autonoma, una sapienza non controllata. Quelle donne non venivano punite per la loro “stregoneria”, ma per la loro libertà. Oggi, quando un potere si sente messo in crisi da una donna che parla con lucidità, la storia si ripete — anche se con altri strumenti. Ma ogni volta che qualcuno pronuncia quella parola con disprezzo, strega, la lingua tradisce la verità: chi la usa teme ciò che non può dominare, chi usa questo tema è per evitare di rispondere nei contenuti. Per questo, dire oggi “grazie, Francesca Albanese” significa dire grazie a tutte le donne che, nel corso dei secoli, hanno sfidato il potere con la forza della parola, della conoscenza e della verità. Significa riconoscere in lei quello spirito ribelle e indomabile che — allora come oggi — fa paura ai potenti. Forse le streghe non sono scomparse, si sono trasformate, oggi hanno il volto di chi lavora per la giustizia, di chi non si lascia intimidire, di chi parla di pace in un mondo che preferisce la guerra. E allora sì: se essere strega significa questo, che si alzi alto il cappello a punta e cerchiamo di essere tanti, perché non possiamo demandare la nostra libertà, la difesa del diritto internazionale a una sola strega. Paolo Mazzinghi
Sintesi dell’intervista a Peter Beinart – autore del libro del libro “Essere ebrei dopo la distruzione di Gaza: una resa dei conti”
Il 10 settembre scorso il quotidiano israeliano Haaretz ha pubblicato un’intervista a Peter Beinart nella quale si parla del suo ultimo libro, pubblicato negli Usa a gennaio scorso e non ancora tradotto in italiano. L’autore è professore di giornalismo e scienze politiche alla City University di New York, redattore capo della rivista Jewish Currents, nonché editorialista del New York Times e commentatore politico per alcune televisioni USA. Beinart, che si definisce ebreo osservante, ma non ortodosso, si è trasformato negli ultimi anni da sionista progressista in uno dei più severi critici di Israele. Riguardo al conflitto con i palestinesi, ha abbandonato l’idea della soluzione a due stati in favore di quella per uno stato binazionale, con pari diritti per arabi ed ebrei, che, a suo parere, non solo sarebbe la soluzione del conflitto stesso, ma aumenterebbe anche la sicurezza degli israeliani, che oggi è più tutelata nella diaspora che in Israele. Ha criticato inoltre il fatto che le proteste in Israele, sia quelle contro il progetto di riforma del sistema giudiziario israeliano all’inizio del 2023, che quelle recenti per la liberazione degli ostaggi di Hamas, non abbaino tenuto conto della questione palestinese. Alla domanda che cosa significhi essere ebrei oggi, Beinart risponde: “Essere ebreo può significare molte cose diverse”, ma alla base di tutto “c’è l’idea che tutti gli esseri umani sono stati creati a immagine di Dio”…. “Ciò che Israele sta facendo in nome del popolo ebraico, e con i miei soldi come contribuente americano, per me è una profanazione. Sento che la nostra identità come popolo ne sarà cambiata e che, in qualche modo, ne saremo ritenuti responsabili. Ci sono più bambini con arti amputati a Gaza che in qualsiasi altro posto al mondo. Vedo le immagini di quel luogo e mi perseguitano. Il libro è stato il mio tentativo di rispondere alla sensazione che ciò che viene fatto lì viola i miei obblighi religiosi e tradizionali di ebreo.” Dall’intervista emerge inoltre quanto segue. Nel corso degli anni, visitando la Cisgiordania più frequentemente e stringendo amicizie con palestinesi, anche in Israele e negli Stati Uniti, le opinioni di Beinart si sono trasformate rispetto a quelle condivise dalla maggioranza degli ebrei israeliani e americani, arrivando a contestare sia la narrativa vittimistica perpetua di Israele e dell’ebraismo, che l’automatico sionismo delle istituzioni ebraiche americane. Beinart ritiene che in Israele sia presente un regime di “apartheid”, di dominazione e oppressione razziale, etnica e religiosa. Considera il brutale e immorale attacco del 7 ottobre più come una rivolta anticoloniale, paragonabile a quella dei Mau Mau in Kenya dei primi anni ‘50, che come un pogrom. Questi ultimi, e l’Olocausto stesso, sono stati infatti commessi contro gli ebrei in quanto tali, mentre il sanguinoso massacro del 7 ottobre è stato rivolto contro gli israeliani in quanto oppressori. Beinart ritiene che Hamas sia sicuramente un gruppo terroristico e non solo per il massacro del 7 ottobre, ma anche per gli attentati suicidi degli anni ’90 e per ciò che ha fatto durante la Seconda Intifada. Ritiene tuttavia che siano ascrivibili al terrorismo anche molte azioni compiute dal governo israeliano, come: prendere di mira i civili a scopo politico, negare alimenti, acqua ed elettricità alla popolazione di Gaza, progettare l’espulsione di tutta la popolazione palestinese da Gaza e infine aggredire i villaggi della Cisgiordania. Azioni terroristiche che, sottolinea, vengono compiute sia dai coloni che dall’esercito israeliano. Nell’intervista Beinart cita studi, riportati nel libro, che dimostrano come più palestinesi Israele uccide, più ebrei cadono vittime di episodi antisemiti. Precisa tuttavia che l’antisemitismo ha origini antiche e che “confondere l’ebraismo con Israele non è saggio”. Riguardo alla narrativa vittimistica israeliana, Beinart sostiene:”gli ebrei sono stati vittime il 7 ottobre e sono vittime dell’antisemitismo in tutto il mondo. Il problema che ho con il discorso sulla vittimizzazione è che cancella le realtà legali esistenti in Israele-Palestina, che si basano sulla supremazia giuridica ebraica e sull’inferiorità giuridica palestinese”. Alla domanda su come gli ebrei americani vedano la situazione attuale afferma: “C’è stata un’evoluzione dal 7 ottobre. E c’è anche un divario molto ampio tra la leadership politica ebraica americana e la posizione attuale degli ebrei americani, in particolare dei giovani ebrei americani. Questo divario stava crescendo anche prima del 7 ottobre, e si è ulteriormente ampliato. Ma se si considerano le istituzioni organizzate della comunità ebraica americana, quelle che tendono a esercitare il maggior potere, penso che siano ancora sostanzialmente all’interno di un quadro in cui la legittimità fondamentale dello Stato di Israele non può essere messa in discussione”. Secondo questa visione “Israele non dovrebbe essere soggetto al diritto internazionale, gli Stati Uniti e la comunità ebraica americana dovrebbero mantenere un sostegno incondizionato a Israele. Anche se accadono cose tragiche, non è fondamentalmente colpa di Israele. Sebbene ci siano molti, molti ebrei americani che ora non sono d’accordo con questo punto di vista, se si considera il modo in cui la comunità ebraica americana interagisce con la politica attraverso gruppi come l’AIPAC o l’Anti-Defamation League, questo è ancora il messaggio centrale.” Beinart conclude l’interista dicendo: “Come sostengo nel libro, in molti spazi ebraici americani Israele è diventato una sorta di idolo. È diventato qualcosa che viene trattato come un’entità quasi extraumana. Qualcosa che è oggetto di adorazione, invece di riconoscere che è una creazione umana formata da esseri umani che possono fare tutto ciò che altri esseri umani fanno. Se non siamo vigili, questo stato sarà in grado di fare cose terribili.” Il titolo originale del libro è “Being jewish after the destruction of Gaza – A reckoning. Penguin Random House editore. Haaretz è il più antico quotidiano israeliano, da sempre estremamente critico con le politiche dei governi di destra. Di seguito allego il link all’articolo originale, il link a una intervista rilasciata dall’autore a La Stampa e il link a un’intervista rilasciata a una TV americana, che ha avuto due milioni di visualizzazioni. Peter Beinart: ‘What Israel Is Doing in the Name of the Jewish People Is a Desecration’ Peter Beinart: “Gaza è un punto di svolta per l’umanità tutta”   Enrico Campolmi
Disarma, 25 Settembre 2025 Sesto Fiorentino. Il coraggio di unirci per la pace
Si è svolta presso la Casa del Popolo di Colonnata (sesto Fiorentino) la prima giornata di incontri della sesta edizione de “Il Coraggio della Pace” (25 – 28 settembre), quest’anno dedicata al tema “L’altro lato del mondo”. Quattro giornate di incontri, dibattiti e varie iniziative con la partecipazione di vari esponenti dell’attivismo pacifista, della politica, del mondo accademico e sindacale. Durante le 4 giornate si alterneranno fra gli altri come relatori, Francesca Albanese, Giuseppe Conte, Piergiorgio Odifreddi, Elena Basile, Alessandro Di Battista, Moni Ovadia, Vauro. La giornata di Giovedì 25 settembre ha visto la partecipazione di  Lorenzo Falchi (Sindaco di Sesto Fiorentino), Linda Santilli (Associazione Disarma), Angelica Gatti (Associazione Disarma), Raffaella Bolini (No Europe Rearm), Sandra Carpi Lapi (Coordinamento contro il Riarmo Firenze), Danilo della Valle (Parlamentare europeo), Claudio Giampaglia (Emergency), Giovanni Mininni (Segretario Generale FLAI CGIL), Roberto Musacchio (Transform Italia), Mons. Giovanni Ricchiuti (Pax Christi), Rossano Rossi (CGIL Toscana), Padre Alex Zanotelli (Padre Comboniano), Giuseppe Conte (Presidente M5S), Claudio Grassi (Associazione Disarma), Francesca Albanese (Relatrice ONU), Roberta De Monticelli (Filosofa), Domenico Gallo (magistrato) Riportiamo qui l’introduzione di Angelica Gatti di Disarma, che coglie il filo rosso degli interventi che si sono susseguiti. Il Movimento per la Pace può davvero riempire il vuoto che tutti noi sentiamo, la mancanza totale di un sogno, di una strategia per raggiungerlo e di una serie di progetti per attuare quel sogno. Questo è l’unico modo che abbiamo per spingere le persone ad agire, a ritrovare il senso del collettivo, il senso dell’umanità e del nostro stare insieme.  Ciò che noi vediamo in Palestina è il mutismo complice dei nostri governi al genocidio e all’apocalisse di questo popolo, è lo specchio che svela l’abominio del nostro sistema economico e culturale e tutti noi ne siamo parte.  Voglio partire dal rapporto di Francesca Albanese, che avremo stasera ospite, con grande onore la ospitiamo all’apertura dei nostri lavori, che davvero è una coraggiosa, coraggiosissima della pace, che deve sentire forte il nostro sostegno, perché oggi ciò che lei ha fatto, questo rapporto, ha davvero, più di tutti gli altri, stracciato un velo dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio: vi invito a leggerlo perché tra l’altro è documentato, è pragmatico, è reale, è una cosa veramente di azione ed è stato deflagrante. Abbiamo visto che cosa le è accaduto, perché non c’è più la possibilità di essere tiepidi, ignavi, di parlare solo di rapporti non direttamente legati alle politiche di genocidio di Israele: ogni rapporto con Israele oggi è un rapporto di genocidio e lei ce lo ha svelato e il nostro sistema accetta, ammette e permette che si compie il genocidio e che la guerra diventi il nostro orizzonte futuro. Francesca Albanese parla della politica di occupazione e della politica coloniale: io ritengo che in realtà questo davvero disveli il fatto che è la politica del sistema capitalistico occidentale alla sua massima potenza, è ciò che le nostre entità aziendali e i nostri governi hanno messo in atto nei decenni nei confronti del resto del mondo, ma l’hanno fatto anche nei confronti nostri, della loro popolazione interna, aumentando la disuguaglianza attraverso lo sfruttamento estremo del lavoro e l’impoverimento delle masse.  E noi siamo stati convinti e intrisi dell’ideologia del popolo eletto, come quella di Israele, l’ideologia dell’Occidente eletto, unico baluardo di civiltà e vi assicuro che l’ho sentito dire in classe a un docente pochi giorni fa e, quindi, l’idea che il resto del mondo sia barbaro ed arretrato. Il suprematismo bianco ed occidentale, perché dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, così diffuso da essere diventato invisibile ai nostri occhi. Ricordiamo tutti le bombe usate per esportare la democrazia, ma io ho letto qualche mese fa Repubblica che titolava “le nostre armi salvano vite”! Ma come si fa a scrivere una cosa del genere riguardo alle armi in Ucraina: è una follia!  Ed ecco il secondo punto, la disumanizzazione dell’altro: ciò che Israele ha fatto in modo sistematico e portato avanti dai più alti livelli delle facoltà universitarie, fino alla privazione del diritto all’acqua nei confronti del popolo palestinese, è esattamente ciò che i nazisti hanno fatto nei confronti degli ebrei, cioè togliere l’umanità all’altro. E’ ciò che l’Occidente sta cercando di fare con il resto del mondo, perché questo significa essere contro il popolo russo, contro il popolo cinese e tacciare e censurare chiunque appartenga a quel mondo e questo noi lo facciamo contro tutti quelli che muoiono a migliaia nel nostro Mediterraneo, perché questo vuol dire girarsi dall’altra parte quando il Mediterraneo è un cimitero. Queste persone non hanno diritto alla vita. Noi abbiamo accolto in Europa 4,2 milioni di ucraini, abbiamo fatto bene ad accoglierli, ma nessuno ha gridato all’assalto, eppure le persone che muoiono ogni giorno nel Mediterraneo non meritano la stessa possibilità di vivere e di venire nel nostro Occidente, probabilmente gli ucraini stanno dalla parte dei buoni e poi sono bianchi, quindi è molto più semplice accoglierli.  Il passaggio che fa Albanese è un passaggio fondamentale, lei parla di un passaggio dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio e noi siamo dentro questa strettoia, noi siamo dentro questo passaggio. La crisi di questo sistema e i cambiamenti nella condizione del resto del mondo, il resto del mondo che si affaccia finalmente alla scena, hanno portato l’Occidente a una reazione sproporzionata, una reazione scomposta, violenta, brutale e in parte irrazionale, perché noi fatichiamo a trovare il senso in questa reazione. L’attacco alla Russia attraverso il conflitto in Ucraina, la scelta della soluzione finale per la Striscia di gaza da parte di Netanyahu, è l’economia che passa da capitalismo predatorio a capitalismo di guerra, da economia dell’occupazione, come dice Albanese, a economia del genocidio. Ma io vi invito a riflettere su questo, perché questo è la cosa che vi voglio dire, perché è un punto debole in realtà: io sono convinta che questa volontà di trascinarci in guerra e di instaurare un regime di guerra, che la volontà di perpetrare un genocidio, sia il frutto di un’estrema debolezza, sia davvero l’ultima spiaggia di un intero sistema e noi, il movimento della Pace, dobbiamo essere coloro che a questo sistema marcio, corrotto, violento e schifoso gli diamo una spallata. Io credo che noi dobbiamo avere questo obiettivo, noi dobbiamo rovesciare il sistema di guerra, noi dobbiamo essere una rivoluzione.  Ed è con questo spirito che dobbiamo rivolgerci al mondo intero, riportare all’azione chi non si sente rappresentato, chi non ci crede e chi si sente inerme. La Freedom Sumud Flotilla è un esempio di ciò che possiamo fare. Noi dobbiamo avere il coraggio di prendere sulle nostre spalle la responsabilità di rappresentare l’altra parte dell’Occidente, del nostro mondo, perché noi ci siamo, non è quella roba lì il nostro mondo, l’Occidente che resta umano e che forse finalmente lo diventa realmente, senza più finzioni. E le manifestazioni che ci sono state in questo giorno a sostegno della Flotilla, tutto il movimento che si è venuto a creare, non possiamo non mandare un pensiero, un abbraccio grandissimo ad Ali Rashid che avrebbe dovuto essere qui con noi oggi ed al quale noi dedichiamo questa bellissima iniziativa.   In questo processo il movimento per la pace è il vero protagonista, perché da questo dipende tutto il resto, è quello che diceva Lorenzo Falchi, perché senza la pace noi non possiamo affrontare la questione climatica, non solo per l’inquinamento della guerra, ma perché dobbiamo cambiare, dobbiamo ripensare il sistema di redistribuzione globale delle risorse e il sistema di produzione che non sia predatorio per affrontare il disastro ambientale, perché siamo in un mondo multipolare e gli Stati Uniti se ne devono fare una ragione di questo. Allora vanno affrontate le sfide di uno scenario globale e in questi quattro giorni io vi invito a rimanere perché avremo veramente tanti ospiti, tante relatrici e relatori che ci aiuteranno a capire che cos’è l’altra parte del mondo di cui noi sappiamo così poco e le discriminazioni tra i generi. Anche questo è il frutto del sistema patriarcale maschile della violenza e della brutalità e solo il sistema di guerra le governa e noi lo dobbiamo scardinare. E il Mediterraneo, fatemi fare ancora un passaggio su questo, non può essere un cimitero, perché le frontiere non possono essere passate solo dalle merci e dai capitali, mentre gli uomini, le donne e i bambini vengono respinti come pezzi di carne avariata.  Quindi il Movimento per la Pace, che per la sua stessa costituzione si proietta nel futuro e immagina e costruisce il futuro, può e deve mettere insieme le lotte. Io questo voglio chiedervi, di mettere insieme le lotte e dare finalmente uno sfogo al conflitto sociale che c’è, che è fortissimo, si sente proprio la rabbia nelle persone che stanno in piazza.  Il Movimento per la Pace è di per sé globale e collettivo e solo Dio sa quanto abbiamo bisogno di abbandonare le nostre solitudini per ritrovare un moto di collettività. Quindi ho fede, ho fede in tutti voi, ho fede nel Movimento per la Pace, nel sacrificio quotidiano che tutti noi facciamo per portare questo movimento in ogni angolo, davvero il più piccolo comune qui si mobilita e si muove, il più piccolo quartiere, perché non posso pensare che il nostro futuro nasca dal sangue delle donne e dei bambini palestinesi o delle guerre che ci sono nel mondo, non posso pensare a questo marchio di Caino sulle nostre terre o che le mie figlie crescano in un sistema di guerra e che questo sia normale. E vedrete che, se riusciremo ad esprimere in maniera compiuta ciò che ognuno di noi ha nel cuore, questa voglia di un altro mondo, le persone ci seguiranno, tanti e tante si aggiungeranno a noi e cammineranno al nostro fianco.  Domani avremo i lavoratori che si ribellano alla guerra, i docenti che boicottano e denunciano i militari a scuola, le organizzazioni NO NATO, la gente vuole un sogno per cui lottare e quale sogno è il migliore della pace? Io ho bisogno di credere, ho bisogno di agire perché ogni azione sia parte di un processo più grande, perché ogni fallimento di oggi sia un tassello del futuro che stiamo costruendo, perché fallisci, fallisci ancora ma fallisci meglio. Ma perché questo possa essere noi dobbiamo unirci, dobbiamo vivere insieme per un obiettivo più alto, essere una rivoluzione mondiale, la rivoluzione per la pace e quindi io vi invito a lottare tutti insieme. Claudio Grassi Ali Rushid Francesca Albanese Francesca Albanese Roberta De Monticelli Francesca Albanese Giuseppe Conte Francesca Albanese Pubblico Francesca Albanese Francesca Albanese e Giuseppe Conte Giuseppe Conte Giovanni Mininni Rossano Rossi Claudio Giampaglia Danilo Della Valle Roberto Musacchio Paolo Mazzinghi