Francesca Albanese all’ONU: “l’Italia rischia l’accusa di complicità”
Il 28 ottobre 2025, Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite
sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, presenta all’ONU il suo
nuovo rapporto sul genocidio a Gaza. Nella conferenza stampa a New York,
Albanese denuncia la complicità internazionale e avverte: “L’Italia rischia
l’accusa di complicità nei crimini di Israele”.
Qui il video su youtube doppiato da Frontezero da cui è ricavato questo testo
Francesca Albanese:
“Grazie mille. Buongiorno o buon pomeriggio a tutti coloro che si trovano a New
York e buonasera a chi è a Città del Capo. Devo dire che sono felice, onorata e
commossa di essere in Sud Africa, anche se mi rammarico profondamente di non
poter presentare la mia relazione di persona a New York, presso la sede delle
Nazioni Unite, come Relatrice Speciale delle Nazioni Unite tutelata dallo
Statuto dell’ONU e dalle Convenzioni sulle Prerogative e Immunità delle Nazioni
Unite, a causa delle sanzioni illegali imposte contro di me semplicemente per
aver adempiuto al mio mandato.
Sono qui per discutere e presentare alla stampa il mio ultimo rapporto. Il
genocidio a Gaza, un crimine collettivo. In questo rapporto sostengo che il
genocidio commesso da Israele a Gaza fa parte di un sistema internazionale di
complicità.
Il diritto internazionale è molto chiaro. Gli Stati non devono né assistere né
contribuire agli atti illeciti internazionali di altri Stati. Al contrario,
devono prevenirli, fermarli e punirli.
Questi non sono atti di carità, ma obblighi giuridici derivanti dalla violazione
di norme imperative del diritto internazionale. Essi impongono la sospensione
immediata dei legami militari, economici e diplomatici con Israele fino a quando
i suoi crimini non cessino e la ricerca della giustizia per i sopravvissuti
attraverso la punizione dei responsabili e dei loro complici. Il mio rapporto
mostra invece come alcuni stati influenti, con l’acquiescenza di molti altri,
abbiano fornito a Israele sostegno diplomatico, militare, economico e
ideologico, rafforzando, anziché smantellare, il suo sistema coloniale di
insediamento e di apartheid che negli ultimi due anni ha assunto una dimensione
genocidaria.
Ritengo che nessuno Stato possa credibilmente sostenere di difendere il diritto
internazionale mentre arma, sostiene e protegge un regime genocida. Gli Stati
terzi, comportandosi in questo modo, violano il loro dovere di prevenire il
genocidio, l’apartheid e, ancora di più, la conquista territoriale, continuando
a fornire a Israele aiuti, armi e copertura politica, nonostante le crescenti
prove del suo intento genocidario. La Corte Internazionale di Giustizia si è già
espressa tre volte sul rischio di genocidio, a gennaio, a marzo e a maggio 2024,
e ciò ha fatto scattare l’obbligo per gli Stati di prevenire, fermare e punire
gli atti di genocidio e l’incitamento al genocidio.
Eppure, gli Stati continuano a oscurare, ignorare e perfino trarre profitto
dalle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. La cooperazione
militare è probabilmente la forma più significativa di complicità, perché
attraverso il commercio di armi e la condivisione di intelligence, alcuni Stati,
più di altri, hanno alimentato la macchina bellica israeliana. Gli Stati Uniti e
la Germania da soli hanno fornito il 90% delle importazioni di armi di Israele,
ma almeno 26 Stati, tra cui l’Italia, il mio paese, figurano tra quelli che
hanno fornito o facilitato il trasferimento di componenti d’arma a Israele,
mentre molti altri continuano a comprare armi testate sui palestinesi.
Commercio e investimenti hanno sostenuto e tratto profitto dall’economia
israeliana. Le esportazioni di elettronica, prodotti farmaceutici, energia,
minerali e beni a duplice uso hanno raggiunto un totale di 474 miliardi di
dollari statunitensi, aiutando Israele a finanziare le proprie operazioni
militari. E mentre l’Unione Europea è stata così rapida nell’imporre sanzioni
contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina, continua ancora oggi a essere il
principale partner commerciale di Israele.
Nel frattempo, il Nord America e diversi Stati Arabi continuano ad approfondire
i propri legami economici con Israele, e solo pochi Stati hanno ridotto
marginalmente il commercio durante il genocidio, mentre i flussi commerciali
indiretti persistono. Devo dire che uno degli aspetti più sadici di questo
genocidio è la strumentalizzazione degli aiuti umanitari. Ciò che è iniziato con
il blocco illegale e con gli attacchi contro l’UNRWA si è trasformato in una
completa sottomissione degli aiuti alla volontà di Israele e degli Stati Uniti,
privandoli del loro ruolo protettivo. Queste misure, sostenute o approvate dagli
stati membri, hanno ovviamente aggravato le condizioni di vita a Gaza. Il
problema, purtroppo, è profondamente ideologico, poiché i leader occidentali
hanno ripetuto la propaganda israeliana, riproponendo il mantra della legittima
difesa e rispolverando tropi coloniali che descrivono i palestinesi come esseri
inferiori, come terroristi per definizione e inquadrando la distruzione di Gaza
come una battaglia della civiltà contro la barbarie, eliminando così la
distinzione tra civili e combattenti.
Concludendo queste osservazioni iniziali, desidero sottolineare, parlando dalle
radici della Madre Africa, quanto mi sorprenda vedere quanto poco abbiano fatto
molti Stati appartenenti alla maggioranza globale o cosiddetto Sud Globale,
inclusi quelli del continente africano, una volta liberatisi dell’oppressione
coloniale per affrontare questo genocidio. Solo 14 Stati hanno aderito
all’importante decisione del Sud Africa di avviare la storica causa per
genocidio contro Israele dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia. E
vedete, non si tratta solo della Palestina, si tratta della sopravvivenza stessa
delle Nazioni Unite, dei loro valori e principi fondamentali.
Dalle rovine dell’oppressione dobbiamo forgiare un nuovo multilateralismo, non a
servizio dei pochi, ma dei molti, fondato sulla dignità umana, l’uguaglianza dei
diritti e la giustizia”.
Stefano Vaccara ITALPRESS New York:
“Durante la sua presentazione, non a noi giornalisti, ma agli Stati membri, ci
sono state reazioni molto dure da parte dell’ambasciatore israeliano, ma anche
da parte dell’Italia, il suo Paese. La mia domanda è: che messaggio vuole
mandare al suo governo e al suo popolo riguardo a ciò che le è accaduto.
E poi un’altra domanda molto importante di cui si è discusso anche qui oggi.
Ritiene che il Segretario Generale abbia fatto tutto ciò che era in suo potere
per difenderla, o avrebbe dovuto fare di più”?
Francesca Albanese:
“Ho ricevuto dall’Assemblea Generale molto sostegno e apprezzamento per le mie
conclusioni, anche da parte di Stati membri che sono citati nel rapporto. Tra
questi vi sono Paesi arabi, ma anche Stati come il Sudafrica o la Colombia.
Ci sono anche Stati menzionati e messi in evidenza nel rapporto che non hanno
preso la parola, e considero questo un segnale positivo. C’è poi stata una folla
di Stati membri che normalmente non partecipano ai miei dialoghi interattivi,
tra cui l’Italia, l’Ungheria e la Romania, che invece si sono presentati per
sostenere le parole di Israele. E sa, io accolgo le critiche in modo
costruttivo.
Come ho detto a Ungheria e Italia: va bene. Mi accusate di fare affermazioni
politiche, per esempio, così potrò correggermi. Perché ciò che sto dicendo non è
politico, sto rispondendo alle risultanze del mio rapporto.
Il fatto è che voi state sostenendo diplomaticamente, politicamente,
militarmente ed economicamente uno stato che oggi è davanti a due corti
internazionali per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E questo vi
espone, voi e i vostri funzionari di governo, al rischio di essere considerati
complici di genocidio, e saranno i tribunali nazionali e forse anche la Corte
Penale internazionale, a giudicarvi. Mi sembra che tutto questo clamore serva
soltanto a distogliere l’attenzione dalle conclusioni del mio rapporto.
E dopo tre anni di continue esposizioni e attacchi, devo dire che ormai non
sento quasi più quelli personali. Ciò che sento più forte è il grido che arriva
da Gaza, che chiede la fine della brutalità e del genocidio. Il grido che viene
dalla Cisgiordania, che chiede la fine della pulizia etnica.
E il grido della gente, anche nel mio stesso paese, stanca e disgustata da
questo genocidio in corso. Il governo deve rispondere alle centinaia di migliaia
di persone che scendono in piazza, ai lavoratori che scioperano, alle persone e
soprattutto ai giovani, per i quali questo genocidio è una memoria che si sta
formando ora. Devono rispondere a loro sul perché continuano a fornire armi a
Israele, non a me, a loro.
Io qui parlo come relatrice speciale delle Nazioni Unite, quindi non importa se
le critiche vengono dal mio governo o da un altro, sono loro che devono
rispondere alle accuse contenute nel mio rapporto. E riguardo al segretario
generale: non ho alcun commento. Nessun commento”.
Evelyn Leopold:
“Che bello vederla. Pensi che il 7 ottobre sia stato un punto di svolta? Intendo
dire, credi che ciò che è accaduto al 7 ottobre sia stato un punto di svolta”?
Francesca Albanese:
“Credo che ciò che è accaduto al 7 ottobre debba essere raccontato agli
israeliani e al mondo per ciò che realmente è stato. Penso che nessuno di noi
abbia avuto il tempo di comprendere pienamente cosa sia accaduto, perché sono
state attaccate basi militari e in parte l’attacco ha colpito obiettivi militari
israeliani.
Tuttavia, gli attacchi diretti contro i civili israeliani sono stati crimini,
crimini commessi da gruppi armati palestinesi, ma, come dimostrano crescenti
prove, anche dall’esercito israeliano stesso. C’è la commissione d’inchiesta che
ha indagato su questi eventi al meglio delle sue capacità e che ha già
pubblicato un rapporto un anno e mezzo fa. Ciò che invece io considero davvero
un punto di svolta è stato l’intento genocidario che ha trasformato un regime
coloniale di insediamento e di apartheid in un genocidio.
Questo è iniziato il 9 ottobre, quando è stato espresso chiaramente l’intento di
tagliare cibo, acqua, medicine, carburante ai palestinesi, definiti animali
umani, trattando un intero popolo come il nemico naturale degli israeliani. Per
me, dunque, il 9 ottobre 2023 è stato il vero punto di svolta.
Giornalista:
“Vorrei farle due domande. La prima, ci può dire se ha subito restrizioni di
viaggio quando ha cercato di ottenere i documenti per recarsi a New York? Credo
che ci sia un po’ di confusione sul fatto se le sanzioni imposte contro di lei
includano o meno il divieto di viaggio negli Stati Uniti. La seconda domanda è
questo è il suo ultimo rapporto e anche diversi altri commissari che hanno
lavorato con lei stanno lasciando il loro incarico. Le chiedo, teme che quanto
accaduto a lei e ai suoi colleghi, considerando gli attacchi personali e le
minacce alla sua sicurezza fisica, possa scoraggiare in futuro altre persone dal
volere affrontare o denunciare questioni come questa e dall’assumere ruoli di
esperti ONU su temi così delicati”?
Francesca Albanese:
“Sì, giusto per chiarire perché mi sembra che oggi ci sia un po’ di confusione.
La commissione d’inchiesta presieduta da Navanethem Pillay ha presentato il suo
ultimo rapporto, ma il mio mandato prosegue ancora per due anni e mezzo quindi a
meno che non accada qualcosa di significativo dovrei restare in carica fino al
2028. Per rispondere alla sua domanda sono stata la prima esperta delle Nazioni
Unite anzi la prima persona legata all’ONU a essere sanzionata da uno Stato e
per di più da uno degli stati più potenti della comunità internazionale. Come ho
detto oggi agli stati membri ciò rappresenta un affronto alle Nazioni Unite
stesse ai loro principi alla loro essenza più profonda.
Sono sorpresa che da luglio non siano stati compiuti stati concreti al di là di
dichiarazioni e condanne che naturalmente apprezzo molto ma che non risolvono il
problema. Le sanzioni non sono state revocate e continuano a limitarmi in modo
gravissimo sia dal punto di vista finanziario che pratico. Le difficoltà per me
sono molte ma preferisco discuterne con gli stati membri e non con i media
perché non voglio distogliere l’attenzione dal contenuto che riguarda il
genocidio in Palestina.
Per quanto riguarda le restrizioni di viaggio il divieto d’ingresso è una
conseguenza diretta delle sanzioni che sono illegali in quanto contrario allo
Statuto delle Nazioni Unite e alla Convenzione ONU sui privilegi e le immunità.
Come esperta ONU lavoro a titolo gratuito, con grande sacrificio e disciplina
perché sono costantemente sotto osservazione. Per questo presto la massima
attenzione affinché i dati e le conclusioni dei miei rapporti siano solidi,
verificati e comprovati.
A tutti gli stati membri più di 60 il mio rapporto è stato inviato una settimana
prima della presentazione per permettere di inviare osservazioni. Capisco che
alcuni si siano lamentati di non aver avuto abbastanza tempo, ma vorrei
invitarli a trascorrere anche solo un giorno della mia vita dovendo gestire le
sanzioni il genocidio in corso e tutto il resto. Facessero il loro lavoro mentre
io continuo a fare il mio con diligenza.
Io opero in spirito di fiducia ho fiducia nelle Nazioni Unite e mi aspetto che
esse difendano la Convenzione sui privilegi e le immunità. Come dicevo le
sanzioni includono un divieto di viaggio e sanzioni economiche imposte non solo
a me ma anche a chiunque abbia rapporti economici con me compresa la mia
famiglia. Avevo fatto domanda per recarmi negli Stati Uniti ma sinceramente il
processo è stato talmente complicato e lungo che alla fine ho pensato che non
valeva la pena entrare in conflitto con gli Stati Uniti solo per la mia presenza
a Ney York. Sono felice di essere in Sud Africa, fra persone che meritano la mia
presenza”.
Abudullah Midsayem del quotidiano arabo Al-Quds:
“Grazie Francesca. Ho due domande e forse un breve seguito. La prima riguarda la
Corte Penale Internazionale. Come sappiamo la CPI persegue i crimini commessi da
individui non da Stati. La Corte ha emesso due mandati di arresto nei confronti
di due persone, il primo ministro e il ministro della difesa israeliani. La
prima volta se ne è parlato il 20 maggio ma i mandati sono stati emessi il 21
novembre, se non erro. Dall’ora dal 20 maggio a oggi nessun altro individuo è
stato incriminato, nonostante i continui crimini di guerra crimini contro
l’umanità e atti di genocidio, come la distruzione di ospedali, cliniche,
depositi di cibo e così via. Eppure la CPI non ha emesso nemmeno un nuovo
mandato di arresto dopo quei due. Cosa ne pensa? Perché la Corte Penale
Internazionale non sta svolgendo adeguatamente il proprio compito? La seconda
domanda riguarda invece il contesto del 7 ottobre. Sembra che Israele e i suoi
alleati vogliano che la storia inizi il 7 ottobre, senza nulla prima e senza
nulla dopo. Vogliono che si guardi solo alle persone uccise in Israele o a ciò
che accade in Cisgiordania a partire dal 7 ottobre, come se fosse un nuovo 11
settembre. Ma come lei sa il genocidio del popolo palestinese non è cominciato
il 7 ottobre 2023, né il 6, ma nel 1948. Come mai allora molti funzionari delle
Nazioni Unite non riescono a collegare i puntini, a mettere in relazione quanto
accaduto ai palestinesi da allora quando furono sradicati dalle loro case
costretti alla fuga trasformati in rifugiati attraverso guerre su guerre, 1956,
1967, 1973, 1982 e poi 5 guerre solo su Gaza! Perché secondo lei non si
ricostruisce il quadro completo collegando ciò che è accaduto prima del 7
ottobre a ciò che sta accadendo oggi? Grazie”!
Francesca Albanese:
“Guardi è vero, La Corte Penale Internazionale ha emesso soltanto due mandati di
arresto e la domanda che io porrei rispondere è perché ha dovuto aspettare fino
all’autunno del 2024 per farlo dal momento che il colonialismo di insediamento
era già in corso da tempo e quindi anche le aggressioni contro il popolo
palestinese, gli sfollamenti forzati, l’uso sistematico della tortura contro i
detenuti palestinesi, la detenzione arbitraria. Ma vorrei spostare l’attenzione
su un altro aspetto che non è marginale e che si è manifestato negli ultimi
mesi. La Corte Penale Internazionale è stata sottoposta a pressioni senza
precedenti. Ricordo che diversi stati hanno violato il loro obbligo di cooperare
con la Corte e di arrestare le persone oggetto di mandato, consentendo ad
esempio al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ricercato dalla CPI, di
utilizzare il proprio spazio aereo. L’Ungheria, per esempio, si è di fatto
sottratta allo statuto di Roma dichiarando che non arresterà Netanyahu e lo
stesso ha fatto la Polonia. Una realtà in cui certe critiche legittime alla CPI
trovano effettivamente fondamento, ma dove allo stesso tempo il diritto
internazionale compreso quello penale internazionale può esistere solo se gli
stati lo applicano. La Corte Penale Internazionale non ha una propria polizia,
ecco perché la Corte è di fatto strangolata. Mi chiedo se di questo passo, tra 5
o 10 anni, la Corte Penale Internazionale esisterà ancora. E non stiamo parlando
di un futuro distopico, stiamo già vivendo in un presente distopico in cui stati
influenti non rispettano più le regole, dichiarano apertamente di non avere più
bisogno di un sistema internazionale, agiscono secondo il principio la forza fa
il diritto. E c’è una sola forza capace di fermare questa realtà aberrante e
distopica: noi, cittadini comuni! Negli Stati Uniti, in Europa e anche in questo
continente e però di fronte ai crimini commessi contro i palestinesi restiamo
sempre più in silenzio e per me la Palestina è la prova decisiva! Dunque,
ripeto, il problema non riguarda singoli individui o la Corte Penale
Internazionale in sé, ma è sistemico e generalizzato.
Per quanto riguarda la seconda domanda, sono d’accordo con lei la storia non è
iniziata il 7 ottobre, la violenza in Palestina o in Israele e Palestina non è
certo cominciata quel giorno: non ho bisogno di esserne convinta, ho già scritto
sette rapporti su questo. Mi chiede perché i funzionari delle nazioni Unite non
prendano una posizione più ferma! Lei è a New York perché non lo chiede
direttamente a loro? Io non posso rispondere al loro posto”!
Giornalista:
“Onestamente sì, glielo ho chiesto molte volte anche al Segretario Generale che
lo aveva menzionato una volta e non lo ha mai più ripetuto, questo perché dopo
quella dichiarazione gli fu chiesto di dimettersi e venne attaccato duramente,
proprio come attaccano lei ora da allora non ha più ripetuto che il 7 ottobre
non è venuto dal nulla”.
Afra Kousagi di Arab News Daily:
“Grazie, grazie mille è un piacere vederla signora Albanese! Lei ha detto che
tutto questo riguarda anche la sopravvivenza delle Nazioni Unite, in base ai
loro principi e valori fondamentali. Può approfondire questo concetto? Quali
sono le sue preoccupazioni per il futuro di questa organizzazione considerando
che molti dei paesi citati nel suo rapporto, in particolare quelli occidentali,
si vantano di difendere il diritto internazionale i diritti umani e le
convenzioni internazionali. Alla luce di tutto questo che significato ha oggi il
diritto internazionale, anche dal punto di vista di una giurista come lei”.
Francesca Albanese:
“No, credo che gli stati membri, come lei dice, non possano più dirsi fieri di
difendere il diritto internazionale. Non lo fanno più non ne sentono il bisogno.
E l’ipocrisia di molti è ormai talmente evidente che capisco perché non fingono
più di volerlo difendere. In certi contesti sì, invocano il diritto
internazionale contro la Russia per porre fine alla guerra in Ucraina e penso
che questo sia giusto. Ma i doppi standard sono talmente clamorosi da risultare
patetici. E poi penso a tutti gli altri popoli che stanno morendo mentre gran
parte della comunità internazionale distoglie lo sguardo: pensiamo al Sudan, al
Congo. Ci sono oltre 50 conflitti in corso e non c’è alcuna vera attenzione,
alcuna cura, solo parole sporadiche, superficiali e prive di conseguenze. Credo
che questo momento storico sia, come ho spesso detto, apocalittico, nel senso
che mostra l’apocalisse fisica di Gaza, ma rivela anche chi siamo come
individui, come comunità come stati e come organizzazioni. Le Nazioni Unite
sono state create per proteggere la pace e la stabilità, per prevenire i
conflitti e per molto tempo ci sono riuscite, almeno evitando una guerra
nucleare. Ma a Gaza hanno fallito miseramente. Hanno fallito nel far rispettare
il diritto internazionale che per me, come giurista, rappresenta la
responsabilità più grave. L’ho detto sin dal 10 ottobre 2023: Israele non può
invocare la legittima difesa, l’articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite,
non si applica in un contesto di occupazione permanente, si applica solo nei
conflitti tra stati. Se Israele o i suoi alleati sono convinti che Hamas, o
qualsiasi gruppo armato palestinese privo di un esercito, di carri armati o di
caccia F-35, costituisca una minaccia alla sicurezza di Israele tale da
giustificare l’uso della forza, allora dovrebbero rivolgersi alla Corte
Internazionale di Giustizia e chiedere un nuovo parere consultivo. Perché fino
ad oggi il diritto internazionale impedisce a Israele di invocare la legittima
difesa, mentre occupa illegalmente un territorio che non gli appartiene. Israele
deve ritirare le sue truppe, smantellare le colonie, smettere di sfruttare le
risorse palestinesi e di praticare un sistema di apartheid e segregazione
razziale nei confronti dei palestinesi.
Questa funzione, quella di promuovere, ospitare e favorire un dialogo volto a
fermare la brutalità e le violazioni del diritto umanitario internazionale, ha
fallito. Come ho detto nelle mie osservazioni iniziali, ciò che trovo più
deprimente è quanto è accaduto alla funzione umanitaria delle Nazioni Unite,
anche essa ha fallito. Le Nazioni Unite nel loro insieme hanno permesso lo
smantellamento quasi completo della loro funzione umanitaria a Gaza, a seguito
del durissimo colpo subito dall’URWA.
Il fatto è che gli stati membri, perché in fin dei conti le Nazioni Unite sono
un’organizzazione intergovernativa, una coalizione, una famiglia di stati, non
sono stati in grado di isolare e contenere i due stati che oggi rappresentano
una minaccia per la pace e la sicurezza nella regione araba e oltre, Israele e
gli Stati Uniti. E tutto questo continua.
Dall’11 ottobre in poi, gli stati membri continuano a parlare di pace, di
cessate il fuoco, ma la mediocrità e l’ipocrisia di questo dibattito mi lasciano
senza parole. Non so più cosa dire, quasi 100 palestinesi sono stati uccisi e
circa 350 feriti, eppure si continua a fingere che la situazione stia
migliorando. Continuano a essere affamati, gli aiuti non entrano.
Gli ostaggi israeliani, fortunatamente, sono stati liberati e hanno potuto
tornare sani e salvi nelle loro case, mentre i palestinesi no. I corpi dei
palestinesi trattenuti sono stati restituiti profanati, con segni di tortura, e
questo mostra l’arroganza di Israele, che ormai non conosce vergogna. I
prigionieri palestinesi o, meglio, gli ostaggi palestinesi, che sono stati
rilasciati, raccontano le torture subite. Ci sono ancora 10.000 palestinesi
detenuti nelle carceri israeliani, e nulla cambia. Mi chiedo cosa tutto questo
significhi per le nuove generazioni. Perché la mia generazione è cresciuta con
un ideale, un senso di fiducia nelle Nazioni Unite, che oggi hanno miseramente
fallito nel sostenere la propria carta.
E cosa dice questo del diritto internazionale? Beh, penso che il diritto
internazionale abbia una storia diversa, perché è un sistema di norme che serve
a distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Oggi il diritto
internazionale viene invocato dalle persone comuni, dalle masse, contro il
genocidio, contro l’apartheid, contro i crimini di Israele. Forse gli stati
membri, i diplomatici e i funzionari non se ne rendono ancora conto, ma stiamo
vivendo una fase di accelerazione. Siamo già nel futuro, un futuro in cui, mi
dispiace dirlo, le Nazioni Unite stanno diventando sempre più irrilevanti. E lo
dico con rammarico, perché vorrei invece vedere le Nazioni Unite rialzarsi,
raddrizzare la schiena, restare salde e fedeli ai propri principi. Ma, temo, non
è questa la direzione verso cui stiamo andando”.
Paolo Mastrolilli, del quotidiano La Repubblica.
“Grazie mille. Vorrei tornare a ciò che lei ha detto sull’Italia nel suo
rapporto.
Cosa dovrebbe fare concretamente l’Italia per conformarsi alle raccomandazioni
contenute nel suo rapporto? Smettere di vendere armi? Interrompere i rapporti
commerciali con Israele? Quali sono, in pratica, i passi concreti che lei si
aspetta dall’Italia”?
Francesca Albanese:
“Una cosa positiva sarebbe che il governo italiano leggesse i miei rapporti e si
confrontasse seriamente con i loro contenuti e con le conclusioni, invece di
diffondere accuse infondate che servono solo a distogliere l’attenzione dal
cuore della questione. L’Italia sta mostrando un livello di immaturità politica
che non ho riscontrato in nessun altro paese. Ho avuto il privilegio, o forse la
sfortuna, di assistere all’intervento dell’ambasciatore italiano, e devo dire
che verrà ricordato come ridicolo, perché non ha toccato nemmeno uno dei punti
concreti del mio rapporto. Avrebbe potuto dire, no, ciò che lei afferma
sull’Italia non è vero e le spiego perché, ma non l’ha fatto, si è limitato ad
accusarmi di fare dichiarazioni politiche. E questo, ancora una volta, mostra
una mancanza di maturità politica che non riconosco nel paese in cui sono
cresciuta, un paese che un tempo aveva una rispettabile tradizione diplomatica.
Per quanto riguarda ciò che l’Italia dovrebbe fare, la risposta è semplice,
rispettare il diritto internazionale, smettere di difendere Israele come se
fosse un proprio ufficiale in comando, interrompere i rapporti commerciali ed
economici, in particolare la vendita di armi e componenti d’arma. Fare ciò che
chiedono i portuali e i cittadini italiani che stanno scioperando, ovvero che i
porti italiani non siano più utilizzati come punti di transito per le merci
israeliane dirette al mercato europeo, né per il passaggio di armi o componenti
militari provenienti da altri paesi europei verso Israele. Così facendo, oggi
l’Italia sta violando le proprie stesse leggi, perché la normativa italiana
prevede controlli sui carichi diretti verso paesi extra-UE e tali controlli non
vengono effettuati. Viola anche la Costituzione, che proibisce di partecipare a
guerre e viola gli obblighi internazionali, inclusi quelli di prevenire il
genocidio.
Non si tratta di un’opinione personale e non solo di quanto affermo io, o la
Commissione d’Inchiesta ONU, o il Comitato Speciale ONU sulle Pratiche
Israeliane, o gli studiosi di genocidio, ma è la stessa Corte Internazionale di
Giustizia ad averlo stabilito. Nel gennaio 2024 la Corte ha riconosciuto il
rischio di genocidio. Questo ha attivato l’obbligo per l’Italia e per tutti gli
altri Stati interessati di interrompere immediatamente il commercio con Israele,
in particolare quello di armi. Finché l’Italia non lo farà, continuerà a violare
il diritto internazionale e rischierà di essere considerata complice dei crimini
commessi da Israele. E proprio per questo il Governo italiano è stato denunciato
da un’organizzazione composta da avvocati italiani che ha presentato un ricorso
alla Corte Penale Internazionale. È una questione molto seria”.
Mu dell’Agenzia giapponese Kyoto News.
“Grazie per la conferenza stampa. Vorrei fare una domanda di approfondimento
riguarda le sanzioni imposte contro di lei dagli Stati Uniti per chiarirne
meglio i dettagli.
Dopo l’imposizione delle sanzioni, ha mai avuto un dialogo con il governo
statunitense in merito? E inoltre, ha ricevuto qualche consiglio o commento da
parte del Segretario Generale delle Nazioni Unite riguardo a queste sanzioni?
Grazie”.
Francesca Albanese:
“Non ho avuto alcun contatto con gli Stati Uniti. Per quanto riguarda il
sostegno ricevuto finora dalle Nazioni Unite, preferisco non commentare.
Giornalista:
“Ho due domande. La prima è un approfondimento su quanto ha detto riguarda
l’Italia, o meglio, riguarda il ruolo dei Paesi Terzi. Lei ne ha parlato
ampiamente, anche nel suo rapporto, ma vorrei capire perché, secondo lei, questi
Paesi Terzi ignorano il diritto internazionale, ignorano le proprie stesse leggi
e accettano persino il rischio di essere ritenuti legalmente responsabili.
La seconda domanda riguarda i media e la costruzione del consenso. Lei ha
accennato al ruolo dei media, ma potrebbe approfondire, inserendo la questione
in un contesto più ampio? In particolare, come vede il comportamento dei grandi
media occidentali di fronte a questo genocidio? E, in generale, il modo in cui
trattano le guerre, come ad esempio l’invasione dell’Iraq”?
Francesca Albanese:
“Guardi, alla domanda sul perché così tanti Stati preferiscano violare il
diritto internazionale piuttosto che rispettarlo, direi che, da un lato, non
temono conseguenze, perché il diritto internazionale si fonda sul principio di
reciprocità. Io rispetto la legge sapendo che anche gli altri, in buona fede, la
rispetteranno. Ma, naturalmente, le conseguenze delle violazioni dipendono
dall’efficacia del sistema nel reagire e oggi questa efficacia è quasi nulla. In
passato, come dimostra la storia del Sudafrica e dell’Apartheid, molti stati
membri inizialmente proteggevano il regime sudafricano, ma poi furono spinti e
costretti ad agire, grazie alla solidarietà globale e anche alla pressione di
altri Stati membri all’interno dell’Assemblea Generale. All’epoca, membri chiave
del Consiglio di Sicurezza, gli Stati Uniti e il Regno Unito, insieme a Israele,
al di fuori del Consiglio, erano tra i principali alleati del Sudafrica.
Ma ciò che allora fece la differenza fu l’unità del movimento dei paesi non
allineati, il cosiddetto Sud globale o maggioranza globale. Oggi quell’unità si
è sgretolata. Israele è riuscita a costruire un’influenza politica, economica e
militare in molte aree della maggioranza globale, in Africa, in America Latina,
in Asia.
Poi c’è un secondo elemento, l’ideologia. Nel Nord globale o minoranza globale,
esiste una forte affinità ideologica con Israele, almeno tra coloro che
detengono il potere. In parte questo deriva anche da pregiudizi antimusulmani.
I palestinesi vengono percepiti come meno degni di protezione. E questo, per
quanto indicibile, è un dato di realtà. Un altro aspetto ideologico spesso
ignorato è la penetrazione del sionismo cristiano, che sta rendendo molte
società del Sud globale meno sensibili alla questione palestinese.
Lo vedo chiaramente attraverso il mio dialogo con stati, ONG e gruppi religiosi
in Asia, Africa e America Latina. Si tratta di un problema crescente che
manipola la percezione di ciò che accade in Palestina e distorce la narrazione.
Poi naturalmente c’è il fattore economico, il profitto.
Molti stati collaborano con Israele, testando armi e tecnologie di sorveglianza
sulla pelle dei palestinesi. E tragicamente anche paesi che non hanno relazioni
diplomatiche dirette con Israele continuano a comprare queste tecnologie, queste
armi sempre più micidiali. E viene da chiedersi contro chi pensano di usarle.
Droni, sistemi ibridi, armi e tecnologie non convenzionali. È una realtà molto
seria. Infine, ma non meno importante, c’è un problema di sovranità: tendiamo a
pensare agli stati come a entità autonome, ma molti non esercitano più un potere
decisionale effettivo, perché il potere reale risiede nelle multinazionali che
operano nei loro territori. Stiamo ancora vivendo l’eredità del colonialismo di
insediamento del secolo scorso, che oggi ha assunto una forma economica e
corporativa. Non ci sono più colonizzatori con gli stivali sul terreno, ma
interessi economici che traggono profitto da tutto questo.
Per quanto riguarda i media, non voglio pontificare, ma posso dire che ho fatto
delle indagini che non sono ancora sfociate in un rapporto e sì, confermo che i
media mainstream occidentali hanno mostrato gravi carenze. Un linguaggio
distorto, assenza di contesto e copertura squilibrata tra ciò che accade agli
israeliani e ciò che accade ai palestinesi. La situazione è leggermente cambiata
dopo la rottura del cessato il fuoco nel marzo 2025 e con l’inasprirsi della
crisi umanitaria. Ma nel complesso la narrazione resta profondamente
sbilanciata. Ecco perché continuo a dire che appena ne avrò il tempo, vorrei
approfondire e indagare il ruolo dei media, perché merita un’attenzione e un
controllo accurati. Tuttavia, sono costantemente impegnata nel monitorare le
continue violazioni del diritto internazionale da parte di Israele, che
proseguono su vasta scala, mentre gli stati membri continuano a parlare di pace
e di cessato il fuoco. Ma diciamolo chiaramente: a Gaza non c’è nessun cessato
il fuoco. La gente continua a morire, a soffrire la fame e a essere sradicata
con la forza. È semplice e terribilmente reale”.
Giornalista:
“Grazie, signora Albanese, per questo briefing. Ho un paio di domande per lei.
La prima, poco fa, ha parlato di sionismo cristiano. Negli Stati Uniti ci sono
due gruppi cristiani che l’hanno citata in giudizio per diffamazione. Vorrei
sapere se ha un commento su questa causa e perché, secondo quanto si dice, si
starebbe avvalendo del governo sudafricano per schermarsi da questa causa e
sottrarsi al procedimento. La seconda domanda riguarda un’intervista che lei ha
rilasciato a Vanity Fair all’inizio di quest’anno, di non aver sostenuto l’esame
di abilitazione forense e ha detto di aver chiesto alle Nazioni Unite di fornire
la prova che lei non fosse stata finanziata da organizzazioni legate ad Hamas
durante alcuni viaggi di qualche anno fa, poiché, a quanto risulta, l’ONU non ha
ancora prodotto tale documentazione e le chiedo, è disposta lei stessa a
renderla pubblica, visto che immagino disponga di quei registri”?
Francesca Albanese:
“Max, ti sfido, te e chiunque altro davvero, come può l’ONU provare qualcosa che
non è mai accaduto? È probabilmente la decima volta che ripeto questa cosa.
Il viaggio in Australia è stato finanziato dalle Nazioni Unite. Puoi sostenere
che l’ONU non avrebbe dovuto pagarmi quel viaggio o che non dovrebbe finanziare
il mio viaggio in Sudafrica e va bene. Ma ti dico chiaramente, mi piacerebbe
poter usare i fondi delle Nazioni Unite per recarmi nei territori palestinesi
occupati, ma Israele non me lo consente.
Quindi ti sfido, fornisci una sola prova che Hamas mi abbia pagato qualcosa,
anche solo un pasto e io smetterò di essere relatrice speciale domani stesso.
Passiamo allora alla seconda domanda. Sì, so che ci sono gruppi di sionisti
cristiani che, invece di smettere di finanziare e coprire i crimini di Israele,
hanno deciso di fare causa a me, ma io sono tutelata dalle prerogative di
immunità previste per il mio incarico a ONU e ritengo che sia esattamente questo
che il Governo sudafricano ha difeso. Non ho ulteriori informazioni in merito.
Per qualsiasi chiarimento su questo punto, il suo governo sarà felice di
risponderle”.
Giornalista:
“Ha parlato delle difficoltà del sistema giuridico internazionale nel rispondere
adeguatamente e in effetti ne abbiamo viste chiaramente anche noi, i limiti del
diritto internazionale nell’affrontare situazioni come questa.
Le chiedo, il suo rapporto apre forse nuove possibilità per i tribunali
nazionali dei paesi terzi di intervenire su questi temi? Può approfondire questo
aspetto, ossia se il suo rapporto offre maggiori strumenti o incentivi giuridici
per i cittadini che vogliano chiamare in causa i propri stati davanti ai
tribunali nazionali per non aver adempiuto ai loro obblighi internazionali e, se
sì, potrebbe spiegare quali forme concrete potrebbe assumere questo percorso
legale. Ad esempio, associazioni o gruppi di cittadini nel Regno Unito, in
Belgio o in altri paesi, potrebbero ricorrere alla giustizia nazionale per
denunciare la mancata osservanza di tali obblighi”?
Francesca Albanese:
“Risponderò a questa domanda. Sì, come ho già detto, gli stati membri hanno una
serie di obblighi. Devono interrompere il commercio, fermare il trasferimento di
armi, ma anche indagare e perseguire chiunque possa essere responsabile di
crimini o complice di crimini. Questo può riguardare anche autorità statali. In
alcuni paesi sono già stati avviati procedimenti legali contro funzionari
governativi per complicità nei crimini commessi da Israele, ma gli stati membri
hanno anche l’obbligo di regolare e controllare le imprese registrate nei propri
territori e su questo fronte è stato fatto pochissimo, praticamente nulla.
Ci sono tuttavia alcune cause già avviate in diversi paesi contro ad esempio
Airbnb, Booking.com e, se non sbaglio, anche contro una piattaforma di turismo
online, di cui non so se la causa sia pubblica o meno, nonché contro compagnie
petrolifere e produttrici di armi. E naturalmente ci sono casi molto importanti
che dovrebbero partire proprio a livello nazionale, nei tribunali interni. Lo
spero perché, come ho già detto, la Corte Penale Internazionale sta affrontando
grandi difficoltà.
Ma esistono giurisdizioni nazionali competenti, soprattutto nei confronti dei
propri cittadini, che hanno combattuto nell’esercito israeliano. Quindi, ad
esempio, cittadini sudafricani, britannici o italiani che hanno prestato
servizio nell’esercito israeliano dovrebbero essere considerati sospetti e
quindi oggetto di indagine e, se le prove raccolte lo giustificano, perseguiti
penalmente per i crimini a cui potrebbero aver partecipato. C’è poi il caso di
israeliani che si trovano in altri paesi e che non hanno un legame di
nazionalità con lo stato in cui si trovano.
Anche la loro semplice presenza può far scattare un’indagine, poiché si tratta
di reati di diritto internazionale perseguibili in base alla giurisdizione
universale. Per questo motivo, alcune organizzazioni e gruppi di avvocati stanno
lavorando in questa direzione. Sarà un processo lungo, ma credo che alla fine
avrà successo.
Non siamo ancora riusciti a prevenire e fermare il genocidio, ma spero che il
principio di responsabilità penale cominci finalmente a colmare questo vuoto”.
Marvin Charlson di News24.
“Salve Francesca, ho due domande per lei. Da quando ha presentato il suo
rapporto, che cosa è cambiato, se qualcosa è cambiato? E sul piano personale,
quale sarebbe per lei la soluzione ideale per Gaza”?
Francesca Albanese:
“Non so ancora cosa sia cambiato, perché il mio rapporto è stato presentato solo
poche settimane fa e pubblicato appena la settimana scorsa. Vorrei poter dire
che ha già prodotto degli effetti, ma al momento non ne vedo di concreti. Ciò
che ho visto, però, è che molti stati membri si sono mostrati irritati e questo,
devo dire, mi fa piacere, perché non sono qui per metterli al loro agio.
Naturalmente vedo anche che continuano gli attacchi personali e trovo questo
vergognoso, perché io vorrei soltanto che gli stati si confrontassero con i
fatti, non con ciò che pensano della mia persona o del modo in cui esercito il
mio mandato. Mi aspetto che gli stati affrontino nel merito le accuse che
rivolgo loro. Israele e tutti gli altri stati coinvolti devono prendere sul
serio le accuse, non per ciò che dico io, ma per la gravità delle questioni
stesse che oggi sono oggetto di indagine davanti alla Corte Internazionale di
Giustizia per genocidio e davanti alla Corte Penale Internazionale per crimini
di guerra e crimini contro l’umanità, ci sono già mandati di arresto emessi e
molti altri casi sono stati presentati presso tribunali nazionali. Quindi questo
è davvero un momento di svolta. O si sceglie la giustizia o il suo opposto. È un
momento estremamente serio e temo che gli stati membri non ne stiano cogliendo
la gravità, accecati dai propri interessi politici. Cito spesso, e lo faccio
anche per chi ci segue online o da New York, alcune righe manoscritte di Nelson
Mandela, che mi hanno profondamente colpita. Scriveva che nel corso dei secoli
uomini e donne vanno e vengono. Alcuni non lasciano traccia, altri sono
ricordati per il male che hanno fatto e altri ancora per il loro tentativo di
portare giustizia attraverso le proprie azioni in questa vita. Ecco, credo che
anche i diplomatici e funzionari pubblici debbano chiedersi quale ruolo vogliono
giocare in questa pagina triste e tragica della nostra storia, perché stiamo
vivendo su un futuro preso in prestito e molti sembrano non rendersene conto.
Paolo Mazzinghi