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Pfas, ovunque e per sempre?
Un nuovo veleno silenzioso e ancora in parte sconosciuto è diffuso ormai anche dove non ce lo aspetteremmo. Il suo nome è Pfas, sostanze per- e polifluoroalchiliche, e il plurale è d’obbligo visto che non si tratta di un’unica molecola ma una vastissima famiglia, dell’ordine delle migliaia, create in un laboratorio degli Stati Uniti negli anni ’40 del secolo scorso. E di Pfas si è parlato durante l’incontro di venerdì sera presso il centro Volere la Luna di via Trivero a Torino, Pfas nell’acqua. Un problema globale e locale organizzato da ISDE – Associazione Medici per l’Ambiente Torino, dal Comitato Acqua Pubblica Torino, dal Comitato Acqua SiCura e con il patrocinio dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Torino. L’evento è stato aperto da Giuseppe Ungherese, autore di “PFAS. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua” da anni impegnato a diffondere conoscenza di questi inquinanti, promuovendo con Greenpeace monitoraggi e studi per conoscere la diffusione dei Pfas in Italia. Impossibile non menzionare il caso tristemente famoso della Mitemi, l’azienda chimica di Trissino, in provincia di Vicenza che con le sue lavorazioni ha avvelenato buona parte delle risorse idriche della zona. La pericolosità dei Pfas era già nota in particolare negli Stati Uniti, ma la Miteni rese tangibile che ciò che accadeva oltreoceano purtroppo era avvenuto anche da noi. Il caso Miteni ha sollevato il coperchio e ha fatto da apripista anche in positivo grazie alla sentenza del 26 giugno 2024 che ha condannato 11 ex dirigenti con l’accusa di disastro ambientale. Un riconoscimento per le tante persone che per anni hanno dato voce allo smarrimento di un intero territorio a partire dal comitato delle Mamme NoPfas. I Pfas dello stabilimento chimico hanno inquinato l’acqua e il cibo è un veicolo purtroppo efficiente e veloce di diffusione e non potrebbe essere altrimenti, noi esseri viventi tutti siamo acqua. Se il Veneto ha avuto la Miteni, in Piemonte troviamo la Solvay di Spinetta Marengo in provincia di Alessandria. In queste zone la presenza di Pfas è maggiore tanto che alcune zone intorno allo stabilimento di Spinetta Marengo sono state denominate zone rosse – si può forse dimenticare l’Acna di Cengio? – ma Ungherese ha evidenziato che la diffusione dei Pfas è maggiore nelle aree più industrializzate del paese, quindi in ordine crescente dal sud al nord del paese e questo potrebbe sembrare ovvio. Meno ovvio è che Pfas sono stati ritrovati anche a monte degli stabilimenti produttivi interessati. In altri termini a Torino, ma anche in Val di Susa sono stati effettuati campionamenti che hanno riportato un valore positivo ai Pfas che non possono esserci arrivati per l’acqua dei fiumi. I dati che confermano la presenza di Pfas a Torino li ha commentati Silvio Tonda del Comitato Acqua SiCura riportando i dati dei campionamenti effettuati da Smat a Torino nel 2023 e nel 2024. Anche se non tutti i punti di campionamento risultati positivi nel sono stati controllati nel 2024. Una stranezza questa destinata al momento a rimanere tale. Cosa permette ai Pfas di diffondersi anche in aree meno industrializzate? Cosa ha reso questi composti così diffusi? La loro invenzione fu casuale: cercando di produrre refrigeranti un chimico della DuPont sbagliò processo. Il composto non raffreddava nulla, in compenso si rivelò essere resistente ad agenti chimici, fisici e termici. E se durante la guerra vennero utilizzati anche per la bomba atomica, finito il periodo bellico i Pfas finirono in pentole e padelle grazie al teflon entrando nelle case di milioni di persone. Non solo, vennero utilizzati anche per l’impermeabilizzazione delle calzature. Ma la lista di prodotti che utilizza i Pfas è veramente lunga. Sempre Tonda ha spiegato che il Pfba, un altro dei composti della famiglia, viene utilizzato per accelerare il processo di asciugatura del cemento così come il Pfoa, riconosciuto cancerogeno e messo quindi al bando, ha ottenuto una deroga e potrà essere utilizzato nelle schiume antincendio fino a fine 2025. E ancora, i Pfas vengono usati anche per i diserbanti, già pericolosi loro stessi, per aumentarne l’efficacia. Insomma, ecco perché i Pfas, massicciamente utilizzati negli ultimi 50 anni e più sono ovunque. Proprio le caratteristiche che li hanno resi “utili” sono ciò che adesso li rende problematici. Ma il problema dei Pfas non è legato solo all’estrema diffusione: nel loro utilizzo non si degradano, non spariscono, non vanno via, tanto da meritarsi l’appellativo d’inquinanti eterni. Nemmeno il corpo umano riesce a smaltirli: si depositano nel sangue e lì rimangono. Marco Calgaro, medico dell’Isde e relatore all’incontro, ha parlato di un periodo di permanenza nel corpo dai 3 ai 5 anni. Nell’ambiente non si degradano da soli, è necessario l’intervento umano per portarli a temperature altissime, almeno pari a 1000 gradi, cosa che sembra avvenire in qualche inceneritore industriale di ultima generazione, non certo ovunque. Anzi, finendo in un inceneritore normale non si decompongono, non si degradano, ma si diffondono nell’aria. Il problema Pfas non genera però un’emergenza acuta, ma cronica. Diventano pericolosi per accumulo, negli anni e nel nostro organismo diventano interferenti endocrini andando a colpire il sistema che regola la produzione ormonale dalla funzione riproduttiva alla regolazione del sistema immunitario, arrivando a provocando anche danni epigenetici, perché gli effetti dell’esposizione ai Pfas vengono conservati a livello molecolare sia in diversi tessuti che in diverse specie, sia negli esseri umani che in altre specie animali. Cosa possiamo fare per difenderci? Facendo pesare il nostro ruolo di consumatori, facendo scelte oculate nel momento degli acquisti in modo da pesare più su soluzioni utili: tornare al vetro abbandonando la plastica, non usare pellicola e carta forno sostituendole con pellicola in polietilene e pergamena da forno. Ancora, si al biologico specialmente per bambini e giovani, i diserbanti non solo fanno male in sé ma, come già detto, possono contenere Pfas usato per renderli maggiormente efficaci. Anche la tecnologia ci viene incontro: l’app Yuka, permetterà di compiere acquisti in maniera più consapevole sia di alimenti che di cosmetici inquadrando il QR Code del prodotto. Se si vive in un’area particolarmente a rischio può essere utile installare filtri Doulton nel qual caso rimane il problema dello smaltimento dei filtri che attualmente è meglio non smaltire per evitarne l’incenerimento. Altro problema legato ai filtri: i filtri a carbone non sono efficaci per alcune molecole di nuova generazione, il Tfa l’acido trifluoroacetico a catena ultra corta. In questo caso servino filtri a osmosi inversa. In Italia le analisi per verificare la presenza degli inquinanti eterni nel nostro sangue sono possibili solo a pagamento. Volendo verificare la propria situazione Calgaro suggerisce di richiedere al medico il controllo della quantità di fluoro nel sangue, elemento con cui in genere non veniamo in contatto se non con piccole quantità come quelle presenti nei dentifrici o in alcuni farmaci. Con un esito inferiore ai 20 nanogrammi possiamo stare tranquilli, tra i 20 e i 100 nanogrammi si rimane nella norma ma se il valore risultasse superiore ai 100 Calgaro suggerisce di rivolgersi al proprio medico che potrà suggerire l’utilizzo di alcuni farmaci in grado di aiutare il fegato ad espellerli, la silimarina ad esempio. Ma è solo il legislatore che potrà porre fine alla loro diffusione vietandone l’utilizzo. Al momento si discute a livello europeo di una messa al bando di queste sostanze, ma il percorso è accidentato visti i poteri forti che si muovono contro. Entrambi i medici dell’Isde Marco Calgaro e Marco Tomalino invitano a seguire il principio di precauzione in questa situazione incerta e ancora portatrice di pericoli. È necessario richiedere la messa al bando dei Pfas, compiendo scelte commerciali ponderate sapendo però che purtroppo di molti composti ancora si sa poco o nulla. Sara Panarella Redazione Torino
Festa d’autunno di Volere la Luna: Politica e/è solidarietà
La sede dell’Associazione Volere la Luna, rimessa a nuovo lo scorso anno con una moderna e attrezzata sala polifunzionale (che integra il caratteristico pergolato di uva fragola prospiciente la Pellerina), si è arricchita proprio in questi giorni di una cucina nuova di zecca e funzionale – progettata da Architettura Senza Frontiere Piemonte – concretizzata anche grazie al contributo dell’8 per mille Valdese. La realizzazione della cucina è il primo passo per l’ apertura di una mensa sociale gratuita che contiamo di inaugurare entro l’anno. La presentazione di questo progetto aprirà la Festa d’autunno di Volere la Luna da venerdì 26 settembre alle 17.00 fino a domenica 28 alle 18.00 Nella festa si alterneranno conferenze, dibattiti, filmati, mostre come da programma allegato. Tra i molti eventi si segnalano * nel pomeriggio di venerdì, l’inaugurazione della mostra “Il dilemma dell’altruismo. A cosa serve l’altruismo in natura?”, curata da Daniela Gentile e Gabriele Raimondi e già proposta in diverse città italiane, che resterà aperta sino al 19 ottobre; * nel pomeriggio di sabato, la tavola rotonda “La scuola tra libertà di insegnamento e censura” a cura di Scuola per la pace; * nella serata di sabato, un ricordo di Stefano Benni con la testimonianza di Pietro Perotti, letture degli attori Gianni Bissaca e Walter Cassani e proiezione di filmati inediti; * nel pomeriggio di domenica, “All’indomani del decreto sicurezza. Cosa succede in Italia?”, con Alessandra Algostino, Angela Dogliotti, Valentina Pazé, Livio Pepino e Marco Revelli (coautori del volume Questo libro è illegale, Altreconomia, 2025) L’accesso e la partecipazione agli eventi sono liberi e gratuiti fino all’esaurimento dei posti.   Redazione Torino