Da lavoratori e giovani la spinta che ripudia la guerraLunedì 22 in tutta Italia, in città grandi e piccole, si è vista in piazza la
enorme solidarietà degli italiani con gli abitanti di Gaza con manifestazioni
grandissime e sorprendenti.
Pressenza ha pubblicato molti articoli, video e foto su questo.
Il Governo italiano invece ha cercato di nascondere tutto all’opinione pubblica,
tramite servizi tv assolutamente carenti e di parte, enfatizzando i pochi e
isolati incidenti .
Su queste manifestazioni, su “Città Nuova”, periodico del Movimento dei
Focolari, il giornalista Carlo Cefaloni ha intervistato il ricercatore genovese
Gianni Alioti, di Weapon Watch.
Ve ne proponiamo alcuni brani.
“Una fiumana di persone è scesa pacificamente nelle piazze di tutta Italia
lunedì 22 settembre 2025, per manifestare lo sdegno verso ciò che si sta
consumando a Gaza contro la popolazione civile palestinese. Una partecipazione
così estesa è stata sorprendente, anche perché non si può spiegare con la
diffusione dell’organizzazione sindacale di base che l’ha indetta, la Usb.
Un ruolo importante in questo caso va fatto risalire al collettivo dei portuali
di Genova che dal 2019 hanno cominciato a rifiutare di collaborare al carico di
armi destinati in zone di guerra, con il supporto di Weapon Watch,
l’osservatorio sulla movimentazione di armi nei porti europei e del
Mediterraneo.
(Cefaloni) Come si può spiegare una così larga e spontanea adesione di tante
persone all’iniziativa per Gaza?
(Alioti) Provo a rispondere con una frase ascoltata in occasione della grande
fiaccolata del 30 agosto con 50 mila persone che hanno accompagnato le
imbarcazioni che partivano da Genova per unirsi alla Global Sumud Flotilla. Un
ex parlamentare del Pci ha detto: “Se la manifestazione l’avessimo promossa come
Pd e come Cgil non saremmo stati nemmeno mille persone”.
In effetti all’inizio, i portuali stessi riconoscono che avevano poche persone a
sostenerli.
Alcune persone da sempre impegnate in quello che definisco “pacifismo autentico
e attivo”, Amnesty International e alcune associazioni e movimenti del mondo
cattolico.
Questi gruppi avevano colto subito l’importanza delle azioni dirette dei
portuali e di quelle lotte che andavano ben al di là dell’azione in sé,
assumendo una valenza simbolica ed eccezionale per il rispetto delle leggi e dei
trattati internazionali che regolano il commercio di armamenti.
Dunque, l’adesione di lunedì 22 settembre supera le appartenenze?
Assolutamente sì. Quello che si sta esprimendo in queste giornate di lotta è
un’adesione dal basso.
È un’adesione che riscopre l’etica e fa appello alla propria coscienza.
Ad esempio, l’adesione allo sciopero del 22 nelle scuole, nelle università e
nella ricerca non c’entra niente con la capacità di mobilitazione sindacale, che
in questi settori è minima.
Il Calp ha acquisito una certa autorevolezza che va oltre logiche di
schieramento.
La manifestazione a Genova è stata straordinaria anche per le persone presenti:
tantissimi bambini accompagnati dai genitori, dalle madri, o dagli insegnanti, e
tantissimi giovani.
La maggior parte delle persone non erano dietro uno striscione o non avevano
bandiere di organizzazione, a parte le molte bandiere palestinesi.
Quale è stato il contributo di Weapon Watch nel sostegno all’azione dei portuali
?
Weapon Watch nasce a supporto delle lotte dei portuali genovesi in collegamento
con altri porti, identificando nella logistica il cuore della filiera bellica e
il punto più vulnerabile.
L’esperienza cresciuta a Genova riguardo al transito di armi nei porti ha ridato
senso a questioni centrali nel contrastare le politiche di riarmo, l’economia di
guerra e le stragi delle popolazioni inermi.
Bloccare la circolazione delle merci, in questo caso la circolazione dei
materiali di armamento ha un notevole impatto sul sistema economico e i suoi
interessi.
È uno dei principali snodi dove si può rompere il meccanismo dell’economia di
guerra o evidenziarne gli aspetti illeciti.
L’altro elemento che questa vicenda ci ha insegnato è che quando le istituzioni,
anche quelle democratiche, non agiscono nel rispetto dello stato di diritto e
dei trattati internazionali, rimane soltanto l’obiezione di coscienza della
persona e l’azione diretta collettiva per far sì che la legalità venga
ristabilita.
È ciò che è accaduto in questi giorni nel porto di Ravenna dove è stato respinto
un carico di armi destinato all’esercito israeliano
Infatti la vicenda di Ravenna ha dimostrato che il transito di armamenti avviene
in totale violazione della legge 185 (che regola export, import e transito di
armamenti) per la flagrante mancanza di autorizzazione. Su Ravenna si sono mossi
insieme i portuali delle federazioni trasporti di Cgil, Cisl, Uil.
Le azioni che avvengono nei vari porti non sono riconducibili a un’unicità
politica o di appartenenza sindacale.
Ad esempio, i portuali del Calp genovese aderiscono in maggioranza alla Usb
(affiliata internazionalmente alla Fsm), ma i portuali di Marsiglia con i quali
hanno stretti rapporti sono della Cgt francese affiliata a quella che un tempo
era la Cisl Internazionale (ora Ituc – Confederazione Internazionale dei
Sindacati, a cui aderiscono Cgil, Cisl e Uil).
A Barcellona, è l’assemblea dei portuali ad agire in un organismo sindacale
unitario.
Ad Anversa nelle Fiandre, il sindacato dei portuali attivo contro il
trasferimento d’armi aderisce alla Confederazione Sindacale Cristiana, il
maggiore sindacato in Belgio.
In Grecia, è il sindacato legato alla Federazione Sindacale Mondiale, come
l’Usb.
In Marocco, viceversa, i portuali che hanno bloccato il transito di materiali
d’armamento a Tangeri e Casablanca verso Israele fanno parte delle tre
confederazioni sindacali affiliate alla Ituc.
Fuori dagli schemi di organizzazione i portuali genovesi del Calp hanno rapporti
anche negli Usa con l’Iww (anarco-sindacalista) e con i Teamsters che
organizzano i lavoratori dei porti del Pacifico.
La bio-diversità organizzativa di quanti agiscono su un terreno comune è
importantissimo, perché fa capire che qualcosa si sta muovendo unitariamente e
dal basso, al di fuori di schemi precostituiti o appartenenze.
Di fronte al dato di fatto realistico per cui non avremo un blocco totale degli
armamenti— abbiamo visto quello di Ravenna, che è stato caricato su terra – e il
flusso di armi difficilmente verrà interrotto, e di fronte alla situazione di
Gaza, non c’è il rischio che poi a un certo punto questo movimento di popolo si
disamori o lasci perdere per frustrazione?
Cercando di cogliere gli aspetti positivi di una lotta che non è risolutiva,
penso che chi ha scioperato il 22 o venerdì 19 (come a Genova la Fiom,
trascinando poi tutta la CGIL, che ha scioperato per 8 ore) l’abbia fatto
recuperando la dimensione dell’appartenenza ad una stessa classe di lavoratori
contro qualsiasi logica nazionalista.
Nessuno di coloro che ha scioperato, o partecipato ai cortei, pensa che la
propria azione sia risolutiva per mettere fine allo sterminio del popolo
palestinese a Gaza e in Cisgiordania o alla folle corsa al riarmo.
Dobbiamo essere consapevoli.
Non dobbiamo essere ingenui pensando che un blocco di container carichi di
munizioni ed esplosivi sia risolutivo di per sé.
Però queste azioni, partite da Genova e sviluppatesi nel tempo, devono arrivare
a travolgere, prima o poi, gli attuali decisori politici che stanno portando
l’umanità a schiantarsi, utilizzando risorse pubbliche nell’interesse esclusivo
dei fabbricanti d’armi e dei loro azionisti.”
Redazione Italia