A Gaza ogni parto è un atto di resistenza
Gaza continua a sanguinare. Ogni giorno nuovi bombardamenti, nuove macerie,
nuove vite spezzate. Ma ciò che segna in modo devastante e irreversibile questo
dramma è il volto femminile del genocidio in corso. Le statistiche, pur nella
loro crudezza, ci parlano chiaro: secondo i dati delle Nazioni Unite, oltre il
70% delle vittime civili sono donne e bambini. Le maggiori vittime sono le
donne, madri, giovani ragazze che custodiscono il mistero della vita. Donne che
mettono al mondo i figli, che donano luce all’esistenza e che oggi vengono
colpite con ferocia inaudita.
Non è solo una guerra di distruzione materiale, ma un attacco al cuore stesso
della generatività. Uccidere una donna significa recidere un albero di vita,
significa cancellare la possibilità di un futuro. Le madri di Gaza vengono
ferite due volte: nel corpo, perché i bombardamenti non risparmiano nessuno, e
nell’anima, perché assistono impotenti alla morte dei figli. Una ginecologa
palestinese, in una testimonianza raccolta da Medici Senza Frontiere, ha
raccontato: “Ogni parto qui è un atto di resistenza. Ogni madre che sopravvive e
stringe il suo bambino tra le macerie è un miracolo che sfida la morte”.
Il genocidio assume così una dimensione specificamente femminile: cancellare le
donne equivale a impedire che la vita continui, che la comunità possa
rigenerarsi, che la speranza possa ancora respirare. È come colpire le radici
stesse dell’umanità. Amnesty International ha denunciato che “gli attacchi
indiscriminati hanno devastato il sistema sanitario, privando le donne di cure
fondamentali durante la gravidanza e il parto”.
La tragedia del dolore innocente si consuma ogni giorno tra le macerie di Gaza.
Le donne raccolgono i corpi dei figli, lavano il sangue dalle strade, cercano di
dare un po’ di pane e acqua ai più piccoli, mentre la comunità internazionale
resta paralizzata. Eppure queste donne non sono soltanto vittime: sono testimoni
di resistenza, custodi della memoria, custodi di una speranza che nessuna bomba
può spegnere del tutto. Una giovane di Rafah ha detto ad alcuni osservatori
dell’ONU: “Ci vogliono cancellare come madri, ma noi continueremo a mettere al
mondo la vita, anche dentro le rovine”.
Gaza è genocidio al femminile perché la logica della guerra non tollera la
generatività, non accetta la forza mite di chi dona la vita. Nel volto delle
madri palestinesi, sporco di polvere e rigato dalle lacrime, leggiamo una verità
che ci riguarda tutti: non c’è pace senza giustizia, non c’è futuro senza
dignità, non c’è vita senza il rispetto del grembo che genera.
Occorre ascoltare queste donne, dar loro voce, proteggerle con la forza del
diritto internazionale e con la coscienza civile del mondo intero. Perché se
lasciamo che la maternità venga annientata sotto le bombe, tradiremo noi stessi,
la nostra umanità e la nostra capacità di futuro.
Gaza è genocidio al femminile. E da questa verità dobbiamo partire, con la forza
della denuncia e con la radicalità della pace, per costruire un mondo diverso,
un mondo dove la vita sia sacra e inviolabile.
Donna nelle relazioni per una società impostata sul portato della pace e della
giustizia sociale per i più fragili dell’umanità.
La finalizzazione delle differenze per impostare e connettere legami di amore e
pace tra le implicite e esplicite diversità del genere umano.
Per ogni essere umano vivere significa costruire, instaurare ponti di relazioni,
all’interno dei quali ciascuno si riconosce come essere sessuato in rapporto con
altri di sesso simile e diverso.
Riflettere intorno a questo tema significa impegnarsi rispetto all’incontro,
alla comunicazione con l’altra e l’altro: “Solo e sola non esisto. Ho bisogno
del mio tu”. Questo riflette l’alto portato dell’ideale di pace in ogni
longitudine e latitudine del nostro martoriato pianeta e della nostra comune
umanità sul baratro della crisi dell’annientamento.
La relazione, l’incontro, la comunicazione rivelano identità, similitudini,
affinità ma anche differenze.
“Io sono, tu esisti”: pari e diversi, ma l’identità può omogeneizzare ed
omologare e appianare le diversità e la differenza può mutarsi in estraneità,
ostilità, competitività ed esclusione.
Occorre diventare “noi”, come comunità e pluralità che abbracciano posizioni
diverse ed anche conflittuali.
Intendendo il conflitto come dinamica pedagogica di condivisione d’amore e non
come risoluzione armata che porta sempre a ulteriore violenza. Gaza ad esempio è
un genocidio al femminile perché le vittime principali sono le donne che
generano e mettono alla luce la vita e l’esistenza degli esseri umani.
L’Agape biblico, l’amore fraterno e di genere insegna a finalizzare le
differenze per impedire loro di diventare possesso, prevaricazione,
sfruttamento, dipendenza, violenza, guerra. L’amore è la base dell’ideale sommo
della pace e della giustizia sociale anche per un riscatto dei più fragili di
Madre Terra.
L’amore insegna ad essere propositivi: “Io accolgo la tua differenza e tu la
mia, per amore”, lasciandoci penetrare da questa reciprocità, vivendola come il
dono in cui ognuno accoglie l’altro lasciandolo diverso. “Amo ciò che è in te e
resta altro da me” (Luce Irigaray)
“Crescere, perciò vivere di relazioni, significa aprirsi ad un rapporto positivo
con la propria realtà fatta di progetti e desideri che passano attraverso un
corpo e si esprimono in un sesso, per riuscire ad amare tutto questo anche negli
altri” sostiene Jacobelli.
Ogni atteggiamento che ignori le soggettività, mortifichi le dignità e codifichi
un non ascolto, abbozzi spietatamente una negazione e disconferma dell’altro,
calpesta sempre il contributo che ognuno ha, uomo e donna, da offrire al mondo,
alla vita, alla verità ed impoverisca l’intera umanità.
Emerge una forte coscienza della diversità, della differenza come valore: il
riferimento esplicito è al genio femminile.
Una specificità femminile che non contrasta in nessun modo con l’affermazione
delle pari dignità nei rapporti di genere. La stessa evoluzione del femminismo
colloca la ricerca della parità in un’ottica di tutela e di salvaguardia e non
distruzione della diversità.
La presenza femminile dentro la società potrebbe maggiormente modificare le
logiche che regolano la politica ed il lavoro, oltre che la cultura
economicistica e utilitaristica corrente.
La sensibilità femminile può aiutare a percepire in particolare valori come la
dimensione umana della vita, la disponibilità e solidarietà verso gli altri, la
cura ed il farsi carico dei più deboli.
Ne consegue la necessità della formazione ed educazione alla diversità, per
riconciliare le donne e gli uomini con la propria identità.
Dal femminismo elitario si è passati alla coscienza più allargata e inquietante,
dalla inquieta trasgressione ed autonomia alla scomoda ricerca/proposta di
integrazione della donna in un tessuto di solidarietà più ampio, di più vasto
respiro, anche se spesso conflittuale.
Da questi presupposti scaturisce la richiesta di impegno concreto nelle
istituzioni, il desiderio di introdurre nel macro-sociale le esperienze vissute
dalla donna per secoli nel corso della “storia” (con la s minuscola) nel
microsociale, l’esigenza del confronto di genere, uomo/donna sul terreno del
quotidiano.
Il nucleo centrale dell’argomentazione è la ricerca di nuova solidarietà, di
partecipazione delle donne alla costruzione della storia e di produzione di
cultura e di legami di pace oltre che di amore in senso spirituale e psichico e
fisico.
Nell’attualità così inquieta e difficile e complessa il contributo femminile
appare una ricchezza forse decisiva per ricostruire un tessuto sociale
smagliato, una società da ritessere nelle sue trame di reciprocità, di dialogo,
di solidarietà, di pace e di giustizia sociale.
Sitografia e bibliografia per approfondire:
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Canale Spotify “Poche note possono bastare”.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, I Partigiani della pace, EMI Editrice
Missionaria Italiana.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Resistenza e Nonviolenza creativa, Mimesis
Edizioni.
Laura Tussi e Fabrizio Cracolici, Memoria e futuro, Mimesis Edizioni.
Laura Tussi