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Sciopero generale a Roma contro l’economia di guerra e il genocidio a Gaza
Migliaia di aderenti a Cobas, Clap, Sgb e Cub (ma l’USB e realtà studentesche come USB, Osa e Cambiare Rotta hanno optato per un presidio a Montecitorio, poi raggiunto da molti manifestanti una volta terminato il corteo) hanno attraversato Roma passando accanto ad alcuni ministeri e innanzitutto davanti al Ministero dei Trasporti, guidato da uno dei più indecenti esponenti di questa squallida compagine di governo, il più a destra dal dopoguerra. Uno sciopero che senza ambiguità si schiera contro il genocidio a Gaza e il riarmo italiano ed europeo, che dissangua le risorse destinate alle lavoratrici, ai lavoratori, attivi e pensionati e allo stato sociale, a iniziare dalla sanità, dalla scuola e dalla cultura. In testa lo striscione dell’Equipaggio di Terra contro l’economia di guerra. Stop genocide, mentre uno striscione di militanti invoca: “Mai più scioperi separati”. Tantissimi gli studenti delle scuole medie superiori, tra cui gli aderenti alla Rete della Conoscenza e ai collettivi autonomi, tante bandiere palestinesi e curde. Le infantili divisioni tra le organizzazioni non aiutano certo la piena riuscita delle mobilitazioni e il dispiegamento delle potenzialità di questo movimento, che ad ogni modo continua a mantenersi vivo e inarrestabile. Mauro Carlo Zanella
Una giornata particolare
Desideriamo condividere qui alcune considerazione a margine dell’indimenticabile giornata di ieri… Che giornata!  […]Non sappiamo quante persone sono scese in strada, quanti negozi hanno deciso di chiudere. Panifici e pasticcerie e ristoranti: perché non si può cucinare, curare il cibo, e poi reggere l’urto dell’immagini dell’affamamento ordito dagli israeliani contro i palestinesi. Quanti insegnanti si sono astenuti dal lavoro, quanti autisti e macchinisti hanno scioperato. Non interessa, anche se sarebbe bello avere i numeri per non sentirsi neanche per un momento dei numeri. Siamo i senzapotere. Non siamo impotenti. E fermeremo il genocidio. Questo commento è dedicato ad Alaa Abdel Fattah, che dopo oltre un decennio di ingiusta detenzione nelle carceri egiziane ha avuto la grazia da parte del presidente Abdel Fattah al Sisi. La notte del 22 settembre – che giornata indimenticabile – è uscito finalmente dal carcere di Wadi al Natroun. Osservare lui e gli altri protagonisti della rivoluzione egiziana di piazza Tahrir ha cambiato profondamente il mio sguardo sulla partecipazione politica, l’uso politico dello spazio pubblico, i movimenti e i nonmovimenti. E credo che guardare da sud verso nord, da est verso ovest, uscendo dai confini europei per assumere altre linee interpretative sia fondamentale per non rimanere ancorati a paradigmi che ormai mostrano la trama lisa. […] Centinaia di migliaia di persone, di senzapotere in piazza. Invisibili, nei paesi, nei piccoli centri in cui nei mesi scorsi hanno steso sudari e suonato campane, battuto pentole, acceso candele e luci nel buio. E boicottato tutto ciò che c’era da boicottare. E riconosciuto lo Stato di Palestina nei consigli comunali. Sono stati sussurro, e poi voci, e poi corpi, e poi presenza costante contro il genocidio di Gaza. Chiamandolo per quello che è: genocidio. Genocidio del popolo palestinese a opera dello stato di Israele. […] Paola Caridi https://www.invisiblearabs.com/…/una-giornata…/… https://www.facebook.com/photo/?fbid=10238283324241516&set=a.1385113307376&locale=it_IT La musica sta cambiando Piccoli slittamenti della tv meloniana. Alle 7, il servizio del Tg3 dice coraggiosamente che “le violenze” di Milano sono poca cosa rispetto all’enormità delle manifestazioni non violente di Roma e del resto d’Italia. A mezzanotte, Linea notte comincia con una tipa che dice il contrario esatto: manifestazioni inficiate dalle violenze di Milano. Dev’essere passato da lì un correttore di bozze. La verità della giornata è che la destra e i “liberali” che la supportano tremano. Si può essere cinici e spietati, o fare il tifo per i cinici e gli spietati, finché le masse dormono. Ma se si svegliano, e improvvisamente convergono da provenienze diverse su un obiettivo sacrosanto, fare i gradassi con il santino di Kirk o con la decima mass di Vannacci o con “il mio amico Trump” di Meloni diventa più difficile. Anche un cieco vede che con oggi si cambia musica. Ci sarà ancora molta violenza, come sempre soprattutto di Stato. Ci saranno ancora gigantesche bugie, come quelle sull’assassinio di Kirk. Ci saranno ancora sondaggi che danno tutto fermo a tre anni fa. Ma la musica sta cambiando e diventa sempre più assordante, come i clacson di quelle macchine bloccate sulla tangenziale di Roma che suonavano non per protesta ma per sostegno al corteo – una cosa mai vista finora. È una ben misera consolazione rispetto alle vite perdute o traumatizzate, ma il genocidio di Gaza non resterà impunito. Ida Dominijanni https://www.facebook.com/ida.dominijanni?locale=it_IT Avviene da decenni, il popolo palestinese – «il simbolo delle minoranze e delle classi subalterne contro cui in tutte le società capitalistiche si accentua l’oppressione», come ha scritto Luigi Pintor – fa cadere la maschera. È per questo che uno dopo l’altro, come una valanga, in Europa e nel mondo hanno preso posizione tante categorie di lavoratrici e lavoratori: docenti, operai, studenti, medici, infermieri, scrittori, registi, giornalisti, diplomatici, portuali. Agiscono non solo sulla spinta dell’orrore e di un’empatia frustrata che cercava una collettività per non soccombere, ma guardando a cosa il genocidio di Gaza dice al nostro stato di diritto e ai nostri rapporti economici e sociali, terremotati dall’avanzata dei sovranismi neri. Chiedono la fine del genocidio mentre chiedono la revisione delle basi fondanti i rispettivi settori lavorativi e la trasformazione del sistema economico neoliberista. Vogliono la disapplicazione delle regole del capitalismo escludente e la fine della marginalizzazione della “popolazione in eccesso” dentro le nostre comunità. Che stesse nascendo, passo dopo passo, un movimento globale, le classi dirigenti lo hanno capito subito: hanno messo in moto la macchina della repressione del dissenso fin dal principio, dalle prime manifestazioni per la Palestina. Non tanto per difendere un alleato ma per difendere se stesse. E allora blocchiamo tutto. Il Manifesto, 21 settembre 2025 Chiara Cruciati https://ilmanifesto.it/e-movimento-globale-gaza-parla-anche-di-noi?   Daniela Musumeci
“Oggi si scrive una pagina di Storia”
UNA FOLLA OCEANICA A NAPOLI PER LA PALESTINA “Oggi si sta scrivendo la Storia a Napoli e nelle altre 80 città italiane che hanno invaso le strade per gridare: basta al genocidio, basta a ogni forma di complicità, basta a ogni relazione istituzionale ed economica con Israele, basta con le armi.” Una fortissima mobilitazione: quarantamila persone, dicono i numeri forniti dagli organizzatori. Uno tsunami umano che, stamattina a partire dalle 9, ha invaso piazza Garibaldi per partecipare allo sciopero generale in solidarietà con la popolazione palestinese. Sciopero indetto dai sindacati di base USB, CUB, SGB e altre sigle, e sostenuto dalla “flottiglia di terra” Movimento Globale a Gaza Campania, da associazioni, dall’UDAP (Unione Democratica Arabo-Palestinese), dalla Rete delle Comunità palestinesi, dal Centro Culturale Handala Ali e dai collettivi studenteschi. La imponente, che ha visto marciare tutti insieme lavoratori e lavoratrici, studenti, uomini, donne manifestazione, padri e madri – molti con bambini sulle spalle – scandendo un unico, ininterrotto coro che ha inondato la città, è stata civile e pacifica. “È una giornata epica, oggi siamo tantissimi. Dobbiamo fermare noi cittadini, studenti, lavoratori questa follia che sta attraversando il mondo e che ha oscurato la coscienza. Ma non è finita, perché questo Paese, questa città hanno ancora una coscienza da spendere. Palestina libera!”, lo grida dai megafoni un organizzatore. E tutti lo ripetono in un urlo collettivo che, come un’onda sismica, si allarga sulla folla a perdita d’occhio. Si avverte da subito che questa non è una manifestazione come le altre: c’è un’atmosfera che si carica sempre di più di un’emozione partecipata e fortemente sentita, ma si avverte anche tanta rabbia e fermezza nella condanna unanime, senza più contrattazioni. Dalla folla si alzano grida contro ogni forma di complicità, di silenzio o di parole timide e balbettanti. Ora è solo il tempo di azioni reali e concrete. Si chiede una presa di posizione chiara dell’Italia, ora, subito, senza più alcuna ipocrisia. La notevole adesione testimonia la forza del sentimento popolare, ma “siamo consapevoli che serve una strategia politica internazionale”. “Una manifestazione immensa, come non vedevo a Napoli dagli anni ’70. Ci sono tutti: lavoratori, studenti, attivisti e migliaia e migliaia di cittadini. Grazie, Napoli”, ha detto con voce commossa al megafono un anziano attivista del Centro Culturale Handala. Bandiere, striscioni, cori: un tripudio di colori e di voci di solidarietà. L’atmosfera è veramente carica di un’emozione intensa che stringe tutti in un unico senso di appartenenza. È appartenenza a una stessa umanità che qui oggi si vuole recuperare. Un cartellone scandiva: “E criature so’ tutt’ egual” – i bambini sono tutti uguali. Quella di oggi aveva una valenza enorme perché la mobilitazione per la Palestina e il sostegno alla missione umanitaria si sono incrociati con le rivendicazioni sociali, con lo sciopero per la difesa del lavoro e della sicurezza sul lavoro. Il grido dei portuali di Genova, “Bloccheremo tutto”, è diventato il grido di tutti: un fiume in piena che ha attraversato le strade della città. Un’ondata di indignazione che non può più essere contenuta: “Oggi, e la Storia ce lo ricorda, assistiamo alla consapevolezza della gente comune che prende le redini della lotta e chiede a voce alta azioni concrete da parte del governo.” Non è più il tempo delle dichiarazioni e dell’incertezza: è ora di agire. Quando i popoli scendono nelle piazze, cambiano la Storia. È questo uno dei tanti comunicati letti. Lo sciopero ha riguardato trasporti, scuole, università, fabbriche, logistica, settori del pubblico impiego, commercio, energia. C’erano gli studenti, tanti, tantissimi universitari e delle scuole superiori, e c’erano i loro professori. Hanno sfilato a testa alta dietro ai loro striscioni: “Rivogliamo la cultura, la conoscenza contro ogni tentativo da parte del ministro dell’Istruzione di impedire di parlare di Palestina nelle classi. Noi siamo la Palestina. Nessuno può rubarci il futuro.” Il portavoce del collettivo studentesco parla e, a tratti, la voce si incrina per l’emozione: “Non ruberete i nostri sogni, i sogni dei giovani palestinesi. Non ucciderete la conoscenza per comprare armi e finanziare lager in Albania.” Gli studenti lo sanno che questo è stare dalla parte giusta della Storia. “Oggi, contro le politiche del Governo, ci riprendiamo il diritto allo sciopero.” E qualcuno aggiunge un dato che è anche una speranza: qualche centinaio di studenti palestinesi ha conseguito la maturità nella sola scuola rimasta a Gaza. È un fiume umano che da Piazza Garibaldi comincia a scivolare verso la Stazione Centrale. Gli organizzatori hanno spiegato quale sarebbe stato l’itinerario. “Questa non è una passeggiata”, hanno avvertito, “ma un presidio itinerante, una risposta simbolica ma potente al ‘Bloccheremo tutto’, in coerenza con la griglia lanciata dai portuali di Genova e divenuto slogan di riferimento in tutte le manifestazioni successive.” Il corteo si è diretto verso la Stazione Centrale, invadendo ogni spazio e “occupando” i binari, generando il blocco temporaneo della circolazione ferroviaria. Ma la Stazione non è riuscita a contenere la marea umana, che continuava a costituire un lunghissimo corteo e occupava tutta la piazza. Qui, sui binari, sono stati letti comunicati da parte di rappresentanti dei sindacati. Il messaggio era chiaro e forte: “Se non si ferma il genocidio, noi bloccheremo ogni luogo, ogni fabbrica, ogni istituzione”. E ancora: messaggi con una portata sociale che hanno accomunato tutte le categorie di lavoratori presenti. “I soldi frutto del nostro lavoro devono essere spesi per i lavoratori, per le famiglie, le aziende, la salute, l’istruzione e la ricerca, la sicurezza sul lavoro. E a questo proposito vogliamo denunciare che ancora oggi è morto un lavoratore, senza che nessuno risponde di questi omicidi, perché in Italia non è previsto il reato di omicidio sul lavoro.” E concludevano: “La nostra Costituzione è il faro che ci guida. No alle armi, no alla guerra: non saremo mai complici del futuro di morte che ci state preparando”. Una dottoressa, a nome del foltissimo gruppo di sanitari ospedalieri presenti, ha preso la parola per esprimere quanto sia aberrante non poter salvare vite umane, vedere morire bambini di fame e di stenti oltre che per le bombe. Ha ricordato tutti i colleghi sanitari che sono morti, che hanno speso la loro vita per salvare vite umane: 1167 sanitari palestinesi uccisi. “Abbiamo chiesto al Presidente della Regione De Luca che blocchi le forniture sanitarie con marchio israeliano e di escludere Israele dal prossimo PharmExpo della Salute e del Benessere, che si svolgerà dal 24 al 26 ottobre alla Mostra d’Oltremare di Napoli.” Seconda tappa: l’Università, dove già c’era un presidio di studenti che si sono uniti al corteo, che ha continuato a sfilare lungo tutto il Rettifilo fino a Piazza Municipio, per portarsi poi verso il secondo luogo di “occupazione simbolica”: il Porto di Napoli, per manifestare contro le grandi società – comprese le navi da crociera – che con Israele mantengono rapporti e traggono grandi profitti. Ma anche qui solo una parte dei manifestanti è riuscita ad entrare nell’area interna del Porto. Migliaia di persone sono rimaste rimaste in presidio fuori, nella grande area con vista sui resti archeologici. Gli slogan non si sono fermati mai. Lo slogan più gridato: “Genocidio, miseria e lutto: bloccheremo tutto”. Il corteo ha poi ripreso a sfilare per portarsi davanti alla Prefettura, simbolo del Governo, in Piazza del Plebiscito, occupando ogni punto dell’immensa piazza. Qui i manifestanti hanno espresso tutta la portata sociale della mobilitazione con slogan che chiedevano al Governo interventi a tutela della gente comune, del lavoro e del welfare, e interventi concreti e immediati per salvare ciò che resta di Gaza. “A cosa serve l’eventuale riconoscimento dello Stato della Palestina, come stanno facendo ormai molti Stati, se non resterà più niente della Palestina e dei palestinesi?”, ha gridato con una nota di disperazione nella voce Jamal della comunità palestinese di Napoli. Napoli oggi ha mostrato il suo volto più autentico: città di pace, di accoglienza, di Resistenza e di grandi mobilitazioni. L’ultimo grido che ha scosso la bellissima Cattedrale neoclassica: “Gaza resiste, la Palestina esiste”. E resiste Napoli, che continuerà nel pomeriggio la mobilitazione alla ex Nato di Bagnoli, dove è atteso il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per l’apertura dell’anno scolastico. Redazione Napoli