22 settembre, sciopero generale: prime riflessioni alla fine di una giornata davvero specialePalermo, lunedì 22 ore 10,30 circa piazza Massimo: parte il corteo in
solidarietà con la Palestina, no, sembra sia già partito da un po’ perché la
testa è già davanti la prefettura 300 metri più avanti.
Urla, slogan, canti, giovani si muovono quasi a passo di danza, dal megafono
“…questo è un corteo lento, oggi blocchiamo la città”. Anziani sorridono,
sorridiamo, un corteo così non si vedeva da decenni. Palestina unisce!
Oltre 20.000 persone reali, tutti i sindacati di base, USB che ha indetto lo
sciopero generale, COBAS, CUB, SLAI COBAS che hanno aderito dando la possibilità
a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori di scioperare e iniziare cosi a
mettere qualche sassolino nel perverso meccanismo della complicità del governo
italiano nel genocidio perpetrato da Israele.
Perché oltre alla straripante manifestazione lo sciopero è riuscito a Palermo
come in tutta Italia. Si sono fermati i trasporti, non si vedeva un bus, le
scuole hanno chiuso i battenti, le università non hanno funzionato così come la
sanità e anche molte grandi imprese del privato.
Ma non è stato solo il mondo del lavoro a farsi carico di questa entusiasmante
giornata di lotta, ovviamente le associazioni palermitane dei Palestinesi,
migliaia di studenti medi e universitari, precari di tutti i tipi,
associazionismo laico e cattolico, medici senza frontiere, preti contro il
genocidio, artisti di strada ma non solo, e poi genitori con bambini,
diversabili con carrozzine e tanti e tante altre che non cito per questioni di
spazio.
Insomma una ricchezza e una diversità di linguaggi e identità attraversate da
un’unica necessità, quella di esserci, con la Palestina, con la Sumud
flottiglia, quella di fermare Israele e il genocidio. Il corteo, lunghissimo e
compatto, si è svolto senza alcun incidente ma ha comunque bloccato, oltre il
traffico, gli ingressi del porto per almeno un paio d’ore mostrando, oltre ad
una partecipazione gioiosa, una determinazione forte.
Siamo ormai tutti coscienti che non sarà dai governi o peggio dall’UE che si
muoverà qualcosa per fermare il massacro, quindi l’unica strada che resta è
quella dell’iniziativa dal basso, pacifica, orizzontale, ma determinata,
continua ed efficace.
E la nostra efficacia può misurarsi soltanto nella capacità di mobilitare i
lavoratori e non solo per inceppare, come abbiamo fatto oggi, la produzione di
beni e servizi, per costringere governi e padronato a rivedere gli accordi
commerciali con Israele, a bloccare il traffico di armi, a stabilire sanzioni.
Tutto questo non sarà né facile né breve e non basterà l’afflato etico e morale
che comunque ha spinto fino ad oggi migliaia di persone in piazza, ma sarà
necessario ricominciare a spiegare come l’incredibile aumento delle spese
militari andrà a penalizzare pesantemente il welfare e gli stipendi, bisognerà
parlare nei territori e nei luoghi di lavoro e di studio di come questa folle
corsa agli armamenti, e l’appoggio incondizionato alle politiche USA, danneggi
pesantemente la qualità della nostra vita quotidiana, oltre a spingerci, passo
dopo passo, verso la terza guerra mondiale.
Insomma parlare di soldi e sanità mentre i bambini palestinesi muoiono sotto i
bombardamenti non è immorale, bensì è l’unico modo che abbiamo per tentare di
salvarli e di salvarci.
Redazione Palermo