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Per un Medio oriente libero da armi nucleari e da altre armi di distruzione di massa. La campagna parte da Napoli
Eirenefest Napoli 20-09-2025 Se siamo qui, oggi, è perché si è scelto di raccogliere le eredità e le proposte; se saremo qui, domani, sarà perché saremo capaci di fare memoria – informazione – futuro. Scriveva padre Alex Zanotelli, presentando un testo di Angelo Baracca (“Per la memoria, l’informazione e il futuro. Scritti per le prossime generazioni”): “Se l’umanità continuerà a camminare sulla strada che ha scelto, rischia di finire in un inverno nucleare oppure in un’estate infuocata. (…) Oggi la minaccia atomica torna a terrorizzare il mondo (…) Oggi rimangono 15.000 testate intatte nel mondo: una minaccia mortale per il futuro dell’umanità e del Pianeta. E i venti di guerra soffiano forti. (…) Baracca è l’autore di vari volumi importanti nel campo del nucleare: “A volte ritornano. L’Italia ritorna al nucleare” e soprattutto “SCRAM”, scritto insieme a Giorgio Ferrari”. Oggi siamo qui, a Napoli, terra su cui insistono le lotte e, nel contesto di questo Eirenefest, le persone, che quel grido di allarme accorato e competente (coerente) hanno lanciato. Continua padre Alex, ricordando Angelo: “Oltre a essere uno scrittore, è anche un impegnato attivista contro il nucleare. Infatti l’informazione deve portare all’azione per essere efficace. E non basta l’informazione individuale, ma deve essere collettiva”. Questo significa poter trasformare l’essere parte di, in termini di appartenenza, ad una dimensione di significato (entro e oltre l’essere religiosi, prima di tutto essendo orientati dentro un orizzonte spirituale, di ricerca del senso delle vite dell’essere donne e uomini in cammino per la costruzione di percorsi di Pace) nell’essere “parte di un grande movimento che, a gran voce, esiga che l’Italia aderisca al Trattato per l’abrogazione del nucleare (TPNA)”, quindi che, in una prospettiva di Utopia, “(l’Italia…) elimini dal proprio suolo tutto l’armamentario atomico”. Ad Angelo Baracca è stata dedicata una giornata, nel novembre 2023: eravamo a Firenze, padre Alex partecipava attraverso un suo contributo registrato ed inviato a noi, Giorgio aderiva ed era attivo sostenitore dentro la proposta di Medicina Democratica – Sez. Pietro Mirabelli, che umilmente contribuii a pro-muovere, nel luglio 2023; come scrivevo, a introduzione del testo – atti di quella giornata: “perché possano trasformarsi in proposte, perché il ricordo non sia pietra scolpita e tenuta a memoria nel tempo che cristallizza le immagini, bensì movimento collettivo che, nascendo dalla simpatia, dall’essere stati (ed ancora oggi essere) in cammino insieme, recupera le pietre e le lavora insieme”. “Uomo di scienza e di pace” e “amico e compagno di lotte”: Angelo così lo avevamo voluto ricordare, nel rappresentare due mondi e due anime: ambiti in cui il pensiero e le prassi si sono venuti contaminando e, restando nella fedeltà alla complessità della storia di Angelo, sceglievamo di tenerli insieme; Angelo negli ultimi (suoi) tempi, era attivo nell’impegno nell’appello, oggi sempre più attuale ed urgente, sempre più contingente: “fermare la guerra e imporre la pace”, consapevole di andare “verso l’apocalisse” e che l’eliminazione delle armi nucleari fosse “unico presupposto per evitarla”, “sull’orlo del precipizio”… Nel marzo 1999, scriveva: “Si pensi alla situazione della Palestina”: “una situazione di grave e sistematica violazione dei diritti individuali più elementari, oltre che di diritti collettivi, negati dalla perdurante politica israeliana di insediamento di “coloni”, e da un regime di segregazione etnica assimilabile all’apartheid” ed anche “una recrudescenza nella repressione della popolazione locale”, “un problema di esodi di massa e di “pulizia etnica” del territorio che va avanti da oltre quarant’anni”, “una serie continua e insistita di risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza dell’ONU”. Nel luglio 2020, scriveva la denuncia del rischio nucleare, rischio che oggi teniamo insieme rispetto al rischio (od alla quasi certezza, oltre l’utopia che possa invertire il senso della storia contemporanea) dello sterminio di un popolo attraverso “pulizia etnica”, utilizzo di mezzi – armi di distruzione di massa che difficilmente possono essere legittimate nell’uso pensando alla deterrenza (nucleare e non): “il processo di disarmo si è arenato e addirittura invertito, perché tutti i paesi nucleari hanno intrapreso programmi plurimiliardari di “modernizzazione” del sistema degli armamenti nucleari (avviati dal Nobel per la Pace Barack Obama!)”. Analizza il percorso promosso dalla campagna internazionale ICAN rispetto all’approvazione del TPAN, entrando nel merito di quanto, meglio e soprattutto con maggiore competenza e pertanto titolo a parlare rispetto a me, Giorgio Ferrari analizzerà, nelle evidenze di pericolosità di quelle “vere bombe a orologeria” rappresentate da reattori e testate nucleari e nella proposta politica specifica per la quale siamo qui. Se siamo qui, oggi, è perché riteniamo che il pensiero critico, quello insegnato dentro i luoghi dove si formano le persone, “le prossime generazioni”, ed anche nelle piazze dove si parla attraverso il megafono che amplifica riflessioni ed emozioni distopiche finalizzati a muovere le coscienze (anche attraverso quel rullo di tamburi e quel fare rumore, che, oggi, attraversa i luoghi dove si Urla per Gaza), sia ancora ancoraggio su cui anche questi Eirenefest basano le proposte di incontri – con-fronti, ancoraggio delle lotte alle basi che ne definiscono le ragioni; manifestare richiede alle persone partecipi di conoscere i perché, studiarli, confrontarli, dialogarli, se possibile anche metterli in crisi, mettersi in crisi: dobbiamo avere la Saggezza di tenere insieme e il Coraggio di mettere e mettersi in discussione. Oggi, ancora più di due anni fa, la convergenza è necessaria eppure è fondamentale mantenere i pensieri critici e orientati, non semplicemente messi accanto, ma finalizzati all’attuare proposte che non siano vuote di retorica ed orientati a plagiare le masse a-critiche e obbedienti. Scriveva Angelo Baracca nel suo testo, con il quale ho aperto queste mie brevi riflessioni (“Per la memoria, l’informazione e il futuro. Scritti per le prossime generazioni”), ricordando il proprio metodo di insegnamento, perché oggi siamo qui a fare memoria – informazione – futuro: “iniziavo i miei corsi dicendo: Le mie idee sono spesso diverse da quelle prevalenti (tanto più nel campo della scienza), io le enuncerò sempre nel modo più chiaro e senza reticenze, non intendo in alcun modo plagiarvi, ma sottoporvi a ragionare con la vostra testa: se, alla fine, arriverete a conclusioni opposte alle mie avrò comunque ottenuto il risultato, l’importante è che le idee siano vostre e non uno dei tanti stereotipi”. In un tempo come l’attuale, in cui non è facile trovare Vie, in uno spazio – tempo in cui spesso siamo stati sopraffatti da quell’impotenza derivante dal Che fare, perché la costruzione di percorsi di Pace (non di pacifismo) potesse essere sospinta verso anche solo una minima coscienza di cambiare uno scenario di Apocalisse (data dalle armi, nucleari e di distruzione di massa, particolarmente incidenti in questo), la richiesta di Giorgio Ferrari, al termine di Eirenefest (nazionale, a Roma) a giugno 2024, non poteva non essere accolta: la richiesta di mettere a disposizione conoscenza e scienza perché potesse esserci una spinta verso il governo italiano di un differente posizionamento. Oggi, nel tempo che ci separa da quel giugno 2024 (15 lunghi mesi) in una terra e per un popolo martoriato che sta subendo una pulizia etnica senza precedenti (o, se vogliamo rimettere memoria rispetto all’olocausto, anche se ogni paragone rischia – ed ha rischiato – di ridurre la portata dell’una piuttosto che dell’altra Storia, rischiando di creare una competizione tra drammi cui hanno concorso e stanno concorrendo responsabili diversi e simili perché le storie – purtroppo – si stanno in-consapevolmente ripetendo), siamo tutte e tutti coinvolti, corresponsabili, perché (sia pure giustificandoci attraverso l’impotenza – il non-potere) assistiamo e sentiamo di agire poco o di non agire. E se anche una piccola goccia possa alimentare un fiume di speranza, che sia realismo di utopie concrete, non è sovra- dimensionare la portata del messaggio di Giorgio assumerci la responsabilità di rispondere Sì a questa sua, specifica e motivata proposta, che è diventata collettiva, inizialmente con fatica eppure anche oggi con volontà che le informazioni messe a disposizione possano contribuire a spostare (o fermare) le lancette del Tempo (verso l’inverno nucleare o l’estate infuocata). Vi lascio con le parole di Samah Jabr, un messaggio di speranza, oggi forse di sola utopia: un sogno, frutto di un bisogno di ridare prospettiva al nostro continuo incessante persistente movimento dentro i movimenti di “Urla per Gaza”: “Abbracciando l’amore rivoluzionario dichiariamo che la lotta per porre fine all’occupazione della Palestina è una lotta ispirata dall’amore per l’umanità, non dall’odio – contrariamente a ciò che viene falsamente sostenuto dai nostri avversari. È una richiesta d’azione che incita le persone del mondo a unirsi non come osservatori passivi ma come partecipanti attivi nella lotta per la giustizia. (…) Sostenendo il popolo palestinese non solo contribuite alla nostra lotta, arricchite anche le vostre vite, entrando in connessione con un senso più profondo di scopo e umanità. L’amore rivoluzionario ci insegna che i nostri destini sono intrecciati, che la giustizia per uno è giustizia per tutti”. Emanuela Bavazzano   Eirenefest Napoli Eirenefest Napoli Eirenefest Napoli Cesare Dagliana
Eirenefest Napoli, “Il processo al libro”
19 Settembre 2025, Eirenefest Napoli – Presidio Permanente di Pace Il primo laboratorio di apertura: “Il processo al libro” La prima giornata dell’Eirenefest – edizione napoletana 2025, ospitata dal Presidio Permanente di Pace presso la Libreria IoCiSto, si è aperta con un’immagine potente: il sangue di San Gennaro. Le parole di saluto e presentazione hanno richiamato questo simbolo senza sapere che poche ore prima il vescovo di Napoli lo aveva legato al sangue innocente dei bambini di Gaza. Una coincidenza che ha reso la riflessione ancora più incisiva: la pace non è un miracolo da attendere, ma una responsabilità che ci tocca da vicino, nella carne viva delle vittime. Dopo questa apertura, la mattina si è accesa con il laboratorio “Il processo al libro”, condotto da Pietro Varriale, educatore e formatore di Global Districts, insieme a Serena Dolores Correrò, operatrice del progetto. L’iniziativa si inserisce nel percorso di WeWorld, organizzazione internazionale che da cinquant’anni lavora per i diritti di donne, bambini e persone ai margini; con Global Districts punta a superare le barriere che ostacolano la cittadinanza attiva delle nuove generazioni. Il laboratorio ha avuto la forza del teatro partecipato: i presenti, divisi in gruppi, hanno interpretato ruoli inediti — pubblica difesa, accusa, giuria, giudici — mettendo in scena un vero processo a tre libri. Due dei testi scelti, “Mediterraneo” di Armin Greder e “Io non sono razzista ma…” di Marco Aime, hanno fatto da specchio a due ferite brucianti del nostro tempo: la tragedia dei migranti nel Mediterraneo e la violenza del razzismo. Il momento più commovente è arrivato quando la difesa di due libri è stata affidata a una ragazza di appena 14 anni: voce incerta, pensieri forti. In quella fragilità si è fatta strada una forza che ricordava l’eco delle giovani vittime delle guerre evocate in apertura: voci che chiedono di essere ascoltate, nonostante tutto. Di fronte a lei, l’accusa era impersonata da adulti — rappresentanti di associazioni, volontari, operatori sociali — chiamati a indossare i panni di chi nega il dramma del Mediterraneo o legittima la discriminazione razziale. La dinamica ha prodotto un ribaltamento sorprendente: difendere il giusto è apparso difficile e faticoso, mentre accusare con argomenti razzisti e nazionalisti ha offerto una sorta di liberazione catartica, permettendo di esprimere odio e frustrazione senza pagarne le conseguenze. Qui è emersa la valenza psicoanalitica del laboratorio: il gioco di ruolo ha messo i partecipanti di fronte alle proprie ombre, mostrando come l’identificazione con l’aggressore possa attrarre e, al tempo stesso, destabilizzare; un passaggio che costringe a misurarsi con i lati oscuri della convivenza civile. L’esperienza ha confermato che l’educazione alla pace non può essere solo predicazione: deve passare attraverso il corpo, la voce, la possibilità di sentire dentro di sé anche la parte avversa. È in questo attraversamento che si sviluppano consapevolezza critica e capacità di scelta. La giornata si è chiusa con un clima di forte partecipazione: emozione, riso liberatorio, consapevolezze nuove. In questo spazio, anche piccolo e quotidiano come una libreria di quartiere, i libri si sono rivelati non solo oggetti da leggere, ma strumenti di confronto, specchi delle contraddizioni del presente e catalizzatori di immaginazione collettiva. È proprio questo il cuore dell’Eirenefest e del Presidio di Pace: fare della parola scritta e condivisa un terreno comune di resistenza e di costruzione. Seguendo lo slogan scelto per il festival dal Presidio, “ la pace è un cantiere aperto”, il primo mattone è stato posato. Stefania De Giovanni
La libreria IoCiSto ospita l’Eirenefest, “Le parole di Pace”
Si è svolta ieri venerdì 19 settembre nella libreria IoCiSto nel cuore del Vomero a Napoli, per la prima volta dopo Roma, la prima giornata dell’Eirenefestival del libro per la Pace e la non Violenza. Sostenuto dal Presidio di Pace Iocisto, il Festival nelle tre giornate napoletane vuole riflettere sul valore della parola, del libro, del confronto, del dibattito come potente strumento di dialogo e di disarmo in tempi segnati da odio e conflitti. La Pace non è gratuita, ma è un cantiere aperto in continua costruzione, è impegno civile di ciascuno e Eirenefestival porta a Napoli scrittori, attivisti di Pace, docenti, giornalisti, religiosi che attraverso incontri, presentazioni e Tavole Rotonde aprono a significativi spazi di confronto. Si è iniziato con un laboratorio di poesie. Una giornata molto partecipata quella di ieri, piena di emozioni e confronti, con un programma nutrito di laboratori, dibattiti e nuove uscite editoriali che hanno suscitato nei presenti un interrogarsi sull’ essere persone oggi in un momento drammatico per l’umanità, sul dovere di ciascuno di non voltarsi dall’altra parte ma scegliere di dare il proprio contributo alla costruzione della Pace. E qui le persone hanno scelto la via della parola per tentare di costruire un mondo più umano, pacifico, giusto. Nel pomeriggio un momento di grande emozione. La presentazione del libro di poesie “Con nome e cognome” di Maria La Bianca, raccolta di poesie civili ma anche di amore, che la scrittrice ha voluto dedicare ai bambini di Gaza e a tutti i bambini vittime di guerra, edito da Multimage. L’autrice palermitana lo ha proposto attraverso un’esperienza laboratoriale suggestiva e coinvolgente: i presenti sono stati invitati a scegliere ognuno un breve verso poetico tratto dall’opera, che la scrittrice aveva riportato su tanti foglietti scrupolosamente curati nel taglio e nella grafica e sistemati sospesi lungo un filo nella sala che ospitava il laboratorio. Ogni lettura di versi ricordava, evocava un momento, una memoria, una vittima. Le persone hanno scelto ognuna un foglietto e hanno potuto essere protagoniste con rispetto e cuore aperto di quel dolore evocato. Quella vittima, ricordata da quel verso, è stata reinterpretata e la sua memoria ha “rivissuto” attraverso la lettura: cosa è accaduto quel giorno? C’era una data e un numero di pagina su ogni foglietto che ha rimandato il lettore a un ricordo, a una esperienza di dolore, a uno stupro, a una violenza, a un conflitto, a un sopruso. “Stupro”, “Primo Maggio”, “Dio è morto”, “Lampedusa”, “Striscia di Gaza”, “Bambini in gabbia” “Bambini di Gaza” e tante altre le poesie lette, i cui versi hanno emozionato. Versi che sono potentemente civili ma anche pieni di amore. Di un amore non nel senso romantico o lirico, ma esplorato nelle sue implicazioni più ampie nell’intreccio con le ingiustizie, il dolore nella memoria delle vittime. Al centro di questo libro, come spiega l’autrice, c’è la voce delle vittime, di chi viene dimenticato nella narrazione ufficiale, “fotografato” solo come elemento di cronaca per poi essere avvolto dall’oblio del silenzio. Qui nel libro ogni vittima ha un “Nome e Cognome”, non è parte di una statistica ma è persona “viva” con la sua storia e la sua dignità. Il laboratorio intenso, emozionale, che ha toccato momenti di commozione, non è stato un “palco” ma un cerchio, un cerchio dove ogni voce è stata accolta, ogni parola ha avuto un senso Maria la Bianca ha usato la Poesia per attraversare la memoria di tanti conflitti, per dare voce al dolore ma senza alimentare mai alcun odio per trasformare l’esperienza della conoscenza di quei conflitti in consapevolezza civile. Senza paura di toccare ferite sociali, è stato un invito alla responsabilità a cui chiunque è chiamato. Qui la Poesia ha dimostrato di poter essere testimonianza, impegno civile, memoria, anche se questo suscita e ha suscitato letture dolorose di forte impatto emotivo e morale; poesia civile capace di smuover coscienze ma non per questo meno lirica e delicata. I versi letti non erano denunce astratte, ma ognuna identificata, con un volto, con un “nome e cognome”; questo per evitare che l’anonimato potesse consumare la memoria. Al “Nome e cognome” si aggiunge “quasi sempre l’amore” che suggerisce che l’Amore è presente come guida, come sfondo anche se accompagnato dalla rabbia e dal dolore. Davvero si è avvertito qui in questo laboratorio quanto la Poesia sia capace, pur con la gentilezza specifica del linguaggio poetico, di indignare, di inorridire, ma anche di evocare speranza e invitare alla consapevolezza. I presenti hanno vissuto un’esperienza di forte impatto: quelle vicende sono diventate collettive perchè ognuno si è fatto specchio di quella sofferenza. Sicuramente era l’obiettivo immaginato dalla scrittrice che però non è mai caduta nel sentimentalismo facile, ma ha saputo suscitare, seppure con delicatezza, un sentimento di rabbia e di indignazione, un invito ad un impegno civile. A conclusione il dibattito vivo e ricco di spunti di riflessione che simbolicamente può essere sintetizzato dalla riflessione sempre attuale di Albert Einstein: “La Pace non può essere mantenuta con la forza, può essere raggiunta solo con la comprensione” “Ci sono piccoli semi tra i solchi delle bombe e sbaglia chi pensa non crescerà un bosco”. Il verso che ci apre alla Speranza. Il Festival continua oggi a partire dalle ore 15.45 con una Tavola Rotonda sul disarmo nucleare e mediorientale con l’intervento di padre Alex Zanotelli. Lucia Montanaro