Antonella Ossorio / Colpevole o innocente?
Nel parlamento italiano è stato da poco approvato il disegno di legge che
introduce il delitto di femminicidio con conseguente pena dell’ergastolo, e
quasi in contemporanea Neri Pozza pubblica il nuovo romanzo di Antonella Ossorio
in cui ci racconta le vicende – romanzate per colmare gli inevitabili buchi
storici e narrativi – di Madame Popova. L’autrice spiega di essersi imbattuta
per caso –mentre cercava del materiale online per un nuovo romanzo – nella
misteriosa figura di Alexe Popova che nella Russia zarista ha ucciso oltre
trecento uomini dal 1878 al 1909, anno in cui viene arrestata e giustiziata.
Ovviamente la scarsa documentazione ha concesso ampio margine di scrittura
all’autrice che, per sua stessa ammissione, ha dichiarato di essere rimasta
rapita dallo sguardo severo della donna vestita di nero ritratta in una
rarissima immagine ancora reperibile online. Pur utilizzando le sue radici
napoletane per narrare storie dal valore universale e un’ambientazione nel
passato come chiave di lettura del presente, Ossorio si è concessa un’uscita
forzata dalla sua comfort zone per sbarcare nella Russia di fine Ottocento.
Le tematiche principali su cui basa le radici questo romanzo sono tante e
fondamentali. L’indipendenza economica delle donne del popolo, in primis, che
era quasi impossibile ottenere e che si lega strettamente a un altro tema,
quello dell’analfabetismo. Gli uomini al momento del matrimonio sceglievano se
aggiungere al proprio documento d’identità i dati della consorte così da
comprovarne l’esistenza in maniera ufficiale, documenti che venivano spesso
richiesti per accedere a svariati uffici pubblici o, come capita alla
coprotagonista del romanzo in questione, per prendere in prestito un libro in
biblioteca. Nei comandi di polizia le donne non venivano nemmeno considerate e
siccome si dava per scontata l’ignoranza dell’interlocutrice, una firma diversa
da una “x” era vista quasi come una colpa. Tornando all’indipendenza economica,
le donne sposate non potevano lavorare, c’era una guerra in corso e gli uomini
erano spesso al fronte per cui le donne dovevano restare a casa e badare ai
figli e, anche se non sempre questa era la regola, le donne che lavoravano erano
considerate l’eccezione.
Nadja si trova in una situazione intermedia: come a tante sue coetanee è
capitato invece di essere analfabeta, con una figlia a carico e con un marito
vittima del gioco d’azzardo e amante della bottiglia che per sfogare i suoi
umori la picchia e la violenta. Quando viene ammessa alla congrega di Madame
Popova capisce di non essere sola, che altre donne hanno vissuto la sua stessa
condizione ma ne sono uscite. Potremmo considerare Madame Popova una femminista
ante litteram che sosteneva l’alfabetizzazione delle altre donne, le aiutava a
commercializzare i lapti, una tipica calzatura dell’Europa nord-orientale
realizzata principalmente con la rafia, per ricavare un guadagno dignitoso ma
soprattutto contribuiva alla prematura dipartita del problema marito attraverso
l’utilizzo dell’arsenico, un veleno perfetto perché incolore e inodore.
Ed eccolo il tema principale del romanzo, la violenza sulle donne. Per la
cultura dell’epoca era pratica comune che un uomo si sfogasse sulla propria
moglie che veniva considerata a tutti gli effetti un oggetto di proprietà, i
poliziotti erano tutti uomini e una donna che scappava dal marito non aveva vita
facile, quindi si preferiva tacere e continuare a subire violenza fino
all’inevitabile epilogo.
Il personaggio che l’autrice ha creato per fare da contraltare alla Popova –
della quale non si sa nulla di preciso, né data e luogo di nascita né il vero
nome – è un perfetto bilanciamento che mette in difficoltà il giudizio del
lettore, istintivamente portato a stare dalla parte di Alexe. Nadja fa
riflettere sulla moralità del gesto, del mettere in circolo altro male, oltre a
quello compiuto con i delitti, che non è quella la via da percorrere. D’altro
canto, Alexe fino all’ultimo si è dichiarata innocente per non aver mai ucciso
bambini, donne né uomini giusti, ha compiuto giustizia condannando la
sopraffazione del maschio e salvando la parte debole e senza diritto di replica
della società del tempo. I documenti graziati dal passare dei secoli ci
raccontano che Popova viene arrestata sulla base della denuncia di una donna,
senza nome né altri dettagli, pentita all’ultimo istante dopo averle chiesto
aiuto. Nell’infinita guerra tra bene e male dunque ai posteri l’ardua sentenza:
colpevole o innocente?
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