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Rimpatri, la nuova stretta dell’UE: «Un regolamento disumano che va respinto»
L’11 marzo 2025 la Commissione Europea ha presentato una nuova proposta di Regolamento sui Rimpatri che, dietro la veste burocratica e il linguaggio tecnico, punta a definire un’Europa più oppressiva e punitiva. Questo regolamento è destinato a sostituire l’attuale Direttiva Rimpatri e per impianto ideologico strizza l’occhio ai promotori del Remigration Summit e alle politiche trumpiane, rafforzando un modello che non ha nulla a che vedere con la tutela dei diritti, ma si allinea alla propaganda securitaria e la normalizzazione di pratiche autoritarie. La logica dichiarata è quella di aumentare i tassi di espulsione, la sostanza è un sistema che poggia i suoi pilastri su detenzione, deportazioni e sorveglianza. Non un testo amministrativo, bensì un manifesto politico che considera la mobilità umana una minaccia e la trasforma in un problema di ordine pubblico. Oltre duecento organizzazioni europee hanno deciso di denunciare il Regolamento con un documento congiunto che smaschera la natura reale della proposta: “Il regolamento sull’espulsione fa parte di un cambiamento nella politica migratoria dell’UE che caratterizza il movimento umano come una minaccia per giustificare deroghe alle garanzie dei diritti fondamentali”, si legge nell’introduzione. Lo statement entra nel dettaglio punto per punto, mostrando la portata devastante delle misure. La prima “novità” riguarda la possibilità di espellere persone considerate irregolari verso paesi terzi in cui non hanno mai vissuto e con cui non hanno alcun legame personale, una pratica che distruggerebbe famiglie e comunità e che aprirebbe la strada a veri e propri centri di rimpatrio offshore, luoghi di detenzione al di fuori dell’UE in cui la tutela dei diritti diventerebbe un miraggio. In pratica, un’estensione e normalizzazione del cosiddetto “modello Albania”. Un altro punto riguarda la sorveglianza generalizzata: gli Stati membri sarebbero obbligati a mettere in atto sistemi di individuazione delle persone irregolari, alimentando così profilazioni razziali, retate di polizia, paura nelle comunità migranti. Un ulteriore elemento è l’estensione della detenzione amministrativa fino a 24 mesi, che colpirebbe indiscriminatamente minori, soggetti vulnerabili e persone che non possono essere espulse: una gravissima violazione del diritto internazionale e della dignità umana.  Il testo denuncia poi l’introduzione di misure punitive e coercitive sproporzionate: multe, restrizioni, divieti di ingresso e accesso ai servizi, fino alla negazione di prestazioni essenziali, con il paradosso di penalizzare chi non può adempiere a obblighi materiali impossibili, come l’ottenimento di documenti in caso di apolidia. Si colpisce anche il diritto di ricorso, eliminando la sospensione automatica delle espulsioni: in questo modo diventa quasi impossibile difendersi da un rimpatrio forzato. Infine, critica l’uso massiccio della sorveglianza digitale, con tracciamenti GPS, raccolta e condivisione di dati sensibili – inclusi quelli sanitari – anche con paesi terzi privi di tutele adeguate, creando un mercato redditizio per le multinazionali della sicurezza e della tecnologia. Le organizzazioni rigettano l’intero regolamento in modo netto: “Non risolverà nulla, ma produrrà solo più irregolarità, più marginalità, più esclusione sociale”.  «Questo regolamento aprirà la strada a un regime distopico di detenzione e deportazione, con decine di migliaia di persone rinchiuse nei centri di detenzione per migranti in tutta Europa, famiglie separate e persone inviate in paesi che non conoscono nemmeno – denuncia Silvia Carta, Advocacy Officer del PICUM – i legislatori dell’UE devono respingerla e lavorare invece su misure che promuovano l’inclusione sociale e la regolarizzazione delle persone costrette a vivere in un limbo legale». Le realtà associative e i movimenti accusano le istituzioni europee di alimentare sentimenti razzisti e xenofobi, di favorire gli interessi economici di chi lucra sui centri di detenzione e sui sistemi di sorveglianza, di sacrificare i diritti sull’altare della propaganda securitaria. Lo statement sottolinea l’assenza di una valutazione di impatto sui diritti fondamentali, evidenziando che si tratta di una proposta costruita senza consultazioni, senza trasparenza, senza rispetto delle stesse regole procedurali che la Commissione dice di voler applicare. “È la conferma di una scelta politica precisa: continuare a investire nella paura e nella punizione invece che nella protezione e nell’inclusione”. Le alternative esistono. Le organizzazioni chiedono di rafforzare i canali regolari di ingresso, di ampliare i permessi di soggiorno basati sui diritti, di garantire accesso alla salute, alla casa, al lavoro dignitoso, di costruire comunità forti e inclusive. «In un momento in cui le politiche di esclusione avanzano, chiediamo un rinnovato impegno verso la solidarietà e i diritti umani la sicurezza non può fondarsi sulla paura e sulla discriminazione, ma solo sull’inclusione, il rispetto e pari opportunità”, afferma Giovanna Cavallo, coordinatrice del Forum per Cambiare l’ordine delle cose e della Road Map per il Diritto d’Asilo e la Libertà di Movimento.  Il documento si chiude con una richiesta inequivocabile: il ritiro immediato della proposta e un’inversione di rotta radicale. Perché un’Europa che si definisce democratica e fondata sul rispetto dei diritti non può scegliere la strada della detenzione di massa e della deportazione. Perché la vera sicurezza non nasce dai muri, ma dalla giustizia sociale. Perché le vite delle persone non sono numeri da espellere, ma priorità da difendere. Lo scenario prossimo è quindi stretto tra questo Regolamento il nuovo e criminale Patto europeo su migrazione e asilo. Segnali inequivocabili di una trasformazione profonda: i governi europei, seppur in modo contradditorio, non parlano più di accoglienza, integrazione o protezione internazionale, ma di rimpatri di massa, detenzione e deportazioni. Un evidente spostamento a destra che occorre contrastare in tutti i modi possibili, attraverso l’attivazione sociale e politica, alleanze transnazionali tra movimenti e soprattutto momenti comuni di mobilitazione. Serve organizzarsi e lottare insieme, in Europa e oltre i suoi confini. Un primo appuntamento di rilievo è già stata lanciata dal Network Against Migrant Detention (NAMD) per l’1 e 2 novembre in Albania: “A due anni dalla firma del memorandum Rama-Meloni torneremo a Tirana, Gjadër e Shëngjin per contestare le deportazioni fasciste e per chiedere la chiusura definitiva dei CPR e le politiche di deportazione”. > Visualizza questo post su Instagram > > > > > Un post condiviso da Network Against Migrant Detention > (@networkagainstmigrantdetention)